Giurisprudenza - TRIBUNALE DI ROMA - Ordinanza 07 febbraio 2017, n. 13018

Rapporto di lavoro - Agenzia di lavoro interinale - Dequalificazione professionale - Assenza dal lavoro - Rifiutato di riprendere il lavoro - Licenziamento

 

Esposizione dei fatti

 

Con ricorso depositato telematicamente il 9 settembre 2016 ed iscritto a ruolo lo stesso giorno, S. B. ha riassunto tempestivamente ex art. 50 c.p.c. la causa r.g. n. 1505/2016 iniziata presso il Tribunale Civile di Velletri ex art. 1, comma 48, l. n. 92/2012.

La ricorrente ha premesso di aver lavorato per la società R. Ltd dapprima tramite un’agenzia di lavoro interinale, nel periodo dal febbraio 2008 al maggio 2009, per poi essere assunta dal 1° giugno 2009 direttamente dalla R., al fine di svolgere le mansioni di "assistente di volo", addetta ai servizi complementari di bordo, presso lo scalo di Bergamo. Tale contratto prevedeva una retribuzione pari ad euro 10.200,00 annui oltre ad un bonus per le vendite a bordo ed un’indennità basata sulle ore effettive di volo per cui la retribuzione mensile era pari a circa 1.500,00 euro.

Con lettera del 22 gennaio 2010 la ricorrente è stata promossa alla qualifica superiore di "responsabile di cabina" a partire dal 28 marzo 2010, con conseguente aumento della retribuzione annua ad €12.270,00 per una retribuzione complessiva mensile di circa €2.000,00.

In data 1° novembre 2010 è stata assegnata all’aeroporto di Ciampino ed adibita alle mansioni inferiori di "assistente di volo" con riduzione della retribuzione mensile a circa €1.500,00, sottoscrivendo un identico contratto di lavoro senza però alcun supplemento annuo.

In data 1° aprile 2014 la ricorrente è stata nuovamente promossa "responsabile di cabina" prestando quindi attività con tale qualifica sino al 31 marzo 2015 e ricevendo una retribuzione mensile di circa €2.000,00.

Il 1° aprile 2015 è stata dequalificata venendole nuovamente assegnate le mansioni di assistente di volo con riduzione della retribuzione a circa €1.500,00. Con lettere del 21 aprile 2015 e del 10 giugno 2015 ha formulato eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., dichiarandosi disponibile a lavorare solamente nel momento in cui fosse stata nuovamente adibita alle mansioni di responsabile di cabina con il relativo trattamento economico, avendo ella svolto in precedenza mansioni di responsabile di cabina per un periodo pacificamente di 12 mesi e senza che vi fossero ragioni sostitutive di lavoratori assenti con il diritto alla conservazione del posto (art. 2103 c.c.).

A fronte del silenzio serbato dalla R., la ricorrente ha visto insorgere un progressivo e crescente stato ansioso-depressivo con disturbi del sonno; per tali motivi è stata assente per malattia fino al 4 luglio 2015. Inoltre, la stessa, vittima di un’illegittima dequalificazione professionale, ha subito ripercussioni sulle proprie capacità professionali ed anche sulla vita privata e sulla propria identità.

Cessata la malattia, ha rinnovato l’eccezione di inadempimento tramite email del 6 luglio 2015. In data 27 luglio 2015 la società R. l’ha invitata a presentarsi il giorno 4 agosto 2015 a Londra per essere sottoposta a visita medica.

Dopo ulteriori scambi di corrispondenza, con lettera del 14 agosto 2015, la soc. R., ricordandole che, cessata la malattia, la visita medica non era più necessaria, le ha comunicato il suo "inserimento nel piano volo a partire dal 21 agosto nel ruolo di Assistente di Volo Junior". Il 21 agosto 2015 è stato emesso il foglio turno che prevedeva la sua assegnazione a mansioni, ancora una volta, di "assistente di volo junior" solo a partire dal 22 agosto 2015. Lo stesso giorno ella ha rinnovato l’eccezione di inadempimento mentre la società resistente le ha inviato un "rapporto di non presentazione" per il giorno 21 agosto 2015. La ricorrente ha quindi fatto presente che per tale giorno non era previsto alcun volo. La società, ignorando le giustificazioni già fornite, cioè la disponibilità ad eseguire la propria prestazione lavorativa solo a fronte della adibizione alle mansioni di responsabile di cabina, ha fissato la data di un incontro a Dublino per ottenere i medesimi chiarimenti già più volte ribaditi.

Con lettera del 16 ottobre 2015, la lavoratrice è stata licenziata per presunto "abbandono del posto di lavoro, rifiuto di riprendere le proprie mansioni lavorative e prendere parte all’incontro fissato per il 16 settembre a Dublino".

La ricorrente ha impugnato il licenziamento con lettera raccomandata datata 4 novembre 2015, ricevuta dalla resistente in data 10 novembre 2015.

Il comportamento della società resistente (dequalificazione prima e privazione di mansioni poi) viene dalla lavoratrice ritenuto in contrasto con il principio di cui all’art. 2103 c.c. e, al tempo stesso, con il fondamentale diritto al lavoro, inteso soprattutto come mezzo di estrinsecazione della personalità di ciascun cittadino, nonché lesivo dell’immagine e della professionalità, ineluttabilmente mortificate dal mancato esercizio delle prestazioni tipiche della qualifica di appartenenza. Viene pertanto lamentata la violazione degli artt. 2103 e 2087 c.c. nonché degli artt. 2, 4, 32 e 41 Cost., e dei principi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) cui deve sempre ispirarsi l’attuazione del rapporto di lavoro.

In particolare, dopo aver affermato la giurisdizione del giudice italiano in virtù dell’art. 21 del Reg. CE 1215/2012 e ritenuta applicabile la legge italiana in base al Reg. (CE) 593/2008, la ricorrente lamenta l’illegittimità del licenziamento per carenza di giusta causa e/o di giustificato motivo soggettivo - insussistenza dei fatti contestati.

Chiede pertanto la tutela reintegratoria unitamente a quella risarcitoria poiché il fatto che ha dato causa al licenziamento non sussiste. Ritiene altresì configurabile un’ipotesi di licenziamento per ritorsione ricondotto dalla giurisprudenza di legittimità, data l’analogia di struttura, alla fattispecie del licenziamento discriminatorio e pertanto nullo. In alternativa, rinviene ipotesi di licenziamento per motivo illecito/nullo ex artt. 1345 e 1324 c.c. Conseguentemente, il rapporto di lavoro deve considerarsi come mai interrotto, con diritto a tutte le retribuzioni maturate dalla data della comunicazione del licenziamento a quella della sentenza declaratoria della nullità.

S. B. chiede dunque: 1) dichiarare la nullità e/o illegittimità del licenziamento intimato con lettera datata 16.10.2015; 2) ordinare alla società resistente la sua immediata reintegrazione nel proprio posto di lavoro e condannare la medesima società al pagamento delle retribuzioni globali di fatto dalla data del licenziamento sino alla reintegrazione, sulla base di €2.000,00 mensili (o della diversa somma ritenuta di giustizia) a titolo di risarcimento o di adempimento; condannare altresì la società resistente al versamento dei contributi previdenziali e assicurativi; 3) in subordine, condannare la società al pagamento, ai sensi dell’art. 18, 5° comma, l. n. 300/1970, così come novellato dalla l. n. 92/2012, dell’indennità risarcitoria nella misura massima di 24 mensilità, o nella diversa misura ritenuta equa, sulla base di €2.000,00 mensili (o della diversa somma ritenuta di giustizia). Con rivalutazione monetaria ed interessi, con vittoria di spese, competenze, onorari ed accessori di legge.

La R. Ltd, costituitasi telematicamente il 1° dicembre 2016, ha preliminarmente eccepito la nullità della notificazione del ricorso in quanto l’atto è stato consegnato presso la sede secondaria sita in Milano aperta per sole ragioni fiscali ai sensi dell’art. 38, comma 1, d.l. n. 179/2012, presso lo studio di un commercialista, anziché presso la sede legale sita in Dublino, nonché per mancata traduzione dell’atto in inglese.

Ha poi eccepito il difetto di giurisdizione, spettando la stessa all’autorità giudiziaria irlandese sia per volontà delle parti espressa in occasione della assunzione, sia in base ai criteri stabiliti dal Regolamento dell’Unione Europea n. 1215 del 2012 giacché la ricorrente lavora stabilmente su aeromobili iscritti nel registro irlandese e che quindi sono territorio irlandese, mentre presso l’aeroporto di Ciampino non vi è alcun ufficio o struttura amministrativa.

Ha poi sostenuto che la legge applicabile al rapporto è quella irlandese sia in forza della Convenzione di Roma del 1980, che in applicazione del regolamento UE 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali.

Nel merito, ha sostenuto che il licenziamento è pienamente legittimo in base a quanto stabilito dalla legge irlandese; e che, anche nell’ipotesi in cui si facesse riferimento alla legge italiana, sarebbe ugualmente legittimo stante l’assenza ingiustificata protratta per lungo tempo e la insussistenza delle condizioni per opporre eccezione di inadempimento.

 

Motivi della decisione

 

1. - Deve preliminarmente respingersi l’istanza avanzata dalla convenuta di fissazione di nuova udienza nel rispetto dei termini di difesa ordinandosi la notificazione in lingua inglese presso la sede legale in Dublino.

Invero, la società si era già regolarmente costituita dinanzi al Tribunale di Velletri (v. estratto del registro di cancelleria del procedimento conclusosi con declaratoria di incompetenza per territorio sub doc. 28 produzione ricorrente).

Pertanto, è evidente che il ricorso in riassunzione avrebbe piuttosto dovuto essere notificato presso il procuratore costituito ai sensi dell’art. 170 c.p.c. (e non già quindi presso quella che la ricorrente ha ritenuto essere una sede italiana in Milano), senza necessità certo di traduzione in inglese essendo atto diretto al procuratore.

In ogni caso, non solo la convenuta si è ora costituita nel rispetto del termine di cinque giorni prima dell’udienza di discussione (originariamente fissata per il giorno 6 dicembre 2016), ma aveva già avuto modo di investire il proprio legale della questione come risulta dal deposito di atto di richiesta di visibilità del fascicolo in data 7 novembre 2016. Inoltre, non potrebbe accogliersi l’istanza poiché l’atto ha raggiunto pienamente lo scopo, essendosi la convenuta regolarmente e tempestivamente costituita spiegando molto ampiamente le proprie difese senza peraltro formulare neppure alcuna riserva in merito alla necessità di argomentare ulteriormente.

2. - Rammentato che "la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo" (art. 5 c.p.c.), essendo il presente giudizio iniziato dinanzi al Tribunale di Velletri l’8 aprile 2016, la sussistenza della giurisdizione deve essere verificata in base al nuovo Regolamento UE 12/12/2012, n. 1215, in Gazzetta Uff. 20/12/2012, n. 351, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.

Tale Regolamento, giusta quanto prevede l’art. 81 dello stesso, è entrato in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea e si applica a decorrere dal 10 gennaio 2015 ad eccezione degli articoli 75 e 76 (che prevedono adempimenti a carico degli Stati membri) che si applicano invece a decorrere dal 10 gennaio 2014.

Deve farsi quindi esclusivo riferimento alle nuove disposizioni avendo cessato di avere vigore quelle del precedente Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.

Secondo il criterio generale fissato dall’art. 4 del nuovo Regolamento n. 1215/2012, la giurisdizione spetta al giudice del luogo in cui in convenuto è domiciliato, a prescindere dalla sua cittadinanza.

Ma, in ragione di quanto indicato al punto 18 del preambolo del Regolamento ("Nei contratti di assicurazione, di consumo e di lavoro è opportuno tutelare la parte più debole con norme in materia di competenza più favorevoli ai suoi interessi rispetto alle regole generali"), vengono appunto dettati criteri particolari per ciò che concerne le controversie individuali di lavoro.

La Sezione 5 del Regolamento contiene le regole speciali per tale genere di controversie: l’art. 20 stabilisce, invero, che le norme contenute nella sezione disciplinano la competenza nella materia delle controversie individuali di lavoro salvo le ipotesi particolari di cui all’art. 6 (convenuto non domiciliato in alcuno Stato membro), all’art. 7, punto 5 (per controversia concernente l’esercizio di una succursale, di un’agenzia o di qualsiasi altra sede d’attività, rileva il luogo in cui la stessa è situata) ed all’art. 8, punto 1 (pluralità di convenuti).

L’art. 21 disciplina specificamente i criteri di individuazione del giudice per le dette controversie. L’art. 22 impone al datore di lavoro di convenire in giudizio il lavoratore solo nel luogo di domicilio del medesimo, salvo che non si tratti di azione riconvenzionale. L’art. 23 sancisce i ristretti limiti entro cui è possibile la deroga alle regole.

In particolare l’art. 21 recita:

"1. Il datore di lavoro domiciliato in uno Stato membro può essere convenuto:

a) davanti alle autorità giurisdizionali dello Stato in cui è domiciliato; o b) in un altro Stato membro:

i) davanti all’autorità giurisdizionale del luogo in cui o da cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività o a quello dell’ultimo luogo in cui o da cui svolgeva abitualmente; o

ii) qualora il lavoratore non svolga o non abbia svolto abitualmente la propria attività in un solo paese, davanti all’autorità giurisdizionale del luogo in cui è o era situata la sede d’attività presso la quale è stato assunto".

Si osserva che la corrispondente disposizione del Regolamento n. 44/2001 era parzialmente diversa. Infatti l’art. 19 così recitava:

"Il datore di lavoro domiciliato nel territorio di uno Stato membro può essere convenuto:

1) davanti ai giudici dello Stato membro in cui è domiciliato o

2) in un altro Stato membro:

a) davanti al giudice del luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività o a quello dell’ultimo luogo in cui la svolgeva abitualmente, o

b) qualora il lavoratore non svolga o non abbia svolto abitualmente la propria attività in un solo paese, davanti al giudice del luogo in cui è o era situata la sede d’attività presso la quale è stato assunto".

Il nuovo Regolamento del 2012 ha quindi aggiunto, come ulteriore foro alternativo rispetto a quello del luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività, quello del luogo da cui l’attività viene svolta.

Se quindi, in forza del regolamento 2001/44, nella specie, si sarebbe dovuto rilevare che la lavoratrice svolgeva abitualmente la propria attività soltanto a bordo degli aeromobili, considerati territorio irlandese in base alla disposizione di cui all’art. 17 della Convenzione internazionale per l’aviazione civile, stipulata a Chicago il 7 dicembre 1944 ed approvata con Decreto legislativo 6 marzo 1948, n. 616, in quanto limitata è certamente l’attività preparatoria del volo o solo amministrativa svolta presso l’aeroporto di Ciampino (a prescindere dalla questione circa l’effettiva consistenza delle strutture materiali e del personale ivi presente), in virtù della disposizione del nuovo regolamento del 2012 non sembra possa negarsi che, avendo rilievo anche il luogo da cui viene svolta l’attività lavorativa, è sufficiente rilevare che la ricorrente prendeva servizio sempre dall’aeroporto di Ciampino e, dunque, pur compiendo la parte essenziale del proprio lavoro a bordo di aeromobili irlandesi, è dal territorio italiano che ella svolgeva la sua attività.

Deve perciò reputarsi correttamente adito il giudice italiano.

3. - Per quanto riguarda, invece, la questione relativa alla individuazione della legge applicabile, si deve giungere alla conclusione che, come ritenuto dalla convenuta, debba farsi riferimento alla legge irlandese.

La ricorrente evidenzia che la Convenzione di Roma del 1980 è stata sostituita dal Regolamento (CE) 593/2008, noto anche come "Regolamento Roma I", entrato in vigore il 17.12.2009.

Il Regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), come indicato dalla ricorrente, è entrato in vigore il 17 dicembre 2009 (art. 29), ma, proprio per questo non è applicabile nella presente controversia che riguarda un rapporto di lavoro a tempo indeterminato che è stato costituito in virtù di contratto del 12 maggio 2009 efficace dal 1° giugno 2009 (doc. 1 produzione ricorrente e doc. 1 produzione convenuta).

L’art. 28 del Regolamento (Applicazione nel tempo) stabilisce espressamente:

"Il presente regolamento si applica ai contratti conclusi dopo il 17 dicembre 2009".

Quando è stato costituito il vincolo negoziale non era quindi ancora in vigore il Regolamento (CE) 593/2008 e, pertanto, per individuare la legge sostanziale applicabile al rapporto deve farsi riferimento alla disciplina precedente che era invece in vigore quando le parti hanno raggiunto l’accordo.

Non è forse inutile rammentare che, secondo l’interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia UE (grande sezione, 18.10.2016, n. 135), il citato art. 28 impone l’applicazione del nuovo regolamento solo ai contratti conclusi dal 17 dicembre 2009 in poi a meno che "un contratto, concluso prima del 17 dicembre 2009, sia oggetto, a decorrere da tale data, di una modifica, convenuta tra le parti contraenti, di entità tale da tradursi non già in un mero aggiornamento o adeguamento dello stesso, bensì nella creazione di un nuovo rapporto giuridico tra tali parti contraenti, di modo che si dovrebbe ritenere che il contratto iniziale sia stato sostituito da un nuovo contratto, concluso a decorrere da detta data, ai sensi dell’articolo 28 del regolamento Roma I" (v. punto 37 citata sent. n. 135/2016).

Nella specie, la stessa ricorrente, nel riferire sulle modifiche del proprio rapporto di lavoro, precisa che, al momento del mutamento di mansioni a decorrere dal 1° novembre 2010, le è stato fatto sottoscrivere un altro contratto di identico tenore rispetto a quello con decorrenza 1° giugno 2009 (v. punti 10- 11 del ricorso).

Pertanto, deve ritenersi che il rapporto tra le parti, salvo modifiche non sostanziali, è rimasto unico ed è quello costituito il 1° giugno 2009.

Consegue a ciò che, per individuare la legge sostanziale che regola il rapporto, deve farsi riferimento alla Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali aperta alla firma a Roma il 19 giugno 1980 (80/934/CEE), cui è stata data esecuzione con legge 18 dicembre 1984 n. 975.

L’art. 3 della Convenzione, rubricato "Libertà di scelta", stabilisce, al paragrafo 1, come criterio generale, che "Il contratto è regolato dalla legge scelta dalle parti. La scelta dev’essere espressa, o risultare in modo ragione-volmente certo dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze. Le parti possono designare la legge applicabile a tutto il contratto, ovvero a una parte soltanto di esso".

L’art. 6, poi, fissa la disciplina speciale che si applica per i contratti individuali di lavoro, stabilendo quanto segue:

"1. In deroga all’articolo 3, nei contratti di lavoro, la scelta della legge applicabile ad opera delle parti non vale a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle norme imperative della legge che regolerebbe il contratto, in mancanza di scelta, a norma del paragrafo 2.

2. In deroga all’articolo 4 [che concerne i criteri da seguire in generale in caso di mancanza di scelta] ed in mancanza di scelta a norma dell’articolo 3, il contratto di lavoro è regolato: a) dalla legge del paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto compie abitualmente il suo lavoro, anche se è inviato temporaneamente in un altro paese, oppure b) dalla legge del paese dove si trova la sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore, qualora questi non compia abitualmente il suo lavoro in uno stesso paese, a meno che non risulti dall’insieme delle circostanze che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro paese. In questo caso si applica la legge di quest’altro paese".

In virtù di quanto previsto dal sopra riportato art. 6 della Convenzione, dunque, nell’ambito dei rapporti di lavoro, la scelta delle parti non impedisce però l’applicazione delle norme imperative che si applicherebbero in mancanza di scelta.

Si ricorda, inoltre, che, in modo non dissimile da quanto previsto dal legislatore italiano (art. 16 legge n. 218/1995), l’applicazione della legge individuata in base alla Convenzione trova limite generale nell’ordine pubblico.

L’art. 16 della stessa infatti dispone: "L’applicazione di una norma della legge designata dalla presente convenzione può essere esclusa solo se tale applicazione sia manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico del foro" (cfr. Cass. civ., sez. lav., 11/11/2002, n. 15822: "Secondo l’art. 16 della convenzione di Roma, la legge straniera richiamata non è applicabile allorché tale applicazione sia manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico, che è costituito dai principi che formano la struttura etica della convivenza, ma solo in quanto recepiti dall’ordinamento giuridico"; v. anche Cass. civ., sez. lav., 07/12/2005, n. 26976).

4. - Nella specie, il punto 33 del contratto del 12 maggio 2009, stabilisce, al primo periodo: "The employment relationship between R. and you shall at all times be governed by the laws in effect and as amended from time to time in The Republic of Ireland" (doc. 1 produzione ricorrente e doc. 1 produzione convenuta).

Non vi è dubbio dunque che la chiara volontà delle parti è stata quella di scegliere esclusivamente la legge irlandese per regolare i rapporti tra le parti.

Per individuare quali siano le norme di carattere imperativo che devono comunque essere applicabili - così da impedire scelte dettate proprio al fine di evitare l’applicazione di norme solitamente poste a tutela della parte debole del rapporto di lavoro - occorre verificare quale sarebbe la legge applicabile in difetto di scelta.

Ebbene, la legge applicabile sarebbe comunque quella irlandese.

Infatti, facendo richiamo alla disposizione di cui al paragrafo 2 dell’art. 6, il luogo in cui la attuale ricorrente, in esecuzione del contratto, compiva abitualmente il suo lavoro, era l’Irlanda, per quanto sopra già detto in tema di giurisdizione, poiché gli aeromobili sono considerati territorio del paese in cui sono registrati giusta la disposizione di cui all’art. 17 della Convenzione di Chicago del 7 dicembre 1944. E’ circostanza pacifica che tutti gli aeromobili utilizzati dalla convenuta sono registrati in Irlanda.

Non sembra dubitabile che un assistente di volo svolga abitualmente il suo lavoro a bordo degli aeromobili e non già nella base a terra, a prescindere da come la stessa sia strutturata, poiché la parte essenziale della sua prestazio- ne è appunto quella di rendere il suo servizio a favore dei passeggeri, mentre le eventuali ulteriori e diverse attività svolte a terra (ricevere istruzioni sul volo da compiere, chiedere ferie o permessi, ritirare le buste paga, ecc.) sono tutte strumentali al nucleo essenziale che costituisce l’oggetto del contratto di lavoro, cioè lo scambio di energie lavorative e denaro.

Si legge, invero, nella motivazione della sentenza delle Sezioni Unite 20/08/2009, n. 18509 (che ha esaminato, sotto il profilo della giurisdizione, una controversia concernente proprio l’attività di un assistente di volo), quanto segue:

«Questa Corte (Cass. sez. un., 13 dicembre 2007, n. 26089) ha affermato in proposito che, in tema di competenza giurisdizionale in materia di rapporti di lavoro, l’art. 19 del regolamento Cee n. 44 del 2001 stabilisce, tra l’altro, che il datore di lavoro domiciliato nel territorio di uno Stato membro può essere convenuto in un altro Stato membro "davanti al giudice del luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività o a quello dell’ultimo luogo in cui la svolgeva abitualmente" (punto 2, lett. a), con una disposizione che si pone in linea di continuità con l’art. 5, punto 1, della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, ratificata con L. 21 giugno 1971 n. 804 (nel testo modificato dalla convenzione di San Sebastian del 26 maggio 1989, ratificata con L. n. 339 del 1991); normativa questa già interpretata dalla Corte di giustizia Ce nel senso che il luogo di abituale svolgimento dell’attività lavorativa deve identificarsi con il luogo in cui il lavoratore adempie di fatto la parte sostanziale delle sue obbligazioni nei confronti del datore di lavoro (Corte giust. Ce, 10 aprile 2003, n. C- 437/00; Corte giust. Ce, 27 febbraio 2002, n. C-37/00) così accentuandosi, altresì, il profilo di tutela del lavoratore, giacché si prende in considerazione anche l’ultimo luogo in cui il lavoratore medesimo svolgeva abitualmente la sua attività di lavoro (conf. Cass. sez. un., 9 gennaio 2008, n. 169)».

5. - La società, con lettera del 7 marzo 2014, ha affidato alla lavoratrice la posizione di "Temporary Customer Services Supervisor" indicando anche espressamente la scadenza dell’incarico (31 ottobre 2014) e precisando che, alla scadenza del termine, ella avrebbe nuovamente rivestito la qualifica di "Junior Customer Services Supervisor"; che avrebbe ricevuto, per il tempo di svolgimento del nuovo ruolo, il corrispondente trattamento retributivo; e che, cessato l’incarico, avrebbe nuovamente ricevuto la sua ordinaria retribuzione (doc. 4 produzione convenuta).

Con lettera del 22 settembre 2014 la società ha prorogato l’incarico fino al 31 marzo 2015 (doc. 5 produzione convenuta). Con successiva nota del 27 marzo 2015 ha confermato la cessazione dell’incarico il 31 marzo 2015 evidenziando che, in conformità con quanto convenuto all’atto della nomina temporanea, al cessare dell’incarico sarebbe stato nuovamente attribuito il trattamento economico corrispondente alla posizione di "Junior Customer Services supervisor" (doc. 6 produzione convenuta).

Non consta che alcuna disposizione dell’ordinamento irlandese vieti l’affidamento di mansioni superiori temporaneamente, né il patto o anche la disposizione unilaterale di assegnazione di mansioni superiori appare manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico.

Deve infatti osservarsi che il criterio della c.d. promozione automatica, fissato dall’art. 2103 c.c., non costituisce cardine fondamentale dell’ordinamento lavoristico italiano, essenziale essendo soltanto la garanzia, questa certo di rilievo costituzionale, del diritto di percepire la retribuzione corrispondente alla quantità e qualità delle mansioni svolte (art. 36 cost.) - cosa che nella specie ha avuto puntualmente luogo - come dimostrato dal fatto che, assumendo rilievo altri interessi di carattere anche costituzionale o comunque di rilievo generale, la promozione automatica non trova applicazione.

Si rammenta, infatti, che l’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 esclude che il dipendente pubblico possa acquisire il diritto ad un inquadramento superiore per effetto dell’esercizio di fatto di mansioni corrispondenti, salvo il diritto di percepire il trattamento economico proporzionato, tanto nel rispetto dei principi costituzionali sul buon andamento e sull’imparzialità delle pubbliche amministrazioni e sulla necessaria osservanza del criterio concorsuale per gli accessi agli impieghi (art. 97 Cost.).

In ragione delle esigenze di sicurezza della circolazione stradale e ferroviaria, anche nel settore dei pubblici trasporti, non trova applicazione il principio della promozione automatica, fermo che, ove, di fatto, il lavoratore svolga mansioni superiori, ha certamente diritto, ai sensi dell’art. 36 Cost., alla retribuzione proporzionata alle mansioni effettivamente svolte (cfr. Cass, sez. un. 27.7.1988, n. 4761 e, più di recente, Cass. 4.9.2015, n. 17630).

In particolare, a norma dell’art. 18, del regolamento allegato A al r.d. n. 148 del 1931, affinché sussista il diritto all’inquadramento in una qualifica superiore occorre che vi sia un posto vacante; che l’assegnazione a mansioni superiori sia disposta dal direttore dell’azienda; che le mansioni siano esercitate, a titolo di reggenza, per più di sei mesi; e che, comunque, non si tratti di posto da ricoprire mediante esame. La stessa disposizione precisa poi che non è considerata reggenza, a tali fini, la sostituzione di agenti di grado superiore assenti per malattia od in aspettativa (per una interpretazione "evolutiva" di tale disciplina v. Cass. civ., sez. lav., 08/06/2012, n. 9344, che ha ritenuto di valorizzare l’esercizio per lungo tempo di mansioni superiori per ritenere presuntivamente sussistenti le condizioni di legge per l’attribuzione della qualifica superiore).

Proprio nel settore specifico della navigazione, poi, il nostro codice consente l’assegnazione di mansioni superiori con la salvezza del diritto alla corrispondente retribuzione.

L’art. 334 del codice della navigazione recita:

"I componenti dell’equipaggio non sono tenuti a prestare un servizio diverso da quello per il quale sono stati arruolati.

Tuttavia il comandante, nell’interesse della navigazione, ha facoltà di adibire temporaneamente i componenti dell’equipaggio a un servizio diverso da quello per il quale sono stati arruolati, purché non sia inadeguato al loro titolo professionale e al loro grado. In caso di necessità per la sicurezza della spedizione, gli arruolati possono essere adibiti a qualsiasi servizio.

I componenti dell’equipaggio, che esercitano mansioni diverse da quelle per le quali sono stati arruolati, hanno diritto alla maggiore retribuzione dovuta per tali mansioni".

Secondo l’interpretazione della giurisprudenza tale disposizione - qualificata come inderogabile dall’art. 374 c.n. - esclude la possibilità di applicare il principio dell’art. 2013 c.c. e non può neppure ipotizzarsi un contrasto con principi costituzionali ed in particolare con quello di uguaglianza (Cass. civ., sez. lav., 18/01/1991, n. 443: "È manifestamente infondata, in riferimento all’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, ultimo comma, della legge n. 300 del 1970 nella parte in cui non prevede la diretta applicabilità dell’art. 13 della stessa legge (recante il nuovo testo dell’art. 2103 c.c.) al personale navigante delle imprese di navigazione, la cui professionalità è sufficientemente tutelata dalla norma primaria dell’art. 334 c.nav., che (compresa nella previsione d’inderogabilità ex art. 374 stesso codice) contempla eccezioni al divieto dello "ius variandi" delle mansioni del dipendente per ragioni attinenti all’interesse della navigazione ed alla sicurezza della spedizione"; v. anche Cass. civ., sez. lav., 02/03/2015, n. 4173).

Pertanto, applicando la legge irlandese (ma non dissimili sarebbero state dunque le conclusioni se si fosse applicata la legge italiana e, in specie, l’art. 334 cod. nav.), appare evidente la insussistenza dell’inadempimento del datore di lavoro lamentato dalla lavoratrice la quale, cessato il periodo di malattia, ha rifiutato di riprendere il lavoro assumendo di aver diritto di svolgere le mansioni di responsabile di cabina e di ricevere il relativo trattamento economico (v. punto 20 del ricorso).

Conseguentemente, legittimo appare il licenziamento disposto a causa di un comportamento della lavoratrice consistito nel rifiuto, non giustificato, di rendere le sue prestazioni.

Infatti, secondo la disposizione n. 6, comma 1, dell’"Unfair Dismissals Act, 1977", cioè la legge irlandese sui licenziamenti ingiusti (la quale, peraltro, prevede anche una forma di tutela reintegratoria in alternativa al risarcimento, secondo una valutazione discrezionale del giudice), "Subordinatamente alle disposizioni del presente articolo, il licenziamento di un dipendente si considera ingiusto, ai sensi della presente Legge, salvo che, tenendo conto di tutte le circostanze, non vi siano stati motivi sostanziali che lo giustificavano".

Il comma 4 successivo, poi, dispone: "Fatto salvo in linea generale quanto disposto dal comma (1) del presente articolo, il licenziamento di un dipendente si considera giusto, ai sensi della presente Legge, se deriva interamente o principalmente da uno o più dei seguenti motivi:

(a) la capacità, la competenza o le qualifiche del dipendente di svolgere il tipo di lavoro per cui è stato assunto dal datore di lavoro,

(b) la condotta del dipendente,

(c) l’esubero del dipendente, e

(d) l’incapacità del dipendente di lavorare o continuare a lavorare nella posizione che aveva senza contravvenire (o senza che il datore di lavoro contravvenga) a un obbligo o a una restrizione imposti da una legge o da un atto emanato ai sensi di una legge" (v. doc. 39 produzione convenuta).

Avendo quindi la lavoratrice tenuto una condotta di prolungata e deliberata inadempienza, il licenziamento deve reputarsi legittimo e la domanda deve essere respinta.

6. - Le spese di lite, in considerazione della novità della questione concernente la giurisdizione, possono essere compensate in ragione della metà, ponendosi la restante parte a carico della ricorrente.

Si precisa che le stesse sono determinate tenuto conto 1) delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, 2) dell’importanza, della natura, delle difficoltà e del valore dell’affare, 3) delle condizioni soggettive del cliente, 4) dei risultati conseguiti, 5) del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, nonché delle previsioni delle tabelle allegate al decreto del Ministro della Giustizia n. 55 del 10.3.2014 nel loro valore medio, per cause di valore compreso tra €26.000,00 ed €52.000,00 applicabile anche alle controversie di valore indeterminato o indeterminabile. Si ritiene opportuno, in considerazione della mancanza di contrasti sui fatti di causa e della circostanza che la fase decisoria è consistita nella sola discussione orale, ridurre i detti valori medi del 30%. Ai compensi si aggiunge il rimborso forfetario delle spese generali pari al 15% degli stessi (espressamente reintrodotto dall’art. 2 del D.M.), oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge.

 

P.Q.M.

 

- rigetta la domanda;

- condanna S. B. al pagamento, in favore della soc. R. Ltd, della metà delle spese di lite che liquida, per l’intero, in complessivi €5.654,00# di cui €737,00# per spese generali ed €4.917,00# per compensi, oltre IVA e CPA, dichiarando compensata la restante parte sull’intero sopra determinato;

- manda alla Cancelleria di dare comunicazione alle parti.