Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE MILANO - Sentenza 12 febbraio 2018, n. 571

Cessione ramo d’azienda - Registrazione - DPR n. 131/1986 - Art. 20 DPR n. 131/1986 - Interpretazione degli atti

 

Svolgimento del processo e motivi della decisione

 

Con distinti ricorsi tempestivamente spediti per la notifica il 29.6.2017, (...), la (...) (nel prosieguo, (...) ) e la (...) (nel prosieguo, (...), rappresentate e difese come in atti, hanno proposto impugnazione contro l’avviso di liquidazione con il quale la Direzione Provinciale I di Milano dell’Agenzia delle Entrate ha riqualificato come cessione di ramo di azienda, ai sensi dell’articolo 20 del DPR n. 131/1986, la cessione alla (...) da parte di (...) della propria partecipazione totalitaria in (...), nella quale aveva precedentemente conferito il ramo d’azienda (...).

L’Ufficio aveva ritenuto che "la consecutio dei diversi atti (conferimento d’azienda da parte di (...) e successiva cessione dell’intera quota di partecipazione al capitale sociale della (...) alla (...) ) evidenziassero in realtà un 'unica fattispecie - ancorché a formazione progressiva - produttiva di un unico effetto giuridico finale da identificarsi nella cessione d’azienda".

La (...) e la (...) hanno preliminarmente contestato l’inesistenza e/o la nullità della notificazione a mezzo posta dell’atto impugnato, sostenendo che il documento consegnato non era in alcun modo riferibile all’avviso di liquidazione impugnato, che non era stata redatta alcuna relata di notifica e che non era stata inviata la prescritta raccomandata informativa.

Tutte le parti ricorrenti hanno inoltre eccepito la nullità dell’atto impugnato, in quanto sottoscritto da funzionario privo dei requisiti richiesti dalla legge e viziato dalla assenza o dalla invalidità del certificato qualitativo necessario per la generazione della firma digitale.

Nel merito, con motivi del tutto uguali, hanno contestato la legittimità dell’avviso di liquidazione per violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 20 del DPR n. 131/1986.

Hanno infatti sostenuto che l’Ufficio avrebbe dovuto interpretare l’atto presentato per la registrazione secondo la propria intrinseca natura giuridica, indagando la comune intenzione delle parti attraverso il contenuto di esso e senza travalicare lo schema negoziale tipico con il richiamo ad altri atti stipulati in precedenza o successivamente.

A supporto di tale tesi, oltre a citare abbondante giurisprudenza di legittimità e di merito, hanno osservato come la recente modifica dell’articolo 10-bis della L. n. 212/2000, operata dall’art. 1 del D.lgs n. 128/2015 senza la contestuale abrogazione né dell’art. 37-bis del DPR n. 600/1973, né dell’art. 20 del DPR n. 131/1986, sia indicativa del fatto che quest’ultima norma disciplini unicamente l’interpretazione dei singoli atti sottoposti a registrazione e che l’ufficio finanziario, sulla base di una corretta applicazione di essa, debba indagare soltanto se il loro nomen juris corrisponda o meno agli effetti giuridici effettivamente voluti dalle parti.

Per di più, hanno aggiunto, gli effetti giuridici della sequenza negoziale ipotizzata dall’Ufficio (monetizzazione da parte di (...) del ramo d’azienda (...), ceduta a (...) attraverso l’artificio del suo previo conferimento in (...) e della successiva cessione della totalità delle quote di questa) solo in parte coincidevano con gli effetti della sequenza posta in essere concretamente dalle parti (cessione da (...) a (...) della totalità delle quote di (...), detentrice del ramo d’azienda (...) ). Anche se dal punto di vista economico la cessione dell’intera partecipazione societaria può essere equivalente alla cessione di azienda, dal punto di vista giuridico le due situazioni sono tra loro nettamente diverse, soprattutto sotto il profilo della applicabilità della disciplina posta dagli artt. 2560 e 2112 del codice civile in tema di responsabilità del cessionario per i debiti del cedente.

L’Ufficio si è costituito in entrambi i giudizi e ha resistito ai ricorsi, in particolare ribadendo - quanto alla applicazione dell’art. 20 DPR n. 131/1986 - gli argomenti esposti nell’atto impugnato.

In data 8.1.2018 le società ricorrenti hanno depositato memorie illustrative, contestando quanto dedotto dall’Ufficio e, in aggiunta a quanto già esposto nei ricorsi, ribadendo l’illegittimità dell’atto impugnato anche alla luce del recentissimo intervento del legislatore, il quale infatti, con la legge di bilancio 2018 (L. 27/12/2017 n. 205), ha modificato il più volte citato articolo 20, al dichiarato scopo di dirimere i dubbi interpretativi che ne hanno caratterizzato nel tempo la concreta applicazione.

All’odierna udienza, svoltasi alla presenza di tutte le parti, si è preliminarmente proceduto alla riunione dei ricorsi e, quindi, alla trattazione della controversia.

Tanto premesso, la Commissione osserva quanto segue.

Devono innanzitutto rigettarsi, perché infondate, le eccezioni sollevate in via preliminare dalle parti ricorrenti: come risulta dalla documentazione prodotta in giudizio, l’atto impugnato è stato sottoscritto da un funzionario dell’ex carriera direttiva, su delega del Direttore dell'Ufficio; è stato notificato direttamente dall’Ufficio a mezzo servizio postale, come previsto dall’art. 14 L. n. 890/1982; la notifica ha raggiunto il suo scopo e le ricorrenti hanno potuto svolgere compiutamente il loro diritto di difesa, cosi risultando sanata ogni eventuale irregolarità o nullità, ex art. 156 cpc.

Nel merito, la controversia propone il tema della natura e del contenuto normativo dell’art. 20 DPR n. 131/86, tema da tempo controverso e ancor oggi ben lontano da una condivisa soluzione.

L’Amministrazione finanziaria ha talora attribuito alla norma una specifica finalità antielusiva. La tesi, supportata da qualche decisione giurisprudenziale, è stata poi diversamente articolata - come nel caso in esame - in adesione ad altro indirizzo giurisprudenziale in base al quale la norma citata (significativamente rubricata "interpretazione degli atti") consentirebbe all’Amministrazione di prescindere del tutto dal titolo o dalla forma apparente dell’atto da sottoporre a registrazione, e di interpretarlo invece alla luce della sua intrinseca natura e del suo collegamento con dati esterni, ma ad esso funzionalmente accomunati in vista di un’unica fattispecie negoziale. In sostanza, si è sostenuto, sarebbe legittimo disconoscere gli effetti tributari tipici degli atti o dei negozi posti in essere dalle parti, ogniqualvolta, prescindendo dal nomen iuris, quegli effetti non appaiano conformi alla "causa reale" dell’operazione complessivamente realizzata.

Sul versante opposto, soprattutto in sede dottrinaria, si è obiettato che l’imposta di registro è un’imposta d’atto, sicché per l’individuazione del suo reale contenuto è precluso il riferimento a dati extratestuali ed esterni all’atto stesso.

Com’è noto, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione è venuto maturando nel tempo un indirizzo, ormai nettamente prevalente, in base al quale l’articolo 20 pone una "regola dichiaratamente interpretativa ... e si riferisce agli atti nella loro oggettività ermeneutica, prescindendo da qualunque riferimento all'eventuale disegno o intento elusivo delle parti". La qualificazione interpretativa - si è detto - ha ad oggetto "la causa dell’atto, nella sua dimensione reale e concreta", dovendosi intendere per causa negoziale "la sintesi degli interessi che si sono oggettivati nell’operazione economica", a prescindere dalla astrattezza giuridico formale della tipologia negoziale utilizzata. In sostanza, si è concluso, l’imposta di registro più che di "imposta d’atto", si configura come "imposta di negozio" e si correla alla "causa concreta dell’operazione", quale risulta dal collegamento funzionale con altri atti la cui causa tipica concorre alla realizzazione di un unitario programma negoziale (così, da ultimo, Cass. Sez. 5, Sentenza 10 marzo/15 marzo 2017 n. 6758).

In adesione a questa tesi, anche nel caso in esame l’Agenzia delle Entrate ha applicato, alla cessione da parte di (...) della propria partecipazione totalitaria in (...), l’imposta proporzionale di registro prevista per le cessioni d’azienda.

Senonché, nelle more del giudizio, il panorama del dibattito è stato profondamente inciso dall’intervento del legislatore, il quale infatti, con l’articolo 1, comma 87, della L. n. 2015/2017 (ndr articolo 1, comma 87, della L. n. 205/2017), ha modificato il primo comma della norma in discussione, il cui testo è ora del seguente testuale tenore: "l'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell ’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi".

Con la medesima legge è stato modificato anche il primo comma dell’art. 53-bis del medesimo DPR n. 131/86, facendo precedere alle parole "le attribuzioni e i poteri" l’inciso "Fermo restando quanto previsto dall'articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, numero 212".

Il dibattito si è così spostato sulla natura delle nuove disposizioni, discutendosi se esse abbiano natura interpretativa o innovativa e se abbiano o meno efficacia retroattiva.

Senza dubbio, in questo contesto, assume particolare importanza la relazione illustrativa alla nuova legge. In essa si legge testualmente che ‘La modifica è volta a dirimere alcuni dubbi interpretativi sorti in merito alla portata applicativa dell'articolo 20 del DPR 26 aprile 1986 n. 131 ... incertezze interpretative ... rese evidenti anche dall’esame delle pronunce della giurisprudenza di legittimità ...La norma introdotta è volta, dunque, a definire la portata della previsione di cui all’articolo 20 del TUR, al fine di stabilire che detta disposizione deve essere applicata per individuare la tassazione da riservare al singolo atto presentato per la registrazione, prescindendo da elementi interpretativi esterni all'atto stesso (ad esempio, i comportamenti assunti dalle parti), nonché dalle disposizioni contenute in altri negozi giuridici "collegati" con quello da registrare. Non rilevano, inoltre, per la corretta tassazione dell atto, gli interessi oggettivamente e concretamente perseguiti dalle parti nei casi in cui gli stessi potranno condurre ad una assimilazione di fattispecie contrattuali giuridicamente distinte (non potrà, ad esempio, essere assimilata ad una cessione di azienda la cessione totalitaria di quote). È evidente che ove si configuri un vantaggio fiscale che non può essere rilevato mediante l’attività interpretativa di cui all’articolo 20 del TUR, tale vantaggio potrà essere valutato sulla base della sussistenza dei presupposti costitutivi dell’abuso del diritto di cui all’articolo 10-bis della Legge 27 luglio 2000, numero 212".

È innegabile, sulla base di quanto esplicitato nella relazione, che le nuove disposizioni abbiano una finalità interpretativa e siano dirette ad eliminare le incertezze registratesi nella prassi e nella giurisprudenza.

Facendo leva su questo argomento, in senso favorevole alla tesi della natura interpretativa e retroattiva del nuovo articolo 20 si è già pronunciata la Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia (sentenza n. 4/2018 del 31 dicembre 2018).

Senonché, come è noto, la volontà del legislatore non sempre equivale alla voluntas legis, quale si è oggettivata nel testo di legge e per la cui ricostruzione non può prescindersi dagli elementi strutturali della norma e dalla sua posizione nel contesto del complessivo sistema giuridico di riferimento.

E così, con una recentissima sentenza, la Corte di Cassazione ha disconosciuto al novellato articolo 20 natura ed efficacia di norma di interpretazione retroattiva, rilevando che la nuova disposizione ha introdotto, nell’attività di qualificazione giuridica della fattispecie, limiti che prima non erano previsti e "ha determinato una rivisitazione strutturale profonda ed antitetica della fattispecie impositiva pregressa" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2007/2018).

Effettivamente, nell’art. 1 della L. n. 205/2017 mancano gli espliciti riferimenti formali che l’art. 1, comma 2, della L. n. 212/2000 (Statuto del contribuente) richiede per una norma di interpretazione autentica (in particolare, l’adozione in casi eccezionali, l’espressa menzione della qualifica di legge di interpretazione autentica, l’efficacia retroattiva).

L’argomento, tuttavia, non sarebbe decisivo, perché le disposizioni dello Statuto hanno comunque valore di legge ordinaria e ben possono essere derogate implicitamente da una norma successiva di pari forza, avente sostanziale natura interpretativa.

Rimane però il fatto, per tornare al tema che qui interessa, che la tesi della natura interpretativa e dell’efficacia retroattiva della nuova norma sono difficilmente compatibili con il dato testuale dell’articolo 1, comma 87, della L. n. 205 2017, che infatti dichiara espressamente di apportare modificazioni all’articolo 20, così palesando - aldilà delle intenzioni di chiarificazione e di interpretazione - la natura innovativa dell’intervento legislativo e la sua efficacia rivolta solo al futuro (secondo i primi orientamenti dell’Agenzia delle Entrate, ai soli atti impositivi notificati dopo il 31.12.2017).

Così esclusa l’efficacia retroattiva della nuova disposizione, ritiene tuttavia la Commissione che da tale approdo interpretativo non discenda, in via diretta ed automatica, la necessità di attribuire alla norma previgente, proprio in considerazione del processo di modificazione cui è stata sottoposta, un contenuto precettivo opposto a quello di nuova introduzione.

Insomma, l’interprete non è obbligato a dare alla norma previgente un significato contrastante con quella di cui alla recente modifica.

Anzi, l’irrisolto contrasto che ancora si registra nella giurisprudenza di legittimità autorizza l’interprete a tener conto della novità legislativa e, sulla base di una lettura della nuova norma costituzionalmente orientata in direzione della preminenza del principio di ragionevolezza, ad attribuire alla previgente disposizione un contenuto precettivo che, allo stesso tempo, sia compatibile con gli ordinari criteri ermeneutici, ma anche rispettoso della volontà del legislatore, quale si è manifestata nella recente novella.

Traendo le conclusioni da quanto si è sin qui osservato, ritiene la Commissione che l’art. 20 del TUR - nel testo che disciplina la fattispecie in esame e vigente ratione temporis - debba essere interpretato in conformità all’indirizzo giurisprudenziale di legittimità - ancorché sino ad oggi minoritario - che, escluso ogni riferimento alla tematica dell’abuso del diritto (incontestabilmente estranea alla presente controversia), riconosce all’Amministrazione finanziaria il potere di non accogliere acriticamente la qualificazione prospettata dalle parti, ma nega tuttavia che essa, nell’attività riqualificatoria consentita dalla norma, possa "travalicare lo schema negoziale tipico nel quale l'atto risulta inquadrabile, pena l’artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta e comportante differenti effetti giuridici", così giungendo alla equiparazione di situazioni che, seppure non difformi dal punto di vista economico, sono sicuramente diverse sotto il profilo giuridico, come per l’appunto, nel caso in esame, la cessione di una totalitaria partecipazione societaria e la cessione di un complesso di beni aziendali (in questo senso, da ultimo, Cass. Sez. 5, Sentenza 3.10.2016/27.1.2017 n. 2054).

In conclusione, i ricorsi devono essere accolti, con conseguente annullamento dell’atto impugnato.

La novità e la complessità della questione giuridica affrontata giustificano la compensazione delle spese.

 

P.Q.M.

 

Accoglie i ricorsi riuniti e annulla l’atto impugnato. Spese compensate.