Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 02 ottobre 2017, n. 22985

Licenziamento disciplinare - Associazione sportiva dilettantistica - Doppia remunerazione - Addetta alla segreteria -Rapporto di lavoro unitario

 

Fatti di causa

 

La Corte d'appello di Genova, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, ha respinto l'impugnativa del licenziamento disciplinare intimato a F. L. dall'Associazione sportiva dilettantistica tiro a segno nazionale - sezione di Rapallo ed ha condannato tale associazione a corrispondere alla sua ex dipendente la somma di € 17.950,00.

Per quel che qui ancora interessa, cioè l'ammontare delle spettanze economiche, la Corte di merito ha ritenuto infondata la tesi della predetta Associazione, secondo la quale la doppia remunerazione di cui la F. usufruiva, vale a dire lo stipendio e le erogazioni percepite fuori busta paga, era riferibile a due attività di tipo diverso, vale a dire una di natura subordinata di addetta alla segreteria e l'altra di collaborazione all'attività dilettantistica del tiro a segno. Quindi, la Corte territoriale ha ritenuto che il rapporto di lavoro intrattenuto dalla F. con la predetta Associazione non poteva che considerarsi unitario alla luce delle risultanze istruttorie.

Per la cassazione della sentenza ricorre l'Associazione sportiva dilettantistica tiro a segno nazionale - sezione di Rapallo con cinque motivi.

Resiste con contricorso L. F..

Le parti depositano memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

Si premette che il collegio ha autorizzato la redazione della presente sentenza in forma semplificata.

Si osserva, anzitutto, che l'eccezione preliminare di difetto dello "ius postulando del difensore della ricorrente Associazione, formulata dalla difesa della F., è infondata, atteso che dal tenore dell'atto nel suo complesso balza evidente che il mandato è stato conferito al difensore anche per il ricorso per cassazione.

1. Col primo motivo, dedotto per violazione degli artt. 2094 e 2697 cod. civ., la ricorrente imputa alla Corte d'appello di Genova di aver invertito l'onere della prova nel momento in cui ha preteso che competesse all'associazione dimostrare che l'attività svolta dalla F. quale socia e, quindi, ulteriore rispetto a quella amministrativa di cui la medesima si occupava quale dipendente, era stata eseguita in maniera autonoma. Al contrario, secondo la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto prendere atto della duplice posizione della F. nella società, quale dipendente e quale socia, e pretendere dalla medesima l'onere di dimostrare che anche l'attività complementare era stata da lei svolta sotto il vincolo della subordinazione.

2. Col secondo motivo, proposto per violazione dell'art. 2729 cod. civ., la ricorrente sostiene che le presunzioni utilizzate dalla Corte di merito per addivenire al convincimento della unitarietà della natura subordinata delle attività svolte dalla F. non possedevano le note caratteristiche della gravità, della precisione e della concordanza.

3. Col terzo motivo, formulato per violazione dell'art. 116 c.p.c., si imputa alla Corte d'appello un cattivo uso del potere valutativo delle prove laddove la stessa è pervenuta al convincimento che i testi avevano affermato che la F. svolgeva l'attività associativa, per la quale era stata remunerata, sotto il vincolo della subordinazione; invece, spiega la ricorrente, gli stessi testi avevano semplicemente affermato che tali compensi costituivano una sorta di arrotondamento dello stipendio.

4. Col quarto motivo, dedotto per violazione dell'art. 116 c.p.c. e dell'art. 2697 cod. civ., la ricorrente lamenta l'erroneità della decisione nella parte in cui la Corte di merito ha riconosciuto il credito della F. risultante dal ricalcolo dei compensi ricevuti per l'attività svolta quale socia e sostiene che l'onere della prova di aver percepito compensi ulteriori rispetto a quelli certificati dall'associazione gravava sulla F.; inoltre, non potevano essere utilizzati documenti dalla medesima sottoscritti, tenuto conto della loro contestazione in giudizio.

5. Col quinto motivo la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 92 c.p.c., assumendo che la soccombenza della controparte su un capo della domanda in entrambi i giudizi di merito avrebbe dovuto indurre la Corte d'appello a compensare le spese di lite.

6. Osserva la Corte che i primi quattro motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati: invero, anche se tali motivi sono prospettati come censure volte alla denunzia di vizi di violazione di legge, essi rappresentano, in realtà, un tentativo di rivisitazione del merito istruttorio, adeguatamente scrutinato, in ordine alla ravvisata  unitarietà del rapporto di lavoro subordinato posto a base del riconoscimento delle differenze retributive.

In effetti la Corte territoriale, seguendo un ragionamento logico-giuridico corretto, basato oltre che sulle presunzioni anche sull'esito della prova testimoniale e sull'esame dei documenti acquisiti agli atti del procedimento, ha spiegato che l'attività puramente materiale di assistente alle gare di tiro a segno svolta dalla F., che era segretaria dell'ente sportivo, costituiva una componente accessoria della prestazione lavorativa subordinata sulla quale si reggeva il rapporto, avendo la medesima conseguito la licenza di tiro solo negli ultimi mesi del rapporto lavorativo, dopo che per anni, ogni mese, aveva prestato una tale collaborazione operativa, la qual cosa escludeva la natura occasionale dei compensi che le venivano in quel modo corrisposti (una parte della remunerazione in busta paga ed un'altra fuori busta). Era poi risultato che questi ultimi le venivano costantemente erogati, anche mediante dazioni fuori busta, ed inoltre alcune delle ricevute prodotte, riferibili con certezza all'Associazione, facevano riferimento alla collaborazione sui bilanci, vale a dire ad un'attività tipica di segretaria amministrativa, qual'era quella svolta dall'odierna controricorrente.

7. Non è dato, perciò, ravvisare alcuna violazione del principio dell'onere della prova o del governo dei poteri valutativi del materiale istruttorio, rappresentando le suddette censure solo il frutto di una contrapposta valutazione degli stessi fatti, degli stessi documenti e delle dichiarazioni testimoniali a quella operata correttamente dalla Corte d'appello, che non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità allorquando, come nella fattispecie, la decisione del giudice di merito riposa su una adeguata valutazione del materiale probatorio, esente da errori di ordine logico-giuridico.

8. Anche l'ultima censura sul governo delle spese è infondata perché la Corte di merito, nel compensarle solo per metà e nell'addossare la restante metà all'Associazione sportiva, ha esercitato il proprio potere di regolazione delle spese in presenza della soccombenza reciproca delle parti in modo non irragionevole, né illogico, in quanto ha fatto riferimento sia alla prevalenza della soccombenza dell'Associazione sulla domanda economicamente più rilevante delle differenze retributive, sia al principio della causalità, tenuto conto che l'azione della lavoratrice si era resa necessaria per ottenere un pagamento mai onorato prima della causa.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate a suo carico come da dispositivo, unitamente al contributo unificato di cui all'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di € 2.700,00, di cui € 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.