Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE MILANO - Sentenza 10 gennaio 2017, n. 8

Tributi - Accertamento - Omessa dichiarazione

 

In fatto e in diritto

 

(...) ha proposto appello, con ricorso, in data 21-12- 2015 per la riforma della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano del 21-4-2015 n. 3864/8/2015, che aveva respinto il proprio ricorso avverso l’avviso di accertamento sintetico dell’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Milano, conseguito ad omessa dichiarazione, per l'anno d’imposta 2009, ai fini Irpef Irap ed iva, con accertamento di redditi da lavoro autonomo di Euro 66.050,00; del valore della produzione di Euro 56.505,00 ai fini Irap; di operazioni imponibili ai fini Iva di Euro 66.050,00.

Si è costituito l’Ufficio con memoria di controdeduzioni in data 12-6-2016, chiedendo il rigetto dell’appello con la conferma della sentenza.

La Commissione, sentite le parti, entrambe comparse alla fissata pubblica udienza del giorno 8-6-2016, ha riservato la decisione.

La sentenza di primo grado motivava il rigetto del ricorso affermando di aver tenuto conto delle sole componenti positive accertate e di non aver potuto tener conto delle componenti negative del reddito in quanto non provate né documentate in alcun modo dal contribuente.

Col proposto appello, il ricorrente ribadisce la nullità dell’avviso d’accertamento, in primis, sotto il profilo della mancata sottoscrizione dello stesso, da parte del Direttore dell’Ufficio, essendo stato l’atto sottoscritto da un mero delegato.

In secondo luogo, l’appellante rileva la mancata consegna del processo verbale di constatazione e la conseguente assenza di contraddittorio preventivo, eccezione che tuttavia è da considerare, in primo luogo, inammissibile, in quanto sollevata dal ricorrente, per la prima volta, nel presente secondo grado di giudizio, restando assorbita ogni altra considerazione circa l’insussistenza di tale obbligo di consegna, in caso di omessa dichiarazione.

- Va, altresì respinta l’ulteriore eccezione di illegittimità dell’avviso, sollevata alla luce della sentenza n. 37/15 della Corte Cost., in quanto non sottoscritto dal capo dell’Ufficio o da funzionario delegato.

In proposito, come rilevato anche dall’Ufficio nelle proprie controdeduzioni, si osserva che la portata interpretativa della sentenza della Corte Costituzionale è stata chiarita dalla Corte di Cassazione, con la successiva sentenza n. 22810/2015 che ha individuato le categorie di funzionari destinatari delle deleghe, ponendo i seguenti principi:

"...In base all’art. 42 DPR 600/73 l'avviso di accertamento è nullo se non reca la sottoscrizione del capo dell'Ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato.

A seguito dell’evoluzione legislativa ed ordinamentale sono oggi Impiegati della carriera direttiva" ai sensi dell’art. 42 DPR 600/73. "funzionari della terza area" di cui al comparto delle agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005 (art. 17).

In base al principio di tassatività delle cause di nullità degli atti tributari, non occorre, dunque, ai meri fini della validità dell’atto, che i funzionari deleganti e delegati possiedono la qualifica di dirigente, ancorché essa sia eventualmente richiesta da altre disposizioni..."

Ne deriva che deve ritenersi dimostrata la piena legittimità della delega conferita, al tempo della sottoscrizione, al dott. (...) funzionario della terza area, con delega di firma direttamente rilasciata dal Dirigente di ruolo (Dott. (...)), essendo pertanto il medesimo funzionario da considerare legittimato alla sottoscrizione, (v. doc. - all. 3).

Anche il rilievo ulteriore circa la mancata appartenenza del funzionario delegato alla carriera direttiva è da considerare in ogni caso privo di pregio, sia per l’espressa precisazione della Corte di Cassazione, secondo cui, come sopra riportato " sono oggi "impiegati della carriera direttiva" ai sensi dell’art. 42 DPR 600/73 , i "funzionari della terza area" di cui al comparto delle agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005 (art. 17)", comparto cui appartiene il suddetto dott. sia perché, come ammesso dallo stesso appellante, in ogni caso, la cessazione del medesimo dalle funzioni indicate decorre dal 26-3-2015, data successiva alla sottoscrizione, operata dallo stesso, in forza della delega del Direttore, legittimamente rilasciata.

Nel merito, l’appellante lamenta il mancato esame della documentazione inerente i costi e le spese connessi all’attività di libero professionista esercitata dallo stesso contribuente in qualità di avvocato.

In proposito, si osserva che il ricorrente, con il ricorso introduttivo di primo grado si è limitato a produrre, al doc. 2, una serie di ricevute relative all’acquisto di libri e materiale di cancelleria, per l’anno 2009, di ammontare del tutto irrisorio (non superiore a Euro 300,00), omettendo inoltre di ricostruire la propria posizione contributiva, di cui viene prodotto un solo versamento nell’anno, di Euro 500,00.

Estranei sono invece i costi relativi a polizze assicurative personali o familiari e le spese di soggiorno fuori sede.

Trattasi dunque di documentazione che, come ben rileva l'Ufficio, è del tutto inidonea a consentire la ricostruzione effettiva sia della posizione contributiva (di cui viene fornito un solo ed unico versamento non esteso all’annualità considerata) sia dei costi deducibili (del tutto irrisori ovvero non inerenti), con la conseguente conferma della correttezza dell’accertamento induttivo operato dall’Ufficio, non modificato da alcun elemento di segno contrario, il cui onere probatorio incombeva sullo stesso contribuente.

IRAP

Anche la doglianza relativa all’omessa pronuncia sull’assenza dei requisiti ai fini dell’applicazione dell’Irap e all’errato calcolo della stessa è priva di fondamento.

Infatti, trattandosi di accertamento induttivo, era onere del contribuente attraverso la produzione di idonea documentazione, superare la presunzione di esistenza dei suddetti requisiti organizzativi, desunta peraltro dall’Ufficio da vari e concreti elementi, tra cui la percezione di compensi professionali da plurimi soggetti giuridici e professionisti e non dal solo studio dell’avv. (...) il che fa supporre la presenza di una autonoma base organizzativa.

E’ lo stesso ricorrente a sostenere poi, senza in concreto dimostrarlo, di avere sostenuto, nell’anno considerato, costi per l’esercizio dell’attività professionale. Tuttavia, come rilevato dall’Ufficio, il medesimo non ha neppure prodotto una regolare contabilità ai fini Iva, che avrebbe consentito il riscontro dell’entità dei beni strumentali utilizzati nonché dei costi sostenuti e dell’esistenza di eventuali rapporti con i terzi.

- L’appellante si duole infine della mancata applicazione del continuazione delle sanzioni, ai sensi dell’art. 12 co 1 d.lgs 472/97, secondo cui "quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo".

Il motivo è fondato, nei limiti che seguono.

In specie, va condiviso il principio di cui a cass. Cassazione civile, sez. trib., 17/10/2008, n. 25376) secondo cui:

- "il processo tributario non è annoverabile tra quelli di impugnazione - annullamento, bensì tra quelli di impugnazione- merito, in quanto non è diretto alla mera eliminazione dell’alto impugnato ma alla pronunzia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell'accertamento dell'ufficio" per cui "il giudice che ravvisi l'infondatezza parziale della pretesa dell’amministrazione finanziaria ... non deve (né può) limitarsi ad annullare l'atto impositivo ma deve quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal petitum delle parti".

"...Il giudice tributario, ove ricorrano i necessari presupposti processuali della sua rituale investitura sulla questione, ha il potere - dovere di esaminare tutti i possibili aspetti del potere sanzionatorio esercitato dall'ente impositore a lui sottoposti, compreso quello di determinare (nell'ambito delle richieste delle parti) l’entità delle sanzioni effettivamente dovute.

Inoltre, l’ultimo inciso del quinto comma (come sostituito dal D.Lgs. 30 marzo 2000, n. 99, art. 2) del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, attribuisce specificamente al giudice il potere di rideterminare ("ridetermina") la sanzione complessiva in ipotesi di mancata riunione di processi afferenti a "più atti di irrogazione", tenendo conto delle violazioni risultanti dalle sentenze precedentemente emanate" (3).

In specie è evidente che essendo stati gli avvisi di accertamento per le plurime annualità indicate, e per le stesse violazioni, effettuati con atti notificati in due giorni consecutivi, detto principio debba trovare applicazione, a norma del citato co 1 dell’art. 12, con la rideterminazione della sanzione base aumentata dalla metà al triplo per tutte le violazioni di cui alle indicate annualità, dando atto che l’ammontare della sanzione base è stato determinato dall’Ufficio, nell’odierno accertamento, in Euro 15.861,60 (già incluso l’aumento del 20% di cui al co. 3).

Tuttavia, in specie, questa Commissione non potrà procedere direttamente e in concreto alla rideterminazione delle sanzioni, ponendone solo i criteri.

Infatti, a norma del successivo co 5 dell’art. 12, "se più atti dì irrogazione danno luogo a processi non riuniti o comunque introdotti avanti a giudici diversi, il giudice che prende cognizione dell'ultimo di essi ridetermina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni risultanti dalle sentenze precedentemente emanate".

In specie, nel presente giudizio, si verte della sola annualità 2009, non essendo stato allegato né provato in atti, per le restanti annualità contestate con i coevi accertamenti, né la pendenza di altri eventuali procedimenti né l’emanazione di precedenti sentenze.

Dovrà pertanto l’Ufficio, sulla base del posto principio, (dandosi atto che nell’odierno accertamento la sanzione è stata indicata in Euro 15.861,60, procedere alla rideterminazione delle sanzioni, ai sensi del co 1 dell’art. 12 citato, con la maggiorazione minima, ritenuta congrua, del 50%.

L’appello deve essere pertanto accolto nei limiti indicati e respinto per il resto.

Le spese seguono la parziale soccombenza dell’appellante a carico del quale si liquidano, nella misura di metà, in favore dell'Ufficio, e pertanto in Euro 1.000,00, dichiarando compensata la restante metà.

 

P.Q.M.

 

In parziale accoglimento dell’appello

manda

all’Ufficio di procedere alla rideterminazione delle sanzioni, ai sensi del co 1 dell’art. 12 citato.

conferma

nel resto la sentenza impugnata.

condanna

l’appellante al pagamento della metà delle spese liquidate nel già ridotto importo di E.1.000,00 in favore dell’Ufficio, compensata la restante metà.