Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 gennaio 2018, n. 1923

Classificazione del personale degli enti locali - Riconoscimento della superiore categoria - Possesso del titolo di studio richiesto

 

Fatti di causa

 

La Corte d'Appello di Messina, con sentenza in data 19/10/2011, sottoposta a procedimento di correzione, concluso con decreto dell'11/5/2012, riformando la sentenza del Tribunale di Mistretta n. 195/2008, ha accolto il ricorso di S.F. e di R.F., entrambe dipendenti del Comune di Caronia nei cui ruoli erano transitate in seguito alla soppressione dei patronati scolastici dove erano inquadrate come segretario economo.

Intervenuto l'accordo collettivo del 31/3/1999, il quale aveva rivisto radicalmente il precedente sistema di classificazione del personale degli enti locali, le ricorrenti avevano domandato al Giudice d'appello il riconoscimento della superiore categoria D - posizione economica D2, in quanto, in base all’allegato A) al c.c.n.l. del 1999 i segretari economi delle istituzioni scolastiche erano inclusi nella categoria D e non nella categoria C, sul presupposto che le relative mansioni implicassero compiti di direzione e coordinamento, svolti con iniziativa e autonomia operativa e con assunzione di responsabilità, e vista altresì la corrispondenza, sancita espressamente fin dal d.P.R. n. 347/1983, art. 40, lett. h), tra la qualifica di segretario economo e la settima qualifica funzionale.

La Corte territoriale, ha accolto la domanda delle appellanti, e, dopo aver stabilito che per il primo inquadramento nelle qualifiche funzionali si prescindeva dal possesso del titolo di studio richiesto per l'accesso, ha riconosciuto il superiore inquadramento, e condannato il Comune a corrispondere le differenze retributive, comprese di rivalutazione e interessi, dall'1/4/1999.

Avverso tale decisione interpone ricorso con sette censure il Comune di Caronia, cui resistono con tempestivo controricorso, illustrato da memoria, le dipendenti.

1. Con la prima censura il Comune ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell'art. 46 delle disp. att. cod. proc. civ.

La parte ricorrente asserisce che la Corte d'Appello avrebbe apportato correzioni a mano sul testo dattiloscritto della parte motiva, successivamente all'istanza di correzione presentata dalle appellanti il 3/11/2011.

2. Con la seconda censura si deduce nullità della sentenza; violazione dell'art. 132 cod.proc.civ. e dell'art. 119 disp.att. cod. proc. civ.

Le numerose cancellature, abrasioni, sostituzioni della parte motiva non sarebbero state siglate né dal Giudice relatore né dal Presidente del Collegio. Essendo pertanto questo, requisito essenziale della giuridica esistenza del provvedimento, le aggiunte, le modifiche e le abrasioni - costituenti "corpo" della motivazione devono recare la firma di entrambi i soggetti.

3.  Col terzo motivo si contesta violazione dell'art. 40, del d.P.R. n. 347/1983; contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia concernente l'impossibilità di applicare la classificazione professionale di cui al d.P.R. n. 347/1983 alle dipendenti.

Queste sarebbero state inquadrate presso il Comune di Caronia in attuazione delle leggi regionali n. 1/79 e n. 93/1982 solo il 16 ottobre 1983, mentre il d.P.R. era applicabile al solo personale in servizio alla data dell'1/1/1983.

4. La quarta censura lamenta omessa motivazione su un punto decisivo della controversia - Violazione dell'art. 21 I. Tar per essere le appellanti decadute dalla possibilità di contestare l'inquadramento nella VI q.f. da parte del Comune con deliberazione n. 72 del 16/10/1983, decorsi sessanta giorni dalla sua conoscenza.

La natura autoritativa del provvedimento (e pubblicistica del rapporto di lavoro) avrebbe dovuto indurre il Giudice a valutare la mancata impugnazione (e, nel caso di S.F. addirittura l'esplicita acquiescenza, con nota del 17/11/1984) all'inquadramento proposto dal Comune, con conseguente rigetto della domanda di pretendere il superiore inquadramento, non contestato nei termini.

5. La quinta censura si appunta sulla violazione dell'art. 69, co. 7, del d.lgs. n. 65/2001 (ndr art. 69, co. 7, del d.lgs. n. 165/2001), nonché sulla omessa motivazione sul punto decisivo della controversia, consistente nella eccepita decadenza ai sensi della stessa norma.

La Corte d'Appello non avrebbe dato conto in motivazione, né avrebbe dato seguito alle dovute statuizioni in merito al mancato rispetto, da parte delle appellanti, del termine di decadenza sostanziale del 15/9/2000, sancito dal decreto legislativo per la proposizione di domande giudiziali, su fatti e vicende attinenti il rapporto di lavoro, verificatisi prima dell'1/7/1998.

6. La sesta censura denuncia violazione dell'art. 2 del d.P.R. n. 347/1983, e altresì omessa pronuncia su un fatto decisivo per l'esito della controversia.

L'attuale ricorrente denuncia di avere fin dal primo grado di giudizio fatto presente nei suoi atti difensivi che in base alla norma citata in epigrafe la domanda delle appellanti non poteva essere accolta, in quanto, per il Comune di Caronia, classificato ente di Tipo 4, la settima qualifica era quella apicale, e, pertanto, poteva essere attribuita soltanto a chi all'epoca dell'entrata in vigore della nuova classificazione, svolgeva mansioni di istruttore direttivo, e non di semplice istruttore.

Essendo mancata, poi, qualsiasi prova circa lo svolgimento di attività, anche latamente riconducibili al concetto di autonomia, coordinamento e responsabilità, alle ricorrenti non avrebbe potuto riconoscersi la qualifica apicale.

7. I primi due motivi di ricorso, esaminati congiuntamente per intima connessione, non sono accoglibili.

Questa Corte ha espresso, da tempo, un orientamento secondo il quale, "...nel rito del lavoro il principio dell'interpretazione del dispositivo della sentenza mediante la motivazione non può estendersi fino all'integrazione del contenuto precettivo del primo con statuizioni desunte dalla seconda, attesa la prevalenza da attribuirsi al dispositivo che, acquistando pubblicità con la lettura in udienza, cristallizza la statuizione emanata nella fattispecie concreta, con la conseguenza che le enunciazioni contenute nella motivazione che siano con esso incompatibili sono da considerarsi come non apposte ed inidonee a costituire giudicato" (Cass. n. 6786/2002).

Quanto agli interventi sul testo della motivazione, questa Corte ritiene che le correzioni, apposte senza rispettare i requisiti dell'art. 46, disp. att. cod. proc. civ., non si rivelino adatte ad inficiare la sentenza qualora siano comunque idonee al raggiungimento dello scopo (Cass. n. 5894/2006).

8. Quanto al terzo motivo, esso è infondato.

La Corte d'Appello muove dal provvedimento n. 295 del 24/7/1987, con cui il Comune dispose l'inquadramento delle lavoratrici nelle mansioni di segretario economo.

Dopo l'avvenuta riforma tendente a omogeneizzare i trattamenti del personale a vario titolo dipendente dagli enti locali, dunque anche di coloro che erano transitati da enti disciolti, le amministrazioni avevano proceduto alla riclassificazione del personale in servizio in base ai nuovi criteri introdotti dal d.P.R. n. 347/1983, recante "Norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo 29/4/1983 per il personale dipendente degli enti locali".

Tale legge contiene una norma (art. 40), la quale, elencando i criteri utili per il primo inquadramento funzionale, alla lettera h), equipara espressamente le mansioni d'istruttore economo col settimo livello funzionale. Pertanto la Corte, accertato il possesso dei requisiti posseduti dalle appellanti, e verificato l'errore da parte del Comune nel giudizio di corrispondenza, ha ritenuto illegittima l'attribuzione della sesta qualifica.

La Corte d'Appello ha altresì considerato le conseguenze dannose derivanti alle dipendenti dall'erroneo originario inquadramento, poiché se il Comune avesse applicato compiutamente e correttamente l'art. 40 lett. h), in sede di prima applicazione del c.c.n.I. di categoria per il quadriennio 1998-2001, alle lavoratrici sarebbe stato attribuito la più favorevole categoria D, posizione economica D2. La decisione, non è, pertanto, censurabile, neanche sul piano della contraddittoria motivazione.

Ma vi è soprattutto che la Corte d'Appello di Messina, nella sentenza attualmente impugnata, è pervenuta alla medesima conclusione considerata corretta dalla giurisprudenza di questa Corte in controversie analoghe (Cass. Sez. Un. n.n. 12894/2011; Cass. n. 77/2017), dove, sulla base del dato testuale ricavabile dalla previsione di cui all'art. 40 d.P.R. n. 347/1983, le mansioni del "segretario" e del "ragioniere economo" sono ritenute riconducibili alla settima qualifica professionale, mentre quelle del l'istruttore amministrativo e del ragioniere semplice sono ascrivibili alla sesta. Di qui scaturisce il diritto delle ricorrenti, assunte come segretarie econome, a essere inquadrate nella settima qualifica e non già nella sesta.

9. La quarta censura è inammissibile.

Occorre anzitutto precisare che nella specie non venivano in contestazione gli atti amministrativi d'inquadramento delle dipendenti, tuttavia, la doglianza sul punto sarebbe comunque priva di autosufficienza, in quanto il ricorrente non produce né trascrive gli atti e i documenti su cui fonda la censura, nella specie non trascrive e non produce la memoria di costituzione nel giudizio di primo grado, la memoria di costituzione in appello, la delibera di attribuzione della qualifica da parte del Comune di Caronia n. 72/1983, la nota (17/11/1984) con cui S.F. avrebbe fatto acquiescenza all'inquadramento in sesta qualifica professionale.

10. Il quinto motivo è anch'esso da respingere.

La Corte territoriale, facendo corretta applicazione della giurisprudenza pacifica di questa Corte, si limita a pronunciare sulle sole pretese successive all'1/7/1998, sul presupposto che nel regime transitorio del passaggio dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a quella del giudice ordinario, a norma dell'art. 69, co. 7 del d.lgs. n. 165/2001, ogni questione, sia che riguardi il periodo successivo al 30 giugno 2008, sia che investa in parte anche un periodo precedente a tale data, ove risulti essere unitaria la fattispecie devoluta alla cognizione del giudice, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario; la giurisdizione del giudice amministrativo rimane in via residuale in ordine a ogni questione che riguardi solo e unicamente il periodo del rapporto fino alla suddetta "data spartiacque" (Cass. Sez. Un. n. 3183/2012 e Cass. Sez. Un. n. 20726/2012, su cui si è uniformata la successiva giurisprudenza).

11. Per quanto attiene alla sesta censura, essa presenta profili sia d'infondatezza sia d'inammissibilità.

Sul piano della violazione dell'art. 2 d.P.R. n. 347/1983, si richiama la giurisprudenza di questa Corte, la quale ritiene che il passaggio dell'ente a una classe superiore, è ininfluente sulla qualificazione del personale in servizio, in quanto anche a seguito della contrattazione collettiva, l'inquadramento nei nuovi livelli avviene esclusivamente sulla base della valutazione comparativa tra il contenuto funzionale delle qualifiche contemplate negli ordinamenti dell'ente e quello delle qualifiche stabilite dall'accordo collettivo, prescindendo da eventuali mansioni di fatto svolte o effettuate in forza di atti formali diversi da quelli prescritti dalla legge per i conferimenti della qualifica. (Cass. n. 5452/2011).

La stessa censura, poi, sotto il profilo dell'omessa motivazione è priva di pregio, in quanto mira a introdurre un giudizio sul fatto, relativo al possesso da parte delle ricorrenti delle mansioni utili al superiore inquadramento, su cui la Corte d'appello ha insindacabilmente motivato, giudizio che resta precluso in sede di legittimità.

12. Neanche la settima e ultima censura è ammissibile.

Essa risulta, infatti, priva di autosufficienza, in quanto, parte ricorrente non riporta né allega la memoria di costituzione in grado d'appello e la memoria di costituzione in primo grado, da cui si sarebbe potuta rilevare l'attualità del suo diritto a sentir dichiarare in merito all'eccezione di prescrizione pena il vizio di omessa pronuncia della sentenza gravata.

12. In definitiva, il ricorso è infondato e va rigettato. Le spese - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento nei confronti delle controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 5000 per competenze professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.