Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 12 giugno 2017, n. 14575

Licenziamento per giusta causa - Dipendente Enel - Mancata comunicazione delle operazioni eseguite - Immediatezza della contestazione

Fatti di causa

Con sentenza n. 8376/2014, depositata il 10 dicembre 2014, la Corte di appello di Napoli rigettava i gravame di F.S. nei confronti della sentenza del Tribunale di Napoli, che aveva respinto la domanda del lavoratore per la dichiarazione di illegittimità del licenziamento per giusta causa allo stesso intimato a seguito di contestazione in data 5/1/2011 - da ENEL Distribuzione S.p.A. a motivo dell'arbitraria rimozione, nel periodo dal 2/7/2010 al 30/10/2010, di cinque misuratori recanti visibili segni di manomissioni esterne e della mancata comunicazione alla struttura gerarchica delle operazioni così eseguite.

La Corte riteneva provati gli addebiti e sussistente la giusta causa, osservando come risultasse osservato nella specie il requisito dell'immediatezza della contestazione, tenuto conto dell'articolata verifica condotta dalla società a partire dal 2010, volta a ridurre le perdite di rete, ivi compresa la lotta ai prelievi irregolari di energia elettrica.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il lavoratore con unico motivo; la società ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.

 

Ragioni della decisione

 

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata. Il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere reso, in violazione dell'art. 132 n. 4 c.p.c., una motivazione generica, e quindi insufficiente, con riferimento alla ritenuta sussistenza, nella specie, del requisito di immediatezza della contestazione disciplinare rispetto ai fatti addebitati.

In particolare, il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui, nel pronunciare il rigetto del primo motivo di appello, ha richiamato l'ampiezza e la complessità della verifica condotta dalla società, a partire dall'anno 2010, al fine di contrastare i prelievi irregolari di energia elettrica e di accertare il coinvolgimento, e le responsabilità, dei propri dipendenti nella consumazione degli illeciti (p. 8), e, peraltro, trascurando precisi e circostanziati riferimenti alla sua specifica posizione.

Ciò premesso, il motivo risulta inammissibile.

Si deve, infatti, preliminarmente osservare che la sentenza di secondo grado è stata depositata il 10 dicembre 2014 e, pertanto, nel vigore del nuovo vizio "motivazionale" come riformulato dal decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito in I. 7 agosto 2012, n. 134.

Come precisato da questa Corte a Sezioni Unite con la sentenza n. 8053/2014 (conf. n. 8054/2014), "la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 Preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione"; con la conseguenza che "è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione".

Ora, non vi è dubbio che nessuna di tali ipotesi possa configurarsi nel caso in esame, posto che il giudice di merito, nell'osservanza del consolidato principio di "relatività" del criterio di immediatezza (in ragione della specifica natura dell'illecito disciplinare e del tempo occorrente per l'espletamento delle indagini), ha comunque fornito in ordine al punto di fatto contestato, e sia pure in termini sintetici, una chiara motivazione, a cui concorre il richiamo esplicito a "quanto detto in premessa" e cioè alla precisazione che le condotte omissive e commissive, poste a base del successivo licenziamento, furono contestate all'odierno ricorrente "in data 5 gennaio 2011 dopo circa sei mesi dall'epoca" della loro realizzazione (cfr. sentenza impugnata, p. 3).

Il ricorso deve conclusivamente essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per le spese e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.