Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 14 maggio 2018, n. 11628

Tributi - IVA - Cessazione dell’attività - Credito maturato - Rimborso - Termine di prescrizione decennale

 

Rilevato

 

- che, in controversia relativa ad impugnazione di un diniego di rimborso di un credito IVA maturato dal contribuente con riferimento all’anno di imposta 2004, nel corso del quale cessava l’attività, con la sentenza in epigrafe la Commissione tributaria regionale della Toscana respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente, sostenendo di condividerne la tesi della decennalità del termine prescrizionale applicabile alla richiesta di rimborso IVA in ipotesi di cessazione dell’attività;

- che avverso tale statuizione ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate sulla base di un unico motivo, cui non replica l’intimato;

- che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del vigente art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;

- che il Collegio ha deliberato la redazione della motivazione dell'ordinanza in forma semplificata;

 

Considerato

 

- che con il motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 21, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, sostenendo che era errata la tesi sostenuta dai giudici di appello in quanto il termine decennale di prescrizione decorreva soltanto dal momento del diniego della domanda di rimborso o della formazione su di esso del silenzio rifiuto (come sostenuto da Cass. n. 27057 del 2008), mentre l’istanza doveva comunque essere avanzata entro il termine biennale di cui all’art. 21 d.lgs. n. 546 del 1992;

- che il motivo è infondato e va rigettato;

- che, invero, premesso preliminarmente che la ricorrente non ha contestato il credito di imposta indicato dal contribuente in dichiarazione, osserva il Collegio che l’orientamento di questa stessa Corte è consolidato nel ritenere che il credito Iva esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi è soggetto all'ordinaria prescrizione decennale, mentre non è applicabile il termine biennale di decadenza previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, in quanto l'istanza di rimborso non integra il fatto costitutivo del diritto, ma solo il presupposto di esigibilità del credito per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso stesso (ex multis, Cass. n. 4559 del 2017, nn. 9941 e 4857 del 2015, n. 20678 del 2014, nn. 7684, 14070, 15229 e 23580 del 2012, n. 13920 del 2011, n. 9794 del 2010); che, peraltro, questa Corte, oltre ad aver precisato che la domanda di rimborso del credito d'imposta maturato dal contribuente deve considerarsi già presentata con la compilazione del corrispondente quadro della dichiarazione annuale ("RX4"), la quale configura formale esercizio del diritto, mentre la presentazione del modello VR costituisce, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, solo un presupposto per l'esigibilità del credito e, dunque, un adempimento prodromico al procedimento di esecuzione del rimborso (ex plurimis, Cass. nn. 4592 e 4857 del 2015; nn. 10653, 20069 e 26867 del 2014; n. 14070 del 2012; n. 20039 del 2011), ha anche affermato che ove si tratti - come nel caso di specie - di richiesta di rimborso relativa all'eccedenza d'imposta risultata alla cessazione dell'attività, la fattispecie è regolata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2 e la richiesta è soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale, non a quello biennale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, applicabile in via sussidiaria e residuale, solo in mancanza di disposizione specifiche; e ciò in quanto l'attività non prosegue, sicché non sarebbe possibile portare l'eccedenza in detrazione l'anno successivo (Cass. n. 9941 del 2015, n. 2005 del 2014; nn. 7684, 7685 e 14070 del 2012; nn. 13920 e 20039 del 2011; nn. 9794 e 25318 del 2010; n. 27948 del 2009);

- che si è correttamente osservato, al riguardo (cfr. Cass. n. 9941 del 2015) che «siffatta soluzione ermeneutica è del resto coerente con il diritto eurounitario, poiché, se è vero che gli Stati membri adottano le misure necessarie ad assicurare l'osservanza degli obblighi di dichiarazione e di pagamento, l'esatta riscossione dell'imposta e la prevenzione di frodi, tuttavia è pur vero che tali misure non possono eccedere gli obiettivi sopra indicati (v. Corte di giustizia, 11 dicembre 2014, in causa C-590/14, Idexx; 8 maggio 2008, in causa C-95/07 e C-96/07, Ecotrade; 27 settembre 2007, in causa C-146/05, Coilee), essendo il diritto al ristoro dell'Iva versata "a monte" basilare nel sistema comunitario, in forza del principio di neutralità (cfr. Corte di giustizia, 22 dicembre 2010, in causa C-438/09, Dankowski, p.to 34, con riguardo al caso di cessazione d'attività; 18 dicembre 1997, in cause riunite C-286/94, C-340/95, C- 401/95, C-47/96, Molenheide e altri). Deve quindi ritenersi ormai definitivamente superato il diverso e più risalente orientamento secondo cui, in caso di cessazione dell'attività, solo una domanda di rimborso conforme al modello ministeriale corrisponderebbe allo schema tipico delineato dall'art. 30 del decreto IVA, con la conseguenza che la domanda difforme resterebbe assoggettata alla decadenza biennale prevista, in via residuale, dal citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 (Cass. nn. 18920 e n. 18915 del 2011; n. 7669 del 2012)»;

- che, conclusivamente, il ricorso va respinto mentre la mancata costituzione della parte intimata esonera questa Corte dal provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, che restano a carico della ricorrente, ed inoltre, risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, neppure si applica l’art. 13, comma 1 - quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.