Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 11 luglio 2016, n. 14156

Tributi - Contenzioso tributario - Società estinta - Legittimazione passiva - Duplice notifica dell’accertamento alla società estinta e alla coobbligata socia accomandataria - Legittimità

 

Osserva

 

La CTR di Bologna ha accolto l’appello di R.M.R. - appello proposto contro la sentenza n. 45/07/2012 della CTP di Parma che aveva respinto il ricorso della predetta contribuente - così annullando l’avviso di accertamento per IVA-IRAP e sanzioni relative al periodo d’imposta 2004 e concernenti un maggior reddito di impresa imputato a tale "P.T. di R.M.R. & C. sas" (società cancellata il 30.12.2004 e della quale la R. risultava essere stata socia accomandataria con quota pari al 90%) avviso adottato parallelamente ad altro (ai fini IRPEF 2004) concernente il reddito da partecipazione imputato (per trasparenza) alla R. in ragione della sua quota di partecipazione nella ridetta società, il quale ultimo era stato separatamente impugnato dalla R. medesima.

La CTR dopo avere evidenziato che il primo dei due menzionati avvisi era stato notificato sia alla società estinta sia alla R. in qualità di coobbligata quale socia accomandataria e dopo avere evidenziato che la contribuente aveva eccepito che la società era stata cancellata il 30.12.2004, sicché essa contribuente non poteva rappresentarla - ha argomentato nel senso che "è provato che l’accertamento .... per l’anno 2004 è stato notificato il 30.11.2010 alla signora R. .... quale legale rappresentante della ditta .... cancellata dal registro ditte il 30.12.2004", sicché consegue che con l’estinzione viene meno la soggettività e la capacità processuale della società nonché della rappresentanza dei liquidatori, onde i creditori possono fare valere le proprie pretese nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, giacché "titolari di una nuova ed autonoma azione contro gli ex soci". Nella specie, l’ufficio aveva "rivolto la sua pretesa fiscale nei confronti di un soggetto inesistente", sicché andava accolta l’eccezione di mancanza di legittimazione passiva formulata dalla R.. L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

L’intimata non si è difesa.

Il ricorso - ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 cpc - può essere definito ai sensi dell’art. 375 n. 1 cpc.

Con il secondo motivo di impugnazione (centrato sull’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio) e con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione degli art. 2312, 2313, 2315, 2324 e 2495 cod.civ.; nonché dell’art. 65 del DPR n. 600/1973) la parte ricorrente si duole - da un canto - per avere il giudice del merito omesso di considerare che l’avviso di accertamento era stato notificato non alla società estinta bensì agli ex soci della medesima (presso il rispettivo domicilio fiscale) in qualità di ex soci, l’uno illimitatamente e l’altro limitatamente responsabili, in relazione ai periodi in cui erano stati appunto soci della società estinta e come responsabili in solido per le obbligazioni da quest’ultima contratte. Il giudicante aveva perciò equivocato nel ritenere che necessitasse all’Agenzia "introdurre una nuova ed autonoma azione nei confronti degli ex soci", potendo invece l’Agenzia coltivare la propria pretesa nei confronti dei predetti ex soci a mente dell’art. 2312 cod civ ed in ragione della fonte normativa della loro responsabilità. La stessa Agenzia ricorrente si duole - d’altro canto, con il primo motivo - per avere il giudicante fatto erronea applicazione dell’art. 2312 cod civ dal quale si evince che i creditori insoddisfatti di società in accomandita semplice possono fare valere i loro crediti nei confronti dei soci, se del caso avvalendosi della responsabilità illimitata di quelli. Del tutto irrilevante, perciò, che l’avviso fosse intestato alla società, perché esso era stato "altresì" notificato anche ai soci della stessa, che rispondono dei debiti sociali nelle rispettive qualità sia prima che dopo la cancellazione della società.

I motivi (da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta inerenza) appaiono fondati e da accogliersi.

Va preliminarmente evidenziato che l’assunto di parte ricorrente in ordine all’erronea considerazione delle emergenze fattuali da parte del giudicante (in riferimento all’effettivo destinatario della pretesa di cui qui si tratta) appare all’evidenza fondato sulla scorta di quanto lo stesso giudicante riferisce nella sentenza impugnata, dalla quale emerge che fosse noto al giudicante che "l’avviso di accertamento è stato notificato alla società estinta e alla R.M.R., coobbligata quale socia accomandataria di società in accomandita semplice". La duplice notificazione dell'atto avrebbe dovuto far intendere al giudicante (quand’anche la qualità della R. non fosse stata esplicitata, come invece risulta che sia stata) che la R. medesima è stata destinataria di due distinte notifiche ma di una sola pretesa, come persona fisica. Ed invero, quella personalmente rivolta contro la R. deve considerarsi autonoma da quella rivolta contro la società "P.T. sas", alla quale è stata indirizzata per il tramite di una "legale rappresentante ormai non più esistente", e tale autonomia è dichiarata dallo stesso fatto che alla R. la notifica è stata anche direttamente rivolta (senza la specificazione della qualità) e che nell’atto si menzionasse la qualità (di socia) per la quale la pretesa veniva formulata.

Siffatta evidenza, misconosciuta dal giudicante, ha determinato l’omessa considerazione del fatto decisivo (nell’ottica del thema decidendum) consistente nella qualità in relazione alla quale la R. è stata destinataria della notifica e perciò dell’atto impositivo.

D’altro canto, il medesimo erroneo presupposto di fatto ha determinato anche l’erronea applicazione della norma di legge invocata dalla parte ricorrente con il primo motivo di impugnazione a mente della quale il socio accomandatario assume la responsabilità illimitata e solidale dei debiti sociali (diversamente da quanto avviene per i soci accomandanti, per i quali la medesima norma prevede il limite massimo della quota conferita). Alla stregua di tale disciplina, la creditrice Agenzia non ha bisogno di esercitare una nuova ed autonoma azione contro i soci, azione che il giudicante ha esplicitamente limitato all’epoca successiva alla cancellazione della società, perché invece l’Agenzia creditrice può avvalersi della medesima azione che le competeva anche prima della cancellazione della società e sul solo presupposto di non essere stata soddisfatta delle proprie pretese.

D’altronde, non guasta qui ribadire il principio di diritto enunciato da Cass. Sez. U, Sentenza n. 6070 del 12/03/2013, secondo il quale: "Dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l'obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, "pendente societate", fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo".

Avendo quindi l’Agenzia titolo per agire contro la R. (nella sua qualità di socia illimitatamente responsabile) sia prima che dopo l’estinzione della società, non resta che concludere che erroneamente il giudice del merito ne ha dichiarato la "mancanza di legittimazione passiva" ed ha erroneamente annullato l’avviso di accertamento.

Ciò posto, non ci si può tuttavia esimere dal rilevare (d’ufficio, per quanto non ne sia stata sollevata la questione) che la vicenda di causa non si sottrae alla regola della integrazione del contraddittorio tra le parti necessarie del processo, vertendosi comunque in tema di determinazione del reddito societario con il metodo ("per trasparenza", ex art. 5 d.P.R. 22/12/1986 n. 917) di automatica imputazione ai soci, senza che nulla muti a tale riguardo per il fatto che in relazione a tale reddito - per le sole conseguenze in punto di imposte indirette - sia esercitata azione di responsabilità sussidiaria in capo al socio illimitatamente responsabile, in virtù della natura solidale dell’obbligazione prevista ex lege, anzicchè contro il responsabile (per così dire) "principale". Premessa per l’esercizio di detta azione è - comunque - la verifica della fondatezza dell’unitario esercizio della potestà impositiva che coinvolge al tempo stesso la responsabilità sociale e quella dei soci, verifica che anche il socio illimitatamente responsabile ha titolo a chiedere, non essendo la sua una responsabilità "oggettiva", ma essendo comunque fondata sul previo necessario acclaramento della fondatezza della pretesa sostanziale fatta valere in giudizio. Da ciò la conseguenza (risalente alla formazione del principio di diritto vivente enunciato da Cass.Sez. U, Sentenza n. 14815 del 04/06/2008) "che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci - salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali, sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad uno solo di essi".

Siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell'obbligazione dedotta nell'atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario.

Siffatto principio è stato di recente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 20.6.2012 n. 10145) anche per ciò che concerne la tassazione "per trasparenza" dei soci, in conseguenza di un accertamento eseguito (come anche nel caso qui di specie) in relazione alla società per ciò che attiene all’IRAP (e senza che possa rivelarsi di qualche utilità la separazione delle cause con riferimento all’accertamento relativo alla sola IVA), sicché non osta all’accoglimento della censura di parte ricorrente la circostanza che la vicenda si sia appunto originata da un accertamento in tema di Imposta regionale sull’attività produttiva.

Per ulteriore conseguenza di ciò, la trattazione dell’impugnazione proposta dalla R. avverso il provvedimento notificatole nella ridetta qualità avrebbe dovuto avvenire - sin dal primo grado di giudizio - nel necessario contesto degli altri soci, indipendentemente dal fatto che non potesse prendervi parte anche la società siccome già priva di soggettività al momento dell’adozione del provvedimento impositivo.

Non resta che desumerne la conseguenza che alla cassazione della pronuncia impugnata non potrà fare seguito la semplice rimessione al giudice a quo, perché invece sarà necessario rimettere la lite al giudice di primo grado (la CTP di Parma), affinché provveda al rinnovo di tutta la procedura irritualmente esperita, previa l’integrazione del contradditorio nei confronti delle altre parti necessarie. Si propone perciò di decidere il ricorso con la procedura camerale, sul presupposto della manifesta fondatezza dello stesso.

Ritenuto inoltre:

- che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

- che non sono state depositate conclusioni scritte, ne memorie;

- che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;

- che le spese di lite posso essere compensate in relazione ai gradi di merito ed al giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

Provvedendo sul ricorso, annulla la decisione impugnata e rinvia alla CTP di Parma che, in diversa composizione e previa integrazione del contraddittorio tra le parti necessarie, provvederà nuovamente sul ricorso introduttivo. Spese di lite integralmente compensate.