Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 11 aprile 2018, n. 8942

Tributi - Imposte sui redditi - Avviso di accertamento - Termine - Proroga biennale ex art. 57, co. 2, della L. n. 413 del 1991 - Applicazione - Soggetti sostituti d'imposta

 

Ritenuto in fatto

 

L'Ufficio delle Imposte Dirette di Bari notificava alla Centrale Cantine Cooperative di Puglia, L. e M. s.c.r.l. avviso di accertamento con il quale contestava l'omesso versamento delle ritenute alla fonte operate sulle retribuzioni e sulle indennità di fine rapporto corrisposte ai propri dipendenti nell'anno 1986, pari a lire 274.533.000, ed applicava, a titolo di sanzione, la soprattassa nella misura del 50% delle somme non versate, ai sensi dell'art. 92, comma 1, del d.P.R. 602/73.

La Centrale Cantine Cooperative di Puglia, L. e M. s.c.r.l. proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria provinciale, eccependo la illegittimità della procedura di accertamento ex art. 37 d.P.R. 600/73 adottata, trattandosi di mera liquidazione di imposte non versate, e non di rettifica di dati imponibili della dichiarazione, nonché la intervenuta decadenza dell'Ufficio dal potere accertativo per effetto del combinato disposto degli artt. 17 d.P.R. 602/73 e 43 d.P.R. 600/73, che prevedevano l'iscrizione a ruolo nel termine decadenziale quinquennale decorrente dalla presentazione della dichiarazione.

La Commissione Tributaria provinciale rigettava il ricorso, ritenendo insussistente la eccepita decadenza, in virtù della proroga dei termini disposta dall'art. 57, comma 2, della legge n. 413 del 1991.

La contribuente proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria regionale che lo accoglieva sul rilievo che l'Ufficio non avrebbe dovuto notificare alcun avviso di accertamento, ma avrebbe dovuto direttamente procedere alla iscrizione a ruolo della somma dovuta in base alla dichiarazione del contribuente, con la conseguenza che l'utilizzo della procedura corretta avrebbe condotto alla dichiarazione di decadenza della pretesa dell'Ufficio per avvenuto decorso del termine quinquennale fissato dall'art. 17 del d.P.R. 602/73, non trovando applicazione la proroga biennale fissata dalla legge 413/91.

Avverso la suddetta sentenza proponevano ricorso per cassazione il Ministero dell'Economia e delle Finanze e la Agenzia delle Entrate, denunciando la violazione e falsa applicazione dell'art. 37 d.P.R. 602/73 e degli artt. 17 d.P.R. 602/73 e 43 d.P.R. 600/73.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 3857/09, accoglieva il ricorso, affermando, riguardo alla sussistenza o meno della facoltà di scelta, da parte dell'ufficio erariale, dello strumento volto a recuperare un credito fiscale, che mancava una precisa disposizione normativa che imponesse la scelta della procedura dell'accertamento ordinario o di quella relativa alla iscrizione a ruolo del tributo, poiché sussisteva in merito ampia discrezionalità dell'Ente impositore; rilevava, altresì, che nel caso di specie il contribuente non aveva un concreto e diretto interesse all'utilizzo da parte dell'Ufficio, ai fini del recupero del credito d'imposta, della iscrizione a ruolo invece che del sistema dell'accertamento ordinario, considerato che lo strumento impositivo dell'accertamento comportava indubbiamente una maggiore tutela della difesa del contribuente rispetto alla semplice iscrizione a ruolo.

Ritenendo, quindi, che l'atto di accertamento fosse giustificato, essendo pacifico che la società non aveva versato e si era trattenute gran parte delle ritenute d'acconto relative ai propri dipendenti, cassava la sentenza impugnata e disponeva il rinvio alla Commissione Tributaria regionale, in diversa composizione.

La contribuente riassumeva il giudizio dinanzi alla Commissione Tributaria regionale, ribadendo la intervenuta decadenza dell'Ufficio, dato che l'atto di accertamento era stato adottato oltre il termine quinquennale previsto dall'art. 43 d.P.R. 600/73, e la inapplicabilità della proroga stabilita dall'art. 57, comma 2, della legge 413/91, che concerneva gli atti impositivi e non quelli liquidativi.

L'Ufficio replicava che la scelta di ricorrere al procedimento ex art. 37 d.P.R. 600/73 o piuttosto al procedimento di liquidazione di cui all'art. 36- bis del d.P.R. 600/73 non rilevava ai fini della decadenza dalla potestà di iscrizione a ruolo, considerata la proroga biennale prevista dall'art. 57, comma 2, della legge 413/91.

La Commissione Tributaria regionale accoglieva l'appello e, in parziale riforma della sentenza impugnata, determinava la sanzione nella misura del 30% delle somme non versate, confermandola per il resto.

La OPM Società Cooperativa a.r.l., in qualità di assuntore dei diritti ed obblighi della società Centrale Cantine Cooperative di Puglia, L. e M. in liquidazione coatta amministrativa, ha proposto ricorso per cassazione affidandolo ad otto motivi.

L'Agenzia delle Entrate ed il Ministero dell'Economia e delle Finanze resistono con controricorso.

 

Considerato in diritto

 

1. In via preliminare, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso per cassazione proposto nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze.

Infatti, in tema di contenzioso tributario, a seguito del trasferimento alle agenzie fiscali, da parte dell'art. 57, comma 1, del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, di tutti i "rapporti giuridici", i "poteri" e le "competenze" facenti capo al Ministero dell'Economia e delle Finanze, a partire dal primo gennaio 2001 (giorno di inizio di operatività delle Agenzie fiscali in forza dell'art. 1 del d.m. 28 dicembre 2000), unico soggetto passivamente legittimato è l'Agenzia delle Entrate, sicché è inammissibile il ricorso per cassazione promosso nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze.

2. Con il primo motivo la ricorrente deduce "violazione e falsa applicazione dell'art. 7 legge 15/10/1986 n. 664, dell'art. 10 legge 18/10/2001 n. 383, nonché dell'art. 365 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 cod. proc. civ.".

Eccepisce, al riguardo, che il giudizio di cassazione da cui ha preso le mosse il giudizio di rinvio la cui sentenza conclusiva è oggetto di impugnazione è stato introdotto con ricorso teletrasmesso a mezzo fax dall'Avvocatura Generale dello Stato, ai sensi dell'art. 7 della legge n. 664 del 1986, ed è poi stato sottoscritto, ai fini della conformità all'originale teletrasmesso, non dall'Avvocato distrettuale, ma, ai sensi dell'art. 10 legge n. 383 del 2001, dal funzionario preposto all'ufficio ricevente, con la conseguenza che il ricorso è nullo e che la nullità, travolgendo l'intero giudizio di cassazione ed il giudizio di rinvio, comporta il passaggio in giudicato della sentenza della Commissione Tributaria regionale n. 21/7/04 del 18 giugno 2004.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. Le questione sollevata, rilevabile di ufficio, non essendo stata considerata in sede di legittimità, non poteva essere più esaminata nel successivo giudizio di rinvio, né può essere esaminata nel corso del controllo di legittimità a cui le parti sottopongono la sentenza del giudice di rinvio (Cass. n. 5131 del 4/6/1996; n. 6292 del 31/3/2016).

3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce "violazione e falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ. e dell'art. 2909 cod. civ., vizio di ultrapetizione e giudicato, in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 cod. proc. civ." e lamenta che, sebbene la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3857/09 abbia enunciato il principio secondo cui, nella scelta tra iscrizione diretta a ruolo ed accertamento, sussiste discrezionalità dell'ente impositore ai fini del recupero del tributo, mostrando in tal modo di non voler incidere sulla motivazione della sentenza della C.T.R. del 20/10/04 che identificava la natura sostanzialmente liquidatoria dell'avviso di accertamento in contestazione, la sentenza impugnata, in contrasto con lo scopo del rinvio, ha stralciato dal thema decidendum ogni valutazione in merito alla applicabilità della proroga di cui all'art. 57 legge 413/91, affermando che, costituendo l'atto del 25 giugno 1993 "un atto di accertamento in senso proprio", esso è sicuramente assoggettato alla proroga biennale della legge 413/91.

3.1. Il motivo è infondato.

3.2. La Commissione Tributaria regionale, dopo avere richiamato la motivazione della sentenza di rinvio della Corte di Cassazione, nella quale si è sottolineato che manca nel contribuente un interesse concreto e diretto all'utilizzo da parte dell'Ufficio, ai fini del recupero del credito d'imposta, della iscrizione a ruolo invece che del sistema dell'accertamento ordinario, e  che in ogni caso l'atto di accertamento "appariva giustificato", ha motivato che << a nulla vale sostenere che l'avviso di accertamento, pur formalmente definito con questa espressione, è sostanzialmente un atto di liquidazione del tributo dovuto, al quale non può applicarsi la proroga biennale prevista dal comma 2° dell'art. 57 L. 413/91, giacché la stessa Corte di Cassazione con la citata sentenza di rinvio- fra l'altro- ha riconosciuto espressamente la legittimità sostanziale della procedura utilizzata escludendo che potesse trattarsi di mera attività liquidatoria....>> ed ha poi aggiunto che, cctrattandosi di accertamento in senso proprio, ancorché gli esiti del controllo non abbiano fatto registrare scostamenti rispetto al dichiarato, ad esso è applicabile la proroga del termine di due anni disposta dall'art. 57, comma 2 della legge 413/91>>.

Il giudice di appello ha, dunque, affrontato e valutato la questione concernente la applicabilità della proroga stabilita dal citato art. 57 della legge 413/91, rimessa al suo esame dalla Corte di Cassazione, ritenendo che tale proroga possa trovare applicazione nella fattispecie in esame.

4. Con il terzo motivo la ricorrente censura la sentenza per "insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5 cod proc. civ." e lamenta che la Commissione Tributaria regionale, qualificando l'atto del 25/6/1993 come "atto di accertamento in senso proprio", ha poi fatto discendere da tale valutazione l'applicazione della proroga di cui all'art. 57, comma 2, della legge 413/91, ricorrendo a motivazioni erronee ed irrilevanti.

4.1. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, poiché il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso - in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria - ovvero delle ragioni per le quali l'insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti, dovendosi configurare in senso storico o normativo e potendo rilevare solo come fatto principale ex art. 2697 c.c.

(costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche fatto secondario (dedotto in funzione di prova determinante di una circostanza principale). (Cass. n. 21152 del 8/10/14; n. 29883 dei 13/12/2017).

5. Con il quarto motivo la ricorrente deduce "violazione e falsa applicazione dell'art. 36-bis d.P.R. 600/73, violazione e falsa applicazione del principio della cd. prevalenza della sostanza sulla forma, "del raggiungimento dello scopo dell'atto", "del riconoscimento degli effetti che l'atto può avere in luogo della sua radicale nullità", in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 4 e 5 cod. proc. civ.", nonché "omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.".

La ricorrente sostiene che la C.T.R. ha omesso di accertare "se, pur nella indifferenza del metodo scelto dall'ufficio, la procedura si sia svolta, comunque, nell'osservanza delle prescrizioni, quanto ai termini di esercizio della pretesa, che la legge assicura" e, quindi, di verificare se nel caso di specie l'atto in questione dovesse rispettare la disciplina tipica della riscossione ex art. 36 -bis d.P.R. 600/73 ed ex art. 17 d.P.R. 602/73.

5.1. Il motivo è infondato.

5.2. Come già evidenziato con riguardo al secondo motivo, il giudice di appello si è pronunciato, con motivazione adeguata ed esaustiva, sulla questione, affermando che <<l'ufficio era nei termini per procedere alla iscrizione a ruolo delle somme dovute con riferimento alla dichiarazione mod. 770 presentata nel 1987, non essendo ancora decorsi alla predetta in data i cinque anni previsti, scadenti il 31.12.92>>, ritenendo, dunque, tempestiva l'azione accertatrice dell'Ufficio, ed ha escluso che alla data del 31.12.91 l'Ufficio fosse già decaduto dal potere accertativo.

6. Con il quinto motivo la ricorrente censura la sentenza per "violazione e falsa applicazione degli artt. 57 e 63 della legge 413/91 e per illogicità della motivazione" e lamenta che il giudice di appello ha erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie in esame la proroga biennale di cui all'art. 57, comma 2, della legge 413/91, considerato che la società Centrale Cantine Cooperative Puglia, L. e M. seri non aveva presentato dichiarazione integrativa e che è prevista una disciplina specifica per l'ipotesi di dichiarazione integrativa dei sostituti di imposta, dettata dall'art. 63 del d.P.R. 600/73.

6.1. Il motivo è infondato.

6.2. In tema di accertamento delle imposte dirette, la proroga, disposta dall'art. 57, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, dei "termini per l'accertamento, relativamente ai periodi d'imposta per i quali può essere presentata dichiarazione integrativa", ha carattere generale, e riguarda quindi tutti i soggetti ammessi al beneficio, ivi compresi quelli operanti come sostituti d'imposta, in quanto ammessi a presentare dichiarazione integrativa dal successivo art. 63, ancorché tale ultima disposizione non contenga un espresso richiamo alla proroga. Una diversa interpretazione della normativa, nel senso della fissazione all'Amministrazione di un termine più breve per l'accertamento nei confronti dei soli sostituti d'imposta, ammessi come gli altri soggetti al beneficio, si pone infatti in contrasto con la ratio della legge n. 413 del 1991, in relazione alle finalità di politica fiscale e tributaria con essa perseguiti. (Cass. n. 10280 del 04/05/2007).

7. Con il sesto motivo si deduce "violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 20 della legge 472/97".

La ricorrente, premettendo che la C.T.R. ha applicato la normativa più favorevole al contribuente riconoscendo la irrogazione di una sanzione pari al 30% dell'importo non versato, si duole del fatto che non sia stato rilevato che, ai sensi dell'art. 20 della legge 472/97, applicabile al caso di specie, la possibilità di irrogare la sanzione, nel momento in cui essa è stata applicata, doveva ritenersi ormai prescritta.

7.1. Il motivo è inammissibile in quanto il contribuente con tale censura solleva, con riguardo alle sanzioni irrogate, una eccezione di prescrizione che non è stata fatta valore tempestivamente nel giudizio di merito.

8. Con il settimo motivo si censura la sentenza per "omessa e contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ." con riguardo all'inciso in cui si afferma che "solo ove l'ufficio alla detta data fosse risultato decaduto dal potere di liquidazione, l'accertamento postumo in luogo della iscrizione a ruolo, avrebbe significato o potuto significare un illegittimo espediente procedurale preordinato alla elusione dei termini di decadenza già spirati".

8.1. Il motivo è inammissibile in quanto la censura non indica il "fatto controverso" in ordine al quale la motivazione della sentenza risulterebbe insufficiente o illogica, ma investe una mera valutazione espressa dal giudice di appello.

9. Con l'ottavo motivo la ricorrente, in qualità di assuntore dei diritti ed obblighi della società Centrale Cantine Cooperative di Puglia, L. e M. in liquidazione coatta amministrativa, denuncia "violazione e falsa applicazione dell'art. 209 legge fallimentare, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.", evidenziando che la società destinataria dell'avviso di accertamento del 25/6/1993 è stata sottoposta a procedura concorsuale e che, di conseguenza, la pretesa tributaria avrebbe dovuto essere portata all'attenzione della procedura a mezzo insinuazione al passivo.

9.1. Il motivo è inammissibile, trattandosi di questione non sollevata nei gradi del giudizio di merito ed il cui esame è quindi precluso in sede di legittimità.

In conclusione, il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze; rigetta per il resto il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.