Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 11 maggio 2018, n. 11424

Lavoro edile - Pagamento contributi omessi - Regime sanzionatorio dell'evasione

 

Rilevato

 

1. che, con sentenza in data 3 febbraio 2012, la Corte di Appello di Milano ha rigettato il gravame principale, avverso la sentenza di primo grado, di rigetto dell'opposizione a cartella esattoriale con la quale era stato richiesto il pagamento di contributi omessi, e somme aggiuntive, per la commisurazione della base imponibile dei contributi dovuti dal datore di lavoro, svolgente attività edile, su un numero di ore settimanali inferiori a quello stabilito dal CCNL;

2. che, in accoglimento del gravame incidentale svolto dall’INPS, la Corte di merito ha rideterminato in euro 227.040,00 i contributi omessi, oltre sanzioni civili calcolate secondo il regime sanzionatorio dell'evasione;

3. che, avverso tale sentenza, E.C. società cooperativa a r.l. ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi, al quale l’INPS ha opposto difese, con controricorso;

 

Considerato

 

4. che, con i primi tre motivi, la parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. 7 dicembre 1989, n. 389, art. 1 e del D.L. 23 giugno 1995, n. 24, art. 29, nonché l'omessa o insufficiente motivazione circa \ un fatto controverso e decisivo per il giudizio (primo motivo); violazione e falsa applicazione del D.L. 30 ottobre 1984, n. 299, art. 5, comma 5, e assume che nessuna norma estende al socio di cooperativa le specifiche regole previste per il lavoro in regime di part-time, per cui un tale tipo di contratto è ravvisabile nel settore di cui ci si occupa anche quando l'accordo non è stato stipulato per iscritto (secondo motivo); con il terzo motivo la ricorrente ripropone l'eccezione di incostituzionalità del D.L. 23 giugno 1995, n. 244, art. 29, per disparità di trattamento tra le imprese edili e quelle degli altri comparti produttivi, precisando al riguardo che con tale disposizione, volta a contrastare l’evasione contributiva, si è introdotto nel settore edile il principio di una retribuzione imponibile virtuale, ma in funzione della quantità della prestazione e non già della sua esigenza di adeguatezza ai parametri costituzionali, per cui verrebbe ad essere scardinato il principio della contribuzione previdenziale a percentuale, cioè di una contribuzione proporzionale alla retribuzione di fatto erogata o quantomeno dovuta in relazione al lavoro svolto;

5. che sui predetti motivi, in fattispecie identica a quella in esame, questa Corte si è già pronunciata, con delibazione di infondatezza, con la sentenza 2 settembre 2016, n. 17531, alla cui più ampia motivazione si rinvia anche per i precedenti di legittimità richiamati, riaffermandosi ora il principio per cui il cosiddetto minimo retributivo imponibile, secondo cui l'importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali, non può essere inferiore all'importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, è applicabile anche alle società cooperative, i cui soci sono equiparati ai lavoratori subordinati ai fini previdenziali, sia nel caso in cui il datore di lavoro paghi di meno la prestazione lavorativa a pieno orario, sia nel caso di prestazione a orario ridotto, rispondendo tale parificazione alla finalità costituzionale di assicurare comunque un minimo di contribuzione dei datori di lavoro al sistema della previdenza sociale;

6. che anche le obiezioni di incostituzionalità, ora sollevate, hanno già trovato risposta, nel richiamato precedente di questa Corte, n. 17531 del 2016, ribadendo che il sistema di previdenza, improntato ad esigenze di socialità, non è fondato necessariamente su una rigida sinallagmaticità tra contributi e prestazioni, e che una disciplina che prescinde dalle ore di lavoro in concreto prestate trova anche la sua ragione nelle finalità di soddisfare esigenze pubblicistiche di solidarietà e di mutualità;

7. che, del pari, il precedente di legittimità del 2016 al quale viene ora data continuità, anche sulla pretesa inapplicabilità della normativa in materia di minimali contributivi nell'ipotesi di rapporti di lavoro in regime part-time, ha condivisibilmente ribadito che la cooperativa, proprio perché equiparata ai fini contributivi ai privati datori di lavoro, avrebbe dovuto, come questi ultimi, osservare gli oneri prescritti per poter accedere alla disciplina contributiva in questione, richiamando il principio affermato dalle le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U., 5 luglio 2004, n. 12269), nel senso che: «al contratto di lavoro a tempo parziale, che abbia avuto esecuzione pur essendo nullo per difetto di forma, non può applicarsi la disciplina in tema di contribuzione previdenziale prevista dal D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 5, convertito in L. n. 863 del 1984, ma deve invece applicarsi il regime ordinario di contribuzione prevedente anche i minimali giornalieri di retribuzione imponibile ai fini contributivi, e così anche la disciplina di cui al D.L. n. 338 del 1989, art. 1, convertito in L. n. 389 del 1989, tenuto conto, da un lato, che il sistema contributivo regolato dal predetto D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 5, è applicabile, giusta il tenore letterale della norma, solo in presenza di tutti i presupposti previsti dai precedenti commi ed è condizionato, in particolare, dall'osservanza dei prescritti requisiti formali, e considerato, dall'altro, che risulterebbe privo di razionalità un sistema che imponesse, per esigenze solidaristiche, a soggetti rispettosi della legge l'osservanza del principio del minimale, con l'applicazione ad essi di criteri contributivi da parametrare su retribuzioni anche superiori a quelle in concreto corrisposte al lavoratore, e nel contempo esentasse da tali vincoli quanti, nello stipulare il contratto di lavoro part time, mostrano, col sottrarsi alle prescrizioni di legge, di ricorrere a tale contratto particolare per il perseguimento di finalità non istituzionali, agevolando così di fatto forme di lavoro irregolare»;

8. che è infondato anche il quarto motivo - con il quale la parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 13 legge n. 448 del 1998, per avere la Corte di merito pronunciato sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro in giudizio avente ad oggetto opposizione ad iscrizione a ruolo - in base al rilievo per cui nel giudizio di opposizione a ruolo, nulla impedisce al giudice di condannare il debitore al pagamento di una somma inferiore a quella iscritta a ruolo (cfr. Cass. 23 febbraio 2015, n. 3486);

9. che risulta, infine, infondato, anche il quinto motivo, con il quale la parte ricorrente si duole della violazione della I. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 8, lett. b) e dell'art. 1147 cod.civ., invocando l'applicazione, nella specie, del regime sanzionatorio dell'omissione contributiva;

10. che la vicenda non può che essere inquadrata nell'ambito dell'evasione contributiva, essendo consolidato il principio di diritto secondo cui, giusta il disposto dell'art. 116, comma 8, lett. b) legge n. 388 del 2000 cit., tale ipotesi ricorre allorché il datore di lavoro ometta di denunciare all'INPS rapporti di lavoro in essere e relative retribuzioni corrisposte, dovendo ravvisarsi la più lieve ipotesi dell'omissione solo qualora l'ammontare dei contributi di cui sia stato omesso o ritardato il pagamento sia rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie (cfr., fra le ultime, Cass. 18 gennaio 2018, n. 1167 e i precedenti ivi richiamati);

11. che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge.