Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 giugno 2017, n. 14369

Tributi indiretti - IVA - Accertamento - Operazione intracomunitaria - Imponibilità - Procedimento

 

Rilevato che

 

Con sentenza in data 12 ottobre 2015 la Commissione tributaria regionale della Toscana respingeva l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 36/16/13 della Commissione tributaria provinciale di Firenze che aveva accolto il ricorso della A. srl contro l'avviso di accertamento IVA 2005. La CTR osservava in particolare che, trattandosi di un'operazione intracomunitaria realmente avvenuta tra soggetti passivi IVA, l'erronea indicazione del numero di identificazione del soggetto cessionario non si poteva considerare quale violazione sostanziale ai fini della detrazione e delle sanzioni.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l' Agenzia delle entrate deducendo un motivo unico.

La società intimata non si è difesa.

 

Considerato che

 

Con l'unico motivo dedotto -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- l'Agenzia fiscale ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione degli artt. 41, 50 d.l. 331/1993, 115, 116, cod. proc. civ., 2697, cod. civ., poiché la CTR ha ritenuto che l'erronea indicazione del codice IVA del cessionario di un'operazione intracomunitaria non implicasse il recupero dell'imposta e delle relative sanzioni, ritenendo irrilevante che fosse concretamente comprovato dalla società contribuente che il cessionario fosse effettivamente un soggetto passivo IVA.

La censura è fondata.

Va infatti ribadito che «Ai fini del riconoscimento della non imponibilità ai fini IVA delle cessioni intracomunitarie, la procedura di attribuzione del codice identificativo del cessionario, pur rimanendo centrale ai fini della sussumibilità dell'operazione nell'ambito di quelle regolate dagli artt. 41 e 50 del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito nella legge 29 ottobre 1993, n. 427, non può determinare, se mancante, il venir meno della possibilità di inquadrare la cessione  nell'ambito di quelle intracomunitarie, allorchè l'operatore provi in modo rigoroso tutti i requisiti sostanziali della normativa di settore, sulla base degli elementi ritualmente prodotti nel corso del procedimento» (Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 17254 del 29/07/2014, Rv. 632187 - 01) ed altresì che «In tema d'IVA, le cessioni intracomunitarie, a norma dell'art. 50, commi 1 e 2, del d.l. n. 331 del 1993, conv. in I. n. 427 del 1993, sono effettuate senza applicazione d'imposta nei confronti dei cessionari e dei committenti che abbiano comunicato il numero d'identificazione attribuito dallo Stato di appartenenza a condizione che il soggetto attivo dello scambio dia impulso ad una apposita procedura di verifica, richiedendo al Ministero la conferma della validità attuale del numero d'identificazione attribuito al cessionario; in assenza di tali adempimenti, legittimamente l'Ufficio finanziario può ritenere che lo scambio abbia carattere nazionale e procedere al recupero dell'IVA, restando onere del contribuente provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo» (Sez. 5, Sentenza n. 15871 del 29/07/2016, Rv. 640662 - 01).

Orbene nel caso di specie la CTR toscana ha sì correttamente applicato la prima asserzione di tale principio di diritto, ma non la seconda, non sviluppando adeguatamente la - necessaria - valutazione circa l'assolvimento dell'onere probatorio, gravante sulla società contribuente, di dimostrare che il cessionario fosse un soggetto passivo dell'IVA.

Come fondatamente criticatosi con la censura proposta, sul punto in questione il giudice tributario di appello infatti si è limitato ad osservare che l'Ente impositore ha contestato l'erroneità del codice identificativo del cessionario, ma non la sua soggettività IVA, pertanto su tale rilievo considerando assolto detto onere probatorio della società contribuente in ordine alla circostanza de qua.

L'errore applicativo degli evocati principi circa la disponibilità e la valutazione delle prove nonché quello sull'onere della prova (rispettivamente artt. 115, 116, cod. proc. civ., 2697, cod. civ.), come concretizzati e specificati dai citati arresti giurisprudenziali, ne appare evidente. Nel caso di specie infatti, contestata l'erroneità del codice identificativo IVA del soggetto cessionario, l'Agenzia fiscale non aveva altresì l'onere di contestare anche la qualità di soggetto passivo di tale imposta del cessionario stesso, bensì appunto, rettamente intendosi dette disposizioni legislative e di detti principi di diritto, doveva essere la società contribuente cedente ad allegare e provare tale qualità del cessionario comunitario, indi la CTR doveva valutare l'adeguatezza di tali allegazioni e prove.

Pertanto, avendo fatto la contribuente stessa tale allegazione defensionale ed offerto prove documentali a sostegno della medesima, esprimendosi nei termini di cui sopra il giudice tributario di appello di conto non ha adempiuto al proprio obbligo valutativo di tali allegazioni e prove.

In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio al giudice a quo per nuovo esame che tenga conto dei principi sopra espressi.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e  rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.