Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 maggio 2018, n. 11411

Licenziamento per giusta causa - Rapina aggravata - Condotta privata del dipendente - Lesione del vincolo fiduciario con il datore di lavoro

 

Fatti di causa

 

1. Il Tribunale di Cosenza, con la sentenza n. 529/2009, ha rigettato l'impugnativa di licenziamento proposta da D.S., per motivi sia formali che di merito, con la connessa richiesta di reintegra nel posto di lavoro e di condanna della BNL spa alla ricostruzione della carriera e al risarcimento dei danni.

2. La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza n. 459/2010, ha accolto l'appello del lavoratore dichiarando la illegittimità del licenziamento irrogato il 19 aprile 2006 con ogni conseguenza di legge.

3. La detta pronuncia fu cassata dalla Suprema Corte con la decisione n. 12195/2014 ed il giudizio fu riassunto da ambo le parti con la riunione dei rispettivi procedimenti.

4. La Corte di appello di Reggio Calabria, quale giudice del rinvio, con la sentenza n. 974/2015 ha rigettato l'appello originariamente proposto dal lavoratore.

5. A fondamento del decisum la Corte territoriale ha rilevato: 1) come statuito dalla Corte di Cassazione, le comunicazioni al lavoratore, inviate al domicilio eletto e ricevute dalla figlia del D., erano regolari; 2) uno dei fatti per cui il lavoratore era stato sottoposto a misura cautelare personale (rapina aggravata con le modalità efferate descritte in sentenza e ribadita dal condivisibile giudizio di sola equivalenza delle circostanze aggravanti rispetto all'attenuante della incensuratezza del D.) era particolarmente grave; 3) la condotta privata del dipendente ben può integrare causa di licenziamento in tutti i casi in cui i fatti e comportamenti abbiano assunto connotati di tale gravità da fare venire meno il vincolo fiduciario; 4) il richiamo alle contestazioni pregresse nella lettera di licenziamento non poteva non concernere anche l'omessa informativa sulle vicende penali che avevano visto coinvolto il D.; 5) la transazione intervenuta nel 2012 e la cessazione del rapporto tra le parti non faceva cessare la materia del contendere.

6. Anche avverso tale pronuncia S. D. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

7. La Banca Nazionale del Lavoro spa ha resistito con controricorso.

8. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cpc.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta l'omessa motivazione circa un fatto preliminare, controverso e decisivo del giudizio (art. 360 c. 1 n. 3 cpc) nonché la violazione e falsa applicazione dell'art. 1965 cc per non avere rilevato la Corte distrettuale che la transazione, sottoscritta in sede giudiziale il 25.9.2012 nell'ambito di una procedura di licenziamento collettivo, di natura generale e novativa, aveva determinato la cessazione della materia del contendere avendo essa definito l'estinzione del precedente rapporto nonché determinato una situazione di incompatibilità oggettiva tra il rapporto preesistente e quello scaturente dall'accordo transattivo.

2. Con il secondo motivo S. D. si duole dell'omessa motivazione circa un fatto preliminare, controverso e decisivo del giudizio (art. 360 c. 1 n. 4 cpc) nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 1965 cc, 132 2° c. n. 4 cpc e 118 disp. att. Cpc per non avere i giudici di rinvio motivato sulla richiesta di cessazione della materia del contendere essendosi limitati ad affermare che "la transazione intervenuta nel 2012 e la cessazione del rapporto tra le parti non fa cessare affatto la materia del contendere".

3. Con il terzo motivo si censura l'insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c. 1 n. 3 cpc) nonché la violazione e falsa applicazione dell'art. 1335 cc per avere la Corte di Reggio Calabria, nel merito del licenziamento, ritenuto che l'atto di appello in riassunzione riproponeva tesi difensive già svolte dal D. relative: a) alla regolarità delle comunicazioni inviate al lavoratore riguardanti le contestazioni disciplinari; b) al destinatario della comunicazione del febbraio 2006, c) alla circostanza che il ricorrente non avesse provato di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di avere notizia degli addebiti; d) alla circostanza che si era tenuto conto dello stato detentivo in tale periodo.

4. I primi due motivi, da trattarsi congiuntamente per la loro connessione logico-giuridica, sono infondati anche se per ragioni diverse da quelle rilevate dalla Corte territoriale il cui dispositivo, conforme a legge, consente una correzione della motivazione ex art. 384 2° comma cpc.

5. Invero, a parere del Collegio, la Corte di appello di Reggio Calabria, adita quale giudice di rinvio a seguito della pronuncia della Suprema Corte n. 12195/2014, avrebbe dovuto dichiarare inammissibile ogni questione riguardante la transazione intercorsa tra le parti il 25.9.2012, in relazione al licenziamento collettivo adottato nei confronti del D. l'1.6.2012, idonea asseritamente, secondo la tesi dell'odierno ricorrente, a determinare la cessazione della materia del contendere.

6. Al riguardo è opportuno precisare, per una migliore comprensione dei fatti, la scansione temporale di momenti essenziali processuali.

7. Il ricorso di primo grado fu proposto il 14.1.2008; la sentenza di primo grado del Tribunale di Cosenza è del 31.3.2009; la sentenza di secondo grado della Corte di appello di Catanzaro è del 2.3.2010; il ricorso per cassazione fu proposto il 23.2.2011; la sentenza di cassazione, a seguito dell'udienza dell'8.1.2014, fu depositata il 30.5.2014; i due ricorsi in riassunzione recano le date del 5.8.2014 e del 26.8.2014; la sentenza della Corte di appello di Regio Calabria è del 30.10.2015.

8. Orbene, va ribadito che il giudizio conseguente a cassazione, pur dotato di autonomia, non dà vita ad un nuovo ed ulteriore procedimento, ma rappresenta una fase ulteriore di quello originario da ritenersi unico ed unitario (cfr. tra le altre Cass. Sez. Un. 17.9.2010 n. 19701; Cass. 26.4.2017 n. 10213).

9. Inoltre, il giudizio di rinvio, quale prefigurato dagli artt. 394 e ss cpc, è un procedimento a struttura chiusa, nel quale non soltanto è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum, formulando nuove domande o nuove eccezioni, ma dove sono altresì da ritenersi operanti le preclusioni che derivano dal giudicato implicito formatosi con la sentenza emessa dalla Corte di cassazione (cfr. in termini Cass. n. 10046/2002; Cass. n. 1437/2000).

10. Tuttavia, è un principio consolidato in sede di legittimità quello secondo cui il giudice del rinvio ben può prendere in considerazione fatti nuovi, incidenti sulla posizione delle parti e sulle loro pretese, senza violare con ciò il divieto di esaminare punti non prospettati dalle parti nelle fasi precedenti, a condizione che si tratti di fatti impeditivi o estintivi o modificativi intervenuti in un momento successivo a quello della loro possibile allegazione nelle fasi pregresse al giudizio di rinvio (cfr. Cass. 27.4.1985 n. 2751; Cass. 30.10.2003 n. 16294).

11. A tal proposito deve evidenziarsi che, in conseguenza della menzionata struttura "chiusa" del giudizio di rinvio, la posizione delle parti viene ad essere cristallizzata nei termini in cui era rimasta definita nelle precedenti fasi processuali fino al giudizio di cassazione, e precisamente fino all'ultimo momento utile in cui, ex art. 372 cpc, detta posizione poteva subire eventuali specificazioni nei limiti e nelle forme previste per il giudizio di legittimità. Ne discende che il giudice di rinvio, dovendo procedere nei termini rimessigli dalla Suprema Corte, può prendere in considerazione fatti nuovi incidenti sulla posizione delle parti, senza intaccare il decisum della pronuncia di cassazione solo a condizione che si tratti di fatti dei quali non era stata possibile l'allegazione fino a quell'ultimo momento utile nel giudizio di cassazione (art. 372 cpc), per essersi i fatti medesimi verificati dopo quel momento (cfr. Cass. n. 1917/2001; Cass. n. 11962/2005).

12. Con specifico riferimento, pertanto, al fatto - in discussione in questa sede - che si assume, da una delle parti, integrare una pretesa cessazione della materia del contendere, è evidente che il giudice di rinvio avrebbe potuto prenderlo in esame solo qualora si fosse verificato successivamente all'udienza di discussione in cassazione, atteso che, laddove si fosse verificato prima, l'udienza stessa sarebbe stato il momento ultimo entro il quale sarebbe dovuta avvenire tale allegazione (in termini Cass. 8.6.2005 n. 11961; Cass. 11.4.2011 n. 8171).

13. Nella fattispecie in esame, la transazione è avvenuta il 25.9.2012; l'udienza in cassazione l'8.1.2014 e la relativa sentenza è stata depositata il 30.5.2014; in essa non si fa alcun cenno alla suddetta transazione né l'odierno ricorrente ha specificato "il dove" ed "il quando" abbia eventualmente prospettato tale questione.

14. Ne consegue, in forza delle considerazioni sopra esposte, che tale fatto non poteva essere in alcun modo preso in considerazione dal giudice di rinvio (nella specie Corte di appello di Reggio Calabria).

15. Infine, il terzo motivo è inammissibile.

16. In ordine alla dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 1335 cc, va osservato che la Corte di appello si è attenuta correttamente ai principi statuiti da questa Corte con la sentenza di cassazione n. 12195/2014 relativamente alla presunzione di conoscenza della prima lettera di contestazione.

17. Le altre censure di cui al motivo sono generiche, perché prive dell'adeguata illustrazione giuridica delle doglianze mosse alla sentenza; inoltre, esse non incidono sulla decisività della pronuncia gravata in quanto non investono anche la seconda lettera di contestazione; infine, presentano profili di inammissibilità in quanto contengono valutazioni di merito precluse in sede di legittimità.

18. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.

19. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della contro ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.