Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 27 settembre 2017, n. 22565

Tributi - Società estinta - Accertamento - Riscossione - Cartella di pagamento - Credito d’imposta

 

Esposizione dei fatti di causa

 

1. M.D. impugnava la cartella esattoriale relativa al pagamento della maggior imposta Irap, IVA e ritenute alla fonte.

Secondo l'agenzia delle entrate non spettava al contribuente il credito di imposta che era stato esposto nell'anno 2001 dalla società A.E. s.a.s. poiché essa era estinta e non poteva configurarsi giuridicamente la successione tra la società stessa ed il contribuente persona fisica, benché egli si fosse dichiarato continuatore della società nella dichiarazione dei redditi dopo esserne diventato socio unico. La commissione tributaria provinciale di Genova rigettava il ricorso. Proposto appello da parte del contribuente, la CTR della Liguria lo accoglieva sul rilievo che era da ritenersi ammissibile la trasformazione di una società di persone in impresa individuale, per il che il ricorrente aveva titolo per beneficiare del credito di imposta dichiarato dalla società estinta.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione l'agenzia delle entrate affidato ad un motivo. Il contribuente non si è costituito in giudizio.

3. Con l'unico motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 3, cod. proc. civ., in relazione all'art. 2498 cod. civ.. Sostiene che la trasformazione di società di persone in impresa individuale non è ammissibile, di talché non spetta al contribuente il credito di imposta che già spettava alla società estinta.

 

Esposizione delle ragioni della decisione

 

1. Osserva la Corte che il ricorso è infondato. Va considerato che, nel caso in cui si discuta della corretta interpretazione di norme di diritto, il controllo del giudice di legittimità investe direttamente anche la decisione e non è limitato solo alla plausibilità della giustificazione, sicché, come desumibile dall'art. 384, comma 4, cod. proc. civ., il giudizio di diritto può risultare incensurabile anche se mal giustificato, perché la decisione erroneamente motivata in diritto non è soggetta a cassazione, ma solo a correzione quando il dispositivo sia conforme al diritto (cfr. Cass. n. 13086 del 24/06/2015). Ciò premesso, lo scioglimento della società in accomandita semplice, a norma dell'art. 2323 cod. civ., si determina quando rimangono solo soci accomandatari o soci accomandanti, sempreché nel termine di sei mesi non sia stato sostituito il socio che è venuto meno. Se il socio superstite decide di non trovare altri soci e di continuare l'attività come impresa individuale, non si verifica una trasformazione nel senso tecnico inteso dall'art. 2498 cod. civ., riferito alla trasformazione di una società da un tipo ad un altro, bensì un rapporto di successione tra soggetti distinti, distinguendosi, appunto, persona fisica e persona giuridica per natura, e non solo per forma. L'atipica trasformazione in parola è preceduta dallo scioglimento della società e dalla liquidazione della stessa, concludentesi con l'assegnazione del patrimonio sociale residuo al socio superstite ai fini della successiva estinzione della società stessa (Sez. 5, n. 3670/2007). Principio indubbiamente valido anche alla luce della riforma del diritto societario, posto che l'art. 2498 c.c. riserva la disciplina della trasformazione a quella di un "ente" in altro "ente" (nella trasformazione eterogenea da società in consorzi, società consortili, comunioni d'azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni e viceversa: artt. 2500 septies e 2500 octies cod. civ.). Non si realizza, dunque, nel caso che occupa, una trasformazione societaria ai sensi dell'art. 2498 cod. civ., ma solo una successione tra soggetti distinti, ossia tra colui che conferisce l'azienda (la società di persone in liquidazione) e la persona fisica che ne è beneficiaria (il socio superstite) (cfr. Cass. n. 496 del 14/01/2015). E nel caso di cessione d'azienda, il credito d'imposta per la parte già maturata, ma non ancora utilizzata dal cedente l'azienda, è trasferibile all'impresa - qualora quest'ultima prosegua la stessa attività - succeduta nella titolarità della stessa azienda, verificandosi una continuità anche fiscale tra le due aziende, come previsto dagli artt. 2559 cod. civ. e 58 del D.P.R. n. 917 del 1986 (cfr. Cass. n. 3342 del 12/02/2013). Ora, non è contestato che il D., dopo essere divenuto unico socio della società in accomandita semplice, ha proseguito l'attività di impresa quale imprenditore individuale, per il che vi è stato il trasferimento dell'azienda dalla società all'impresa individuale. Inoltre mette conto considerare che non ha dedotto l'agenzia delle entrate che il D. abbia utilizzato il credito per somma già utilizzata dalla società. Ne consegue che, in quanto cessionario dell'azienda, spettava al contribuente il credito di imposta esposto dalla società.

2. Il ricorso va, dunque, rigettato. Non si provvede sulle spese data la mancata costituzione del contribuente.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.