Prassi - MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO - Nota 09 dicembre 2016, n. 387029

Attività degli spedizionieri - Libera prestazione di servizi

 

Con nota acquisita da questa Amministrazione con prot. n. 361966 del 17 novembre 2016 è stato posto a questa quesito concernente la normativa applicabile ad una società stabilita in altro Stato Membro dell’Unione europea operante in Italia in regime di libera prestazione di servizi.

In via preliminare, codesto Studio richiama la posizione interpretativa secondo cui «le attività di "spedizioniere" e di "intermediario di spedizione" ricad[o]no nella nozione di "agenzie di affari" di cui all’art. 115» del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante il «Testo unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza», a mente del cui primo comma «non possono condursi agenzie di prestiti su pegno o altre agenzie di affari, quali che siano l’oggetto e la durata, anche sotto forma di agenzie di vendita, di esposizioni, mostre o fiere campionarie e simili, senza darne comunicazione al Questore» (la comunicazione è ora rivolta allo Sportello unico per le attività produttive in forza dell’articolo 2, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160).

Si evoca quindi il principio unionale della libera prestazione di servizi, posto e disciplinato sia da norme dei Trattati (nello specifico, gli articoli da 56 a 62 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) che dalle disposizioni della direttiva 2005/36/CE, recentemente modificata dalla direttiva 2013/55/UE, entrambe recepite nel decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206. La libertà di prestare servizi comporta per i prestatori che legittimamente operano in uno Stato membro dell’Unione, siano essi persone fisiche o giuridiche, il diritto ad offrire i propri servizi (ovvero, ai sensi dell’articolo 57 TFUE la, prestazioni fornite generalmente dietro remunerazione nella misura in cui esse non risultino regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone) a destinatari residenti in altri Stati membri, su base temporanea e senza che da ciò derivi la necessità di uno stabilimento nello Stato del destinatario della prestazione offerta. Il nucleo contenutistico del diritto in parola è individuato dal terzo paragrafo dell’articolo 57 TFUE, ove si stabilisce che «senza pregiudizio delle disposizioni del capo relativo al diritto di stabilimento, il prestatore può, per l’esecuzione della sua prestazione, esercitare, a titolo temporaneo, la sua attività nello Stato membro ove la prestazione è fornita, alle stesse condizioni imposte da tale Stato ai propri cittadini». In forza del rinvio operato dall’articolo 62 agli articoli 51, primo paragrafo, e 52, primo paragrafo, il TFUE consente ad uno Stato membro di escludere dalla libertà di prestare servizi attività e specifiche funzioni che partecipino, sia pure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri, nonché di mantenere in vigore disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che prevedano un regime particolare per i cittadini stranieri giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica.

Le norme unionali richiamate risultano attuate, nell’ambito della disciplina concernente l’attività degli spedizionieri, dalle disposizioni di cui ai commi 3 e 3-bis dell’articolo 11 (rubricato «Esercizio dell’attività sul territorio nazionale») del decreto del Presidente della Repubblica 14 dicembre 1999, n. 558, i quali rispettivamente stabiliscono che «l’impresa avente sede in uno Stato membro dell’Unione europea che, in base alle leggi di quello Stato, è abilitata a svolgere l’attività di spedizioniere, può liberamente prestare tale attività sul territorio italiano anche senza stabilirvi una sede» e che «gli spedizionieri comunitari che esercitano in Italia l’attività di spedizione in qualità di prestatori di servizi non sono soggetti all’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese».

Tutto ciò premesso, si chiede «se una società non avente sede legale in Italia, e nemmeno presente in Italia con una sede secondaria, uno stabilimento o un ufficio, sia tenuta, ai fini dello svolgimento dell’attività di "spedizioniere" e/o di "intermediario di spedizione", a trasmettere la Comunicazione ex art. 115 TULPS». Nell’eventualità in cui al quesito sia data risposta affermativa, si chiede ancora «quale sia l’Ufficio competente a ricevere la Comunicazione ex art. 115 TULPS e come la competenza debba essere individuata, tenuto conto del fatto che l’impresa non ha sedi o stabilimenti in Italia e non è iscritta nel registro delle imprese; quali siano inoltre gli adempimenti necessari per la presentazione della Comunicazione ex art. 115 TULPS».

Nel merito si rappresenta quanto di seguito.

Si deve evidenziare come sia le norme unionali, sia la costante giurisprudenza della Corte di giustizia pongano per l’istituto della libera prestazione temporanea ed occasionale di servizi la regola dell’applicazione al prestatore comunitario della legislazione dello Stato membro di stabilimento, viceversa vietando la piena estensione nei suoi confronti della disciplina normativa posta dallo Stato di prestazione del servizio (stabilendo, in altre parole, la prevalenza dell’home State rule sull’host State rule).

Nello specifico la Corte di giustizia dell’Unione europea ha avuto modo di pronunciarsi in tema di libera prestazione di servizi da parte di spedizionieri comunitari, tra le altre, nella risalente causa pregiudiziale C-264/99 (Commissione europea c/ Repubblica italiana). Nella sentenza che ha definito il giudizio, vertente sull’obbligo, allora vigente, di iscrizione all’elenco degli spedizionieri presso la Camera di commercio, la Corte ha espresso principi pianamente applicabili anche alla fattispecie in esame. I giudici, rilevato che anche un obbligo non direttamente discriminatorio può costituire «un ostacolo, per l’operatore economico stabilito in uno Stato membro diverso dalla Repubblica italiana, all’esercizio della sua attività in quest’ultimo Stato», e che tale circostanza risulta tanto più determinante in quanto essa inveri «una condizione essenziale per lo svolgimento di tale attività nel territorio italiano», si richiamano alla costante giurisprudenza della Corte secondo cui «l’art. 49 CE [ora articolo 56 TFUE] esige non solo l’eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di servizi a motivo della sua cittadinanza, ma altresì la soppressione di qualsiasi restrizione, anche se applicata indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, allorché essa sia tale da turbare le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro in cui fornisce legittimamente servizi analoghi (...). In particolare, uno Stato membro non potrebbe subordinare l’esecuzione della prestazione dei servizi nel suo territorio all’osservanza di tutte le condizioni richieste per lo stabilimento, perché altrimenti priverebbe di ogni effetto utile le disposizioni del Trattato destinate a garantire la libera prestazione dei servizi».

Alla luce di quanto sin qui esposto, venendo alla fattispecie in relazione alla quale è formulato il quesito, si ritiene che l’applicazione dell’articolo 115 TULPS ad uno spedizioniere stabilito in altro Stato membro dell’Unione europea, e conseguentemente la pretesa da esso dell’invio della comunicazione prevista dal primo comma della norma, costituisca una violazione della normativa europea, riveniente dalle richiamate disposizioni tanto dei Trattati che delle direttive citate. Alla questione se «una società non avente sede legale in Italia, e nemmeno presente in Italia con una sede secondaria, uno stabilimento o un ufficio, sia tenuta, ai fini dello svolgimento dell’attività di "spedizioniere" e/o di "intermediario di spedizione", a trasmettere la Comunicazione ex art. 115 TULPS» deve dunque darsi risposta negativa. Non è, conseguentemente, necessario esaminare la seconda questione, ad essa subordinata, posta da codesto Studio.