Giurisprudenza - CONSIGLIO DI STATO - Ordinanza 13 luglio 2017

Professioni - Esercizio della professione di trasportatore su strada di cose per conto di terzi - Requisiti per l'iscrizione all'albo - Onorabilità - Previsione che non sussiste, o cessa di sussistere, il requisito dell'onorabilità in capo alla persona che abbia subito, in qualità di datore di lavoro, condanna penale definitiva per fatti che costituiscono violazione degli obblighi in materia previdenziale ed assistenziale. - Decreto legislativo 22 dicembre 2000, n. 395 (Attuazione della direttiva 98/76/CE del 1° ottobre 1998 del Consiglio dell'Unione europea, modificativa della direttiva 96/26/CE del 29 aprile 1996 riguardante l'accesso alla professione di trasportatore su strada di merci e di viaggiatori, nonché il riconoscimento reciproco di diplomi, certificati e altri titoli allo scopo di favorire l'esercizio della libertà di stabilimento di detti trasportatori nel settore dei trasporti nazionali ed internazionali), artt. 4 e 5, commi 2, lett. g), e 8.

 

Fatto

 

1. Il Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, con la sentenza 3 marzo 2016, n. 278, ha respinto il ricorso proposto dalla F.A.I., impresa individuale di F. I., per l'annullamento dell'atto n. 566 del 5 febbraio 2015, con il quale la Provincia di Ferrara aveva disposto la revoca della sua iscrizione e la cancellazione dall'Albo delle persone fisiche e giuridiche che esercitano l'autotrasporto di cose per conto terzi della Provincia, essendo emersi in danno del titolare quattro decreti penali di condanna per omesso versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali e conseguenti perdita dei requisiti di onorabilità (ex artt. 4 e 5, comma 2, del decreto legislativo n. 395 del 2000).

Il Tribunale amministrativo regionale ha in sintesi rilevato che:

la fattispecie di cui all'art. 5 decreto legislativo n. 395 del 2000 costituisce un'ipotesi di sanzione amministrativa conseguente al verificarsi di determinati presupposti, tra cui quella di cui alla lettera g) del comma 2, secondo cui cessa di sussistere il requisito dell'onorabilità in capo alla persona che «...abbia subito, in qualità di datore di lavoro, condanna penale definitiva per fatti che costituiscono violazione degli obblighi sussistenti in materia previdenziale e assistenziale»;

le decisioni assunte dal giudice penale, ancorché con decreto penale, costituiscono condanne penali a tutti gli effetti e sono del tutto equiparabili alle condanne pronunciate con sentenza;

l'ipotizzata sopravvenuta inefficacia della norma citata per effetto della ritenuta immediata applicabilità di quanto prevede il regolamento CE n. 1071 del 2009, che ha sostituito la precedente direttiva 98/76/CE, recepita in Italia dall'art. 5 del decreto legislativo n. 395 del 2000, non sussiste, posto che la disciplina contenuta nel citato regolamento è del tutto in linea rispetto a quella applicata nella specie, poiché anche nel regolamento il requisito della «perdita di onorabilità» è integrato dalle condanne penali (oltre ad altre sanzioni per eventuali infrazioni gravi della normativa nazionale in vigore), anche nell'ambito delle violazioni delle condizioni di retribuzione e di lavoro della professione»;

«le condanne o sanzioni per eventuali infrazioni gravi della normativa nazionale in vigore...» relative a «... condizioni di retribuzione e di lavoro della professione» (cfr. art. 6 reg. CE n. 1071-2009) riguardano, dunque, condanne penali che presuppongono un comportamento del datore di lavoro - autotrasportatore contrario alla relativa disciplina nazionale regolatrice la professione e l'attività svolta quale datore di lavoro, con conseguente logica inclusione, tra tali comportamenti, di quelli in relazione ai quali egli è stato condannato penalmente per violazione degli obblighi previdenziali ed assistenziali nei confronti dei propri dipendenti;

sono oggettivamente gravi i reati commessi dal ricorrente, trattandosi, come emerge dai decreti penali, di reiterate omissioni di versamento dei contributi previdenziali, nel ristretto arco temporale di 4 anni (2009 - 2013), relativi alle prestazioni lavorative dei dipendenti dell'impresa individuale: non sussiste, pertanto, in relazione al requisito della «gravità», alcuna violazione del Regolamento.

2. La ditta F.A.I. ha chiesto la riforma di tale sentenza, deducendone l'erroneità per «violazione di legge ex art. 460, comma 5, codice di procedura penale e art. 5, comma 4, decreto legislativo n. 395-2000» (sostenendo, tra l'altro, che il decreto penale di condanna non comporterebbe l'applicazione di pene accessorie e, anche se divenuto esecutivo, non avrebbe efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, con conseguenti inammissibilità di applicare le sanzioni irrogate con l'atto della cui legittimità si controverte, tanto più che il decreto penale di condanna non era indicato tra gli atti considerati come condanna, ex comma 4, dell'art. 5 del decreto legislativo n. 395 del 2000) e «violazione di legge ex art. 6 regolamento CE n. 1071-2009».

3. Si è costituita in giudizio la provincia appellata, chiedendo la reiezione dell'appello e spiegando appello incidentale relativamente al capo della sentenza che ha disposto la compensazione delle spese di lite.

4. Con ordinanza n. 4483 del 7 ottobre 2016 la Sezione ha accolto l'istanza cautelare ed ha sospeso l'esecutività della sentenza impugnata, avendo «ritenuto che le articolate censure contenute nell'atto di appello ed ulteriormente rappresentate nel corso dell'odierna discussione, con particolare riguardo alla compatibilità della normativa italiana con quella europea e comunque alla legittimità costituzionale di quella attualmente vigente, necessitano di ulteriore approfondimento nell'appropriata fase di merito...».

5. Nell'imminenza dell'udienza di trattazione la parte appellante ha ulteriormente illustrato le proprie tesi difensive, evidenziando il dubbio di legittimità costituzionale degli articoli 4 e 5 del decreto legislativo n. 395 del 2000.

5. All'udienza pubblica del 27 aprile 2017, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

 

Diritto

 

6. In punto di fatto la Sezione osserva che l'attività istruttoria posta a fondamento del provvedimento di revoca della cui legittimità si controverte è consistita nell'acquisizione del certificato del casellario giudiziale del sig. F. I., titolare della ditta appellante, da cui è merso che nei suoi confronti sono stati emessi n. 4 decreti penali di condanna per omesso versamento (continuato) delle ritenute previdenziali e assistenziali, delitto previsto e punito dall'art. 2, comma 1-bis, del decreto-legge n. 463 del 1983, convertito con modificazioni dalla legge n. 638 del 1983.

E' pacifico che i predetti decreti penali di condanna non sono stati opposti e sono divenuti esecutivi in data 28 novembre 2009, 3 novembre 2011, 8 aprile 2013 e 10 maggio 2013; non risulta concessa la sospensione condizionale della pena, né vi è dichiarazione di estinzione dei reati.

L'art. 5, comma 2, del decreto legislativo n. 395 del 2000 stabilisce che non sussiste, o cessa di sussistere, il requisito di onorabilità (previsto dall'art. 4 dello stesso decreto legislativo) in caso di condanna del datore di lavoro per fatti che costituiscono violazione degli obblighi sussistenti in materia previdenziale ed assistenziale.

I ricordati decreti penali hanno perciò concretizzato la perdita del requisito dell'onorabilità ex art. 4 decreto legislativo n. 395 del 2000, tipizzato dalla citata lettera g) del comma 2 dell'articolo 5, e conseguentemente la Provincia di Ferrara ha disposto in danno della ditta F.A.I., la revoca dell'iscrizione all'albo dei trasportatori per conto di terzi e la cancellazione d'ufficio; ciò del resto in puntuale e vincolata applicazione del comma 8 dello stesso articolo 5, a mente del quale «La sussistenza del requisito di onorabilità cessa, di diritto, come conseguenza del verificarsi dei presupposti previsti dai commi che precedono».

7. La Sezione osserva che in presenza dell'univoco dettato legislativo, così delineato, non può ragionevolmente dubitarsi, sotto un profilo formale, della correttezza dell'operato dell'amministrazione.

7.1. E' infatti indiscutibile che, per effetto del combinato disposto degli articoli 4, e 5, commi 2 e 8, del decreto legislativo n. 395 del 2000, gli incontestati decreti di condanna, inoppugnati e divenuti pertanto definitivi, pronunciati nei confronti del titolare della F.A.I., quale datore di lavoro, per la violazione degli obblighi in materia di previdenziale ed assistenziale, integra il presupposto della perdita dei requisiti di onorabilità e determina la revoca dell'iscrizione all'Albo e/o la cancellazione d'ufficio.

7.2. Né vale sostenere che con il decreto penale di condanna non possono essere applicate pene accessorie, perché tale non può essere considera la misura meramente amministrativa di cui si discute, priva di qualsiasi effetto punitivo o afflittivo (il che esclude, ad avviso della Sezione, che possa essere invocato nella fattispecie in esame la violazione del principio del ne bis in idem), ma diretta unicamente ad evitare che l'attività professionale di cui si tratta sia svolta da un soggetto che non si sia dimostrato affidabile in ordine al rispetto della legislazione in materia di tutela del lavoro subordinato; ugualmente inconferente è il richiamo alla inefficacia di giudicato del decreto penale nei giudizi civili o amministrativi,

7.3. Né può fondatamente sostenersi che una più favorevole previsione in materia sia contenuta, come prospettato dall'appellante, nel regolamento CE n. 1071 del 2009 (art. 6, par 3): è sufficiente rilevare che l'abrogazione per effetto di tale nuovo regolamento della precedente direttiva 96/26/CE, recepita con il decreto legislativo n. 395 del 2000, non comporta automaticamente anche l'abrogazione di quest'ultimo, che resta in vigore tutto quanto non sia incompatibile con la nuova disciplina, incompatibilità che non è dato rinvenire nei riguardi della specifica materia dei requisiti di onorabilità, per i quali è rimasta ostativa la condanna per gravi reati in materi di legislazione comunitaria e di lavoro, tra cui rientra quella per cui è questione nella presente controversia.

8. Ciò posto, tuttavia la Sezione è dell'avviso che sia rilevante (alla stregua di quanto fin qui rilevato) e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 4, e 5, commi 2 e 8, del più volte citato decreto legislativo n. 395 del 2000 in riferimento agli articoli, 3, 24 e 113 della Costituzione.

8.1. Come si è osservato in precedenza, l'articolo 4, comma 5, dispone che i requisiti (indicati dagli artt. 5, 6 e 7) per l'iscrizione all'albo di cui all'art. 1 legge n. 298/1974 devono permanere per il periodo di iscrizione; il successivo art. 5, comma 2, stabilisce che «Non sussiste, o cessa di sussistere, il requisito dell'onorabilità in capo alla persona che... g) abbia subito, in qualità di datore di lavoro, l'applicazione di qualunque sanzione, comunque comminata, per omesso o insufficiente versamento degli oneri previdenziali od assistenziali».

Tale combinato disposto determina un automatismo normativo tra la perdita del requisito di onorabilità in applicazione di qualsiasi sanzione penale grave, comunque comminata (come nel caso in esame), escludendo in radice qualsiasi possibilità di valutazione da parte dell'amministrazione circa la tipologia di infrazione compiuta o l'entità della sanzione subita o qualsiasi altro elemento rilevante (elemento psicologico del reato, successiva estinzione della pena, depenalizzazione del reato, etc.); ciò trova del resto conferma nel ricordato comma 8 dell'art. 5, a tenore del quale «La sussistenza del requisito dell'onorabilità cessa, di diritto, come conseguenza del verificarsi dei presupposti previsti dai commi che precedono».

In tale ipotesi, dunque, il giudizio sugli interessi, pubblici e privati, in gioco e sul bilanciamento degli stessi è già stato fatto, una volta e per tutte, astrattamente dal legislatore che ha imposto un'attività rigidamente vincolata all'Amministrazione in punto verifica della permanenza del suddetto requisito di onorabilità.

8.2. Sennonché, ad avviso della Sezione, tale automatismo non sembra conforme alla previsione dell'art. 3 della Costituzione, in tema di ragionevolezza e proporzionalità.

Invero occorre ricordare che, come ha statuito la Corte costituzionale in altri settori dell'ordinamento (cfr., da ultimo, sentenza 18 luglio 2013, n. 202), gli automatismi disposti dal legislatore devono rispecchiare un ragionevole bilanciamento tra tutti gli interessi e i diritti di rilievo costituzionale coinvolti e devono conseguentemente essere censurate quelle disposizioni legislative che incidano in modo sproporzionato e irragionevole sui diritti fondamentali (cfr., anche sentenze n. 245-2011, n. 299-2010 e n. 249-2010).

Nel caso in esame, la libertà di iniziativa economica privata, protetta dalla Costituzione e richiamata anche dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), può essere agevolmente configurata quale diritto fondamentale del cittadino, anche nella prospettiva dinamica di strumento per la concreta manifestazione della propria personalità, da un lato, e di crescita e sviluppo sociale ed economico della società, dall'altro: tale diritto resterebbe definitivamente ed inesorabilmente compromesso nel caso di specie, sotto il profilo della perdita irrevocabile del requisito della onorabilità, dalla sussistenza di una qualsiasi sanzione penale anche minima.

Ciò rileva anche sotto il profilo della proporzionalità, dal momento che proprio quell'effetto interamente automatico della misura/sanzione amministrativa di revoca dell'iscrizione o cancellazione dall'albo, priva di qualsiasi possibile graduazione automatica, finisce con il ricollegare una conseguenza irreversibile ad una misura che, in quanto penale e dunque punitiva, è necessariamente temporanea o addirittura ha natura pecuniaria.

Tanto più che, nell'ambito dei reati in materia previdenziale è da poco intervenuto il decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, attuativo della legge 28 aprile 2014, n. 67, entrato in vigore il 6 febbraio 2016, che ha disposto la depenalizzazione di numerose ipotesi di reato in materia di lavoro e previdenza obbligatoria, prevedendone la trasformazione in illeciti amministrativi.

L'intervento di depenalizzazione nell'ambito della materia previdenziale ha riguardato, in particolare, l'articolo 2, comma 1-bis, decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, che è stato sostituito dall'articolo 3, comma 6, di detto decreto.

Anche per il legislatore penale, dunque, sussiste una graduazione tra sanzioni diverse (penali e ammnistrative) a seconda del tipo e dell'entità dell'illecito, frutto di un giudizio astratto del legislatore che cerca un equilibrato bilanciamento tra valori opposti, che nel caso di specie è del tutto assente, poiché qualsiasi sanzione in materia previdenziale, di qualsiasi natura ed entità, comporta automaticamente il ritiro dell'autorizzazione.

8.3. Sotto altro concorrente profilo quello stesso automatismo può determinare in via di fatto una parimenti inammissibile violazione dell'art. 24, che predica il diritto di difesa e di agire in giudizio del cittadino per la tutela di un proprio diritto o interesse, e dell'art. 113 (in tema di sindacato sugli atti della pubblica amministrazione).

Solo formalmente infatti in una situazione del genere può ammettersi l'esistenza della facoltà di agire in giudizio e di sindacare un atto dell'amministrazione laddove in concreto tali facoltà sono del tutto assente o irragionevolmente limitate al solo riscontro formale dell'avvenuto riscontro da parte dell'amministrazione dell'esistenza di una condanna penale, senza alcuna possibilità di valutazione in concreto della sua rilevanza ai fini della persistenza dell'iscrizione all'albo o della effettiva ricorrenza di un pregiudizio o di un pericolo per l'interesse pubblico derivante dall'esistenza di quella sentenza.

8.4. Non può in tal senso sottacersi che il par. 3, dell'art. 6, del regolamento CE 21 ottobre 2009, n. 1071, espressamente prevede che il requisito di onorabilità (di cui all'art. 3, par. 1, lettera b) «...non si considera rispettato finché non sia adottata una misura di riabilitazione o un'altra misura di effetto equivalente a norma delle pertinenti disposizioni nazionali», il che consente di ritenere l'irragionevolezza di un provvedimento automatico ed irreversibile come quello previsto dalle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 395 del 2000, essendo appena il caso di aggiungere che non è possibile, ad avviso della Sezione, operare nel caso di specie un'interpretazione costituzionalmente orientata delle predette disposizioni, spettando esclusivamente al legislatore l'individuazione e la previsione concreta delle adeguate, proporzionate e ragionevole misure sanzionatorie amministrative conseguenti a pronunce di condanne penale incidenti sul requisito dell'onorabilità ovvero della misure riabilitative o di altre misure di effetto equivalente, anche di natura temporanea.

9. Per le ragioni sopra esposte si solleva innanzi alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionalità del combinato disposto degli artt. 4, e art. 5, comma 2, lettera g), e comma 8, decreto legislativo 22 dicembre 2000, n. 395, nei sensi indicati in motivazione, con riferimento agli articoli 3, 24 e 113 della Costituzione.

Resta sospesa ogni decisione sul ricorso in epigrafe, dovendo la questione essere demandata al giudizio della Corte costituzionale.

 

P.Q.M.

 

Visti gli articoli 1 della legge 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità degli articoli 4 e 5, comma 2, lettera g) e comma 8, decreto legislativo 22 dicembre 2000, n. 395 in relazione agli articoli 3, 24 e 113 della Costituzione, dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio in corso.

Ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti ed alla Presidenza del Consiglio dei ministri e sia comunicata alla Presidenza del Senato della Repubblica ed alla Presidenza della Camera dei deputati.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. del 11 ottobre 2017, n. 41