Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 29 settembre 2017, n. 22956

Fallimento - Ammissione al passivo - Credito per attività di amministratore della società - Collocazione in privilegio del minor credito connesso all'attività di direttore tecnico della società - Oggettiva entità del credito ammesso in privilegio

 

Rilevato che

 

S.M. presentava opposizione allo stato passivo del fallimento E. srl, a fronte della reiezione dell'ammissione al passivo del credito di euro 1.058.586,68 connesso all'attività di amministratore della società nel periodo dal 30/4/97 al 28/10/2012, per la collocazione in privilegio del (minor) credito di euro 54.707,19, asseritamente ammesso nel superiore importo di euro 57.707,19, connesso all'attività di direttore tecnico della società nel periodo dal 30/4/97 al 30/5/2013, e per la collocazione al chirografo del credito di euro 138.000,00 già ammesso come postergato, derivante dall'avvenuta escussione dei pegni costituiti dal ricorrente a garanzia di obbligazioni della società.

Con decreto del 3/3/2016, il Tribunale di Roma ha parzialmente accolto l'opposizione allo stato passivo del Fallimento E. srl, proposta da S.M., modificando lo stato passivo collocando il credito di euro 138.000,00 in grado chirografario, ferma la collocazione quale credito postergato del residuo credito ammesso di euro 320.470,04.

Nello specifico, il giudice del merito ha rilevato che dal verbale del 31/10/2013, risultava che il M. aveva condiviso espressamente il parere del curatore e quindi l'oggettiva entità del credito ammesso, da cui la reiezione della richiesta collocazione al privilegio della minor somma di euro 54.707,19, credito in radice escluso dal provvedimento impugnato, in relazione al quale il ricorrente non aveva avanzato specifiche censure; ha escluso il credito per le differenze retributive e per l’indennità di fine mandato come amministratore, rilevando che tale figura non rientra di per sé nel novero degli incarichi dirigenziali, che gli emolumenti devono essere stabiliti dall'assemblea dei soci e, in mancanza giudizialmente in via equitativa, sempre sul presupposto della prova della qualità e quantità delle prestazioni svolte, carente nella specie.

Ricorre sulla base di sei motivi il M..

Il Fallimento non svolge difese.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

 

Considerato che

 

Col primo motivo, il M. si duole della mancata ammissione del credito derivante dall'attività di amministratore, da liquidarsi giudizialmente sulla base del CCNL dirigenti, come richiesto e non sulla base dell'equità; col secondo, deduce che il Tribunale avrebbe dovuto applicare analogicamente il CCNL dirigenti secondo la relazione allegata alla richiesta e mai contestata, di talché ai sensi dell'art.115 cod.proc.civ, l'attività è stata certamente determinata nella quantità, e si duole della violazione del principio di vicinanza della prova, della mancata valutazione dell'attestazione SOA n. 11932/11/00, in cui viene indicato il M. come amministratore e direttore tecnico e la parte aveva cessato dalla carica oltre sei mesi prima.

Col terzo, si duole della violazione dell'art. 12 disp. preleggi, in relazione alla mancata ammissione del credito vantato come direttore tecnico, sostenendo l'errata interpretazione del provvedimento del G.D. che aveva ammesso tutte le altre somme in chirografo come provato dalle stesse conclusioni del Curatore al Tribunale; col quarto,sostiene la violazione del giudicato endofallimentare, avendo il Curatore solo in sede di costituzione avanzato la domanda di modifica dello stato passivo con l'impugnazione ex art. 98, comma 3, legge fall.; col quinto, denuncia la violazione degli artt. 112, 114, 115 e 116 cod. proc.civ. ribadendo che il G.D. non aveva escluso il credito fatto valere come direttore tecnico, ma ammesso come postergato e che comunque il credito è stato provato con l'attestato SOA; col sesto, si duole della ritenuta mancata prova del rapporto di lavoro quale direttore tecnico, mentre la prova è data con l'attestato SOA.

Sono manifestamente infondati i primi due motivi, atteso che il Tribunale ha fondato la statuizione di rigetto sul rilievo della mancata prova della qualità e quantità delle prestazioni rese, in relazione al quale il ricorrente fa valere la mancata valutazione dell'attestazione SOA, che di per sé non può considerarsi neppure in tesi idonea a contrastare il profilo probatorio specificamente richiamato dal Tribunale. E' anche manifestamente infondato il richiamo al principio di vicinanza della prova, il cui uso, come affermato nella pronuncia 17108 del 2016, è consentito solo quando sia necessario dirimere un'eventuale sovrapposizione tra fatti costitutivi e fatti estintivi, impeditivi o modificativi, oppure quando, assolto l'onere probatorio dalla parte che ne sia onerata, sia l'altra a dover dimostrare, per prossimità alla suddetta fonte, fatti idonei ad inficiare la portata di quelli dimostrati dalla controparte.

E sulla determinazione del compenso aII'amministratore si richiama in particolare la pronuncia 23004/2014, che ha statuito che in tema di compenso degli amministratori di società di capitali, laddove manchi una disposizione dell'atto costitutivo e l'assemblea si rifiuti o ometta di stabilirlo o lo determini in misura inadeguata, l'amministratore è abilitato a richiederne al giudice la determinazione, anche in via equitativa, purché alleghi e provi la qualità e quantità delle prestazioni concretamente svolte, risultando di per sé sola insufficiente l'indicazione del compenso pattuito in esercizi sociali di anni diversi.

Anche il terzo mezzo è manifestamente infondato, attesa l'interpretazione offerta dal Tribunale, nella valutazione proprio del tenore letterale del provvedimento del GD (vedi il richiamo al parere del curatore, condivisibile).

E, come affermato dalle Sez. U. nella pronuncia 11501 del 2008, ai fini dell'interpretazione di provvedimenti giurisdizionali - nella specie del decreto di liquidazione dei compensi al C.T.U. - si deve fare applicazione, in via analogica, dei canoni ermeneutici prescritti dagli artt. 12 e seguenti disp. prel. cod. civ., in ragione dell'assimilabilità per natura ed effetti agli atti normativi, secondo l'esegesi delle norme (e non già degli atti e dei negozi giuridici), al pari del giudicato interno ed esterno e della sentenza rescindente, in quanto dotati di "vis imperativa" e indisponibilità per le parti; ne consegue che la predetta interpretazione si risolve nella ricerca del significato oggettivo della regola o del comando di cui il provvedimento è portatore.

E d'altronde, se il G.D. avesse effettivamente inteso ammettere il credito per le prestazioni di direttore tecnico, non vi sarebbe stata ragione per postergarlo, e quindi correttamente il Tribunale ha ritenuto che l'esclusione non era stata specificamente contestata con l'opposizione e che mancava comunque la prova del rapporto.

Nel resto, va ribadito il principio espresso tra le ultime nella pronuncia 19596 del 2016, secondo cui le qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali sono cumulatali purché si accerti l'attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale ed è altresì necessario che colui che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato fornisca la prova del vincolo di subordinazione e cioè dell'assoggettamento, nonostante la carica sociale rivestita, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione della società.

Non si dà pronuncia sulle spese, non essendosi costituito l'intimato.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.