Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 27 ottobre 2017, n. 25583

Tributi - Aiuti di Stato dichiarati illegittimi - Restituzione - Omessa comunicazione degli elementi necessari per individuare l'aiuto fruito - Sanzioni

Ritenuto che

F.D. e P.R., soci della F.D. & c s.a.s., erano destinatari rispettivamente dei seguenti avvisi: comunicazione di recupero di aiuto di Stato n. ROX0100115 per l'anno 2004 ed atto di contestazione n. ROXC00100061 il primo, e comunicazione di recupero di aiuti di Stato n. R0X0100116 per l'anno 2004 e atto di contestazione n. ROXC00100062 la seconda.

La comunicazione di recupero si riferiva alla restituzione, secondo la legge 25.1.2006, n. 29, degli aiuti di Stato illegittimamente fruiti, consistenti nella detassazione del reddito di impresa per investimenti produttivi nei comuni colpiti da eventi calamitosi in base alla legge 21.2.2003, n. 27, che ha introdotto l'art. 5-sexies in sede di conversione del d.l. 24.12.2002, n. 282, e degli interessi, mentre con gli atti di contestazione venivano irrogate le sanzioni per mancata presentazione entro il termine di legge dell'attestazione contenente gli elementi necessari per individuare l'aiuto di Stato fruito (art. 11 lett. a) d. Ivo 471/97) e mancato versamento in autoliquidazione del 30% dell'importo non versato (art. 13 comma 2 d.Ivo 471/97).

I contribuenti ricorrevano alla CTP per l'annullamento di tali atti per nullità degli stessi e la CTP riuniti i quattro ricorsi li respingeva.

Appellavano i contribuenti e la CTR della Lombardia con sentenza 60/28/09, depositata il 5 marzo 2009, respingeva l'appello quanto agli atti di recupero degli aiuti, ma lo accoglieva quanto alle sanzioni.

Ricorre l'ufficio in cassazione sulla base di un unico motivo.

Si costituiscono i contribuenti che resistono con controricorso.

Nel frattempo, l'istanza di definizione agevolata della lite fiscale, presentata dai contribuenti sia quanto al recupero dell'aiuto che all'avviso di contestazione delle sanzioni, veniva respinta dall'ufficio, trattandosi di aiuto di Stato.

Con memoria del 16.5.2017 i contribuenti depositavano copia dei versamenti effettuati per la definizione della lite pendente ex art. 39 comma 12, d.l. n. 98/2011, anche relativamente agli avvisi di contestazione riguardanti le sanzioni, chiedendo dichiararsi la cessazione della materia del contendere.

 

Considerato che

 

Con l'unico motivo di ricorso l'ufficio deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge 25.1.2006, n. 29 del e degli art. 11 e 13 del d.Ivo. 471 del 1997 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.

Va premesso, innanzi tutto, che il recupero avviene sulla base di una decisione della Commissione Europea, la n. 2005/315/CE del 20.10.2004, attuata con la sopra citata legge n. 29 del 2006, e che la causa è trattata dalla giurisdizione ordinaria in base al principio della perpetuatio iurisdictionis di cui all'art. 5 cod. proc. civ., sebbene oggi la giurisdizione per le controversie attinenti al recupero di aiuti di Stato illegittimi sia in via esclusiva quella del giudice amministrativo, sulla base dell'art. 49 della legge 234 del 2012. Tale norma, però, è entrata in vigore successivamente non solo all'introduzione del primo grado di giudizio della presente controversia, ma anche del ricorso per cassazione, proposto, infatti, nel 2010.

In base alla suddetta legge n. 29 del 2006, lo Stato italiano ha previsto le modalità per il recupero dell'aiuto; esse consistevano nella presentazione in via telematica alla Agenzia delle Entrate, da parte dei soggetti beneficiari degli aiuti dichiarati illegittimi, di una attestazione con gli elementi necessari per individuare l'aiuto fruito. Inoltre, entro i sessanta giorni successivi, i beneficiari del regime agevolativo avrebbero dovuto effettuare, a seguito di autoliquidazione, il versamento degli importi equivalenti alle imposte non corrisposte per effetto della agevolazione stessa, nonché degli interessi.

Non è contestato che i contribuenti non abbiano provveduto a tali adempimenti.

A tali somme, l'agenzia aveva, quindi, aggiunto la comminatoria di sanzioni amministrative perché l'omissione di comunicazioni prescritte dalla legge tributaria è punita dall'art. 11 d. Ivo 471/97 e il mancato pagamento di un tributo entro la scadenza è punito dall'art. 13 d.Ivo 471/97.

Secondo l'ufficio, la CTR ha errato nel ritenere non dovute le sanzioni sulla base del fatto che la normativa comunitaria obbliga gli Stati a recuperare l'agevolazione illegittima ed il relativo interesse e nulla più, con esclusione quindi delle sanzioni, la cui applicazione deve essere espressamente indicata nell'atto normativo di riferimento e non può essere applicata per analogia.

L'ufficio deduce che le sanzioni sono previste dalla legge nazionale, ed in particolare dalle norme generali sopra richiamate.

I contribuenti eccepiscono che l'art 5 della decisione della Commissione Europea prevede solo il recupero di aiuti e interessi, e ciò è stato recepito nell'art. 24 della legge 29 del 2006.

Osservano che la direttiva è obbligatoria in tutti i suoi elementi e quindi la norma nazionale non può andare oltre la direttiva.

Il motivo di ricorso dell'ufficio è fondato.

Come rilevato anche dalla dottrina, le decisioni della Commissione che dichiarano l'incompatibilità di un aiuto, adottando le conseguenti statuizioni sulla restituzione delle somme, hanno efficacia diretta nell'ordinamento nazionale e quindi sono vincolanti nel senso di imporre allo Stato membro di eliminare l'atto (amministrativo o negoziale) o la norma di legge che prevede l'aiuto vietandone la concreta erogazione e disponendone il recupero, pena l'assoggettamento a procedura di infrazione in caso di inadempimento.

Secondo consolidata giurisprudenza euro-unitaria, l'unica ragione di difesa opponibile è la "impossibilità assoluta" di dare esecuzione alla decisione della Commissione (tra le altre, CGUE, sent. 9 luglio 2015, C-63/14, Commissione/Francia, par. 48, e sent. 11 settembre 2014, C-527/12, Commissione/Germania, par. 48 e 49).

L'obbligo di restituzione è disciplinato dal Reg. CE 22 marzo 1999 n. 659 (recante le modalità di applicazione dell'art. 108 TFUE, successivamente modificato fino al Regolamento (UE) 2015/1589 del Consiglio del 13 luglio 2015) il quale, all'art. 14, stabilisce che il recupero va effettuato "senza indugio" e che alla decisione della Commissione con la quale viene imposto allo Stato membro interessato di recuperare l'aiuto illegittimo deve essere data esecuzione "immediata ed effettiva" attraverso le procedure di recupero previste dalla legge dello Stato oppure con misure (amministrative o legislative) da adottare ad hoc per ristabilire la concorrenza violata.

E' fatto salvo solo il potere della Commissione di valutare se le misure poste in essere siano "concretamente idonee" a garantire "effettivamente" l'esecuzione e sanare - anche se a posteriori - le distorsioni alla concorrenza generate dagli aiuti illegittimi e immediata ed effettiva della decisione della Commissione. A tal fine e in caso di procedimento dinanzi alle autorità giudiziarie nazionali, "gli Stati membri interessati adottano tutte le misure necessarie disponibili nei rispettivi ordinamenti giuridici", comprese le misure provvisorie, fatto salvo il diritto dell'Unione.

Da quanto sopra emerge, quindi, che, se l'obbligo del recupero discende dalla normativa dell'Unione, le modalità concrete con cui attuare lo stesso sono regolate, per quanto non previsto dal regolamento comunitario, dalla normativa nazionale.

Lo Stato, quindi, deve operare in ogni modo per recuperare l'aiuto, e, in caso di misure insufficienti, è passibile esso stesso di sanzioni di fronte alla UE. Alla luce di questo, allora, il fatto che la legislazione nazionale preveda sanzioni applicabili anche in caso di inadempimento delle procedure fissate a livello nazionale per permettere il recupero dell'aiuto non solo non è in contrasto, ma è in linea con lo spirito della normativa dell'Unione.

Nella specie, la legislazione nazionale per il recupero dell'aiuto ha previsto la presentazione di una dichiarazione ed il versamento in autoliquidazione. L'omissione di tali adempimenti ricade nella generale previsione sanzionatoria di omesse dichiarazioni obbligatorie e di omessi versamenti, ed è, quindi, come detto, del tutto in linea con lo spirito della normativa dell'Unione tendendo a rendere effettiva la procedura di recupero.

In particolare, le sanzioni sono previste dal:

- art. 11 comma 1 lett. a) d. Ivo 471/97, dove la sanzione originaria, da lire 500.000 a lire 4.000.000, è stata semplicemente sostituite dall'art. 15 lett. m) d. Ivo 158/2015 in quella "da euro 250 a euro 2.000", restando di fatto invariata;

- art. 13 comma 2 d. Ivo 471/97, dove la sanzione del 30% dell'importo non versato non è stata modificata dall'art. 15 lett. o) d. Ivo 158/2015 (la ipotesi premiale della riduzione al 15% in caso di versamento entro novanta giorni introdotta dal 2016 non appare applicabile perché nel caso di specie non vi era stato alcun versamento entro novanta giorni dalla notifica dell'atto di recupero e di irrogazione sanzioni che avvenne nel 2006). Non si pone, quindi, un problema di successione delle leggi nel tempo.

Ora, in materia Sez. V, n. 27495 del 30.12.2014 (Rv. 633673 - 01) ha affermato che In tema di recupero di aiuti di Stato erogati ai sensi dell'art. 5 sexies del d. I. 24 dicembre 2002, n. 282, convertito in legge 21 febbraio 2003, n. 27, l'attestazione di cui all'art. 24, comma 2, della legge 25 gennaio 2006 n. 29, in quanto strumentale alle attività di controllo dell'Amministrazione finanziaria, prescinde dal fatto che il beneficiario dell'aiuto abbia il diritto di trattenerlo o debba, invece, restituirlo in tutto o in parte, come depone la previsione dell'obbligo della sua presentazione anche in caso di autoliquidazione negativa, sicché la sua omissione soggiace sempre alla sanzione di cui all'art. 11 del d.lgs 18 dicembre 1997 n. 471.

Il principio è applicabile anche al caso di specie, rilevando, oltre tutto, che l'art. 24, comma 4, I. 29/2006 richiama comunque l'applicabilità delle sanzioni.

La sentenza della CTR, quindi, ha affermato un principio non corretto e deve essere cassata.

Vertendo l'errore su temi di diritto che non richiedono l'esame di dati di fatto, questa Corte può anche decidere nel merito la questione ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ., rigettando il ricorso originario del giudizio atteso che, come si è visto, l'applicabilità delle sanzioni è del tutto compatibile con la procedura di recupero degli aiuti.

Va, poi, affrontato il problema dell'effetto del pagamento che i contribuenti hanno dimostrato di avere compiuto ai fini della definizione agevolata, depositando una memoria pochi giorni prima dell'udienza, con cui hanno chiesto dichiararsi cessata la materia del contendere.

Emerge dalla stessa, infatti, che i contribuenti, dopo avere proposto domanda di definizione di lite pendente ex art. 39 comma 12 d.l. 98/11, sia per il recupero aiuti che per le sanzioni, in data 30.11.2011 hanno effettuato il pagamento; in data 26.3.2012 hanno completato la presentazione telematica tramite intermediario, e in data 15.6.2012 è intervenuto il provvedimento dell'agenzia che non ha accolto la domanda (anche per le sanzioni) in quanto gli importi si riferiscono ad aiuti di Stato (art. 39 comma 12 lett. e) d.l. 98/11).

Dalla sequenza temporale sopra descritta emerge che, in data posteriore al versamento, ed in particolare nel giugno 2012, la agenzia ha respinto la domanda di definizione agevolata. Ora, l'art. 39 rinvia all'art. 16 legge 289 del 2002 per le questioni procedurali in essa non previste, e il suddetto art. 16 prevede che il diniego vada impugnato entro sessanta giorni davanti allo stesso giudice presso il quale pende la lite. I contribuenti avrebbero, dunque, dovuto impugnare il diniego del giugno 2012 a suo tempo con autonomo ricorso. Nella specie, invece, non risulta intervenuta alcuna impugnazione del provvedimento di diniego, il quale non può essere esaminato in questa sede.

Non vi sono i presupposti, quindi, per dichiarare cessata la materia del contendere, atteso il diniego dell'ufficio alla definizione agevolata. Infine, le spese processuali seguono la soccombenza. Sono, pertanto, a carico delle parti soccombenti in solido e si liquidano in euro 3.200 oltre le spese prenotate a debito.

 

P.Q.M.

 

Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo.

Condanna i soccombenti in solido al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 3.200 oltre le spese prenotate a debito.