Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 28 marzo 2018, n. 7764

Tributi - IVA - Accertamento - Studi di settore - Registrazioni contabili - Procedimento

Rilevato che

Con sentenza in data 28 aprile 2016 la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 9147/17/15 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva accolto il ricorso della Confetteria O. srl contro l'avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2008. La CTR osservava in particolare che l'atto impositivo impugnato non si basava soltanto sul riscontrato/contestato scostamento dallo studio di settore per l'annualità de qua, bensì su elementi ulteriori, che indicava specificamente, tali da complessivamente indurre ad un giudizio di fondatezza delle pretese fiscali portate dall'atto impositivo medesimo.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo tre motivi.

Resiste con controricorso l'Agenzia delle entrate.

 

Considerato che

 

Con il primo ed il secondo mezzo la ricorrente lamenta vizio motivazionale della sentenza impugnata poiché non contiene argomentazioni adeguate sulle questioni oggetto della lite e principalmente sulla idoneità degli elementi probatori, anche indiziari, basanti l'avviso di accertamento impugnato.

La censura è infondata.

Sulla congruità della motivazione delle sentenze meritali, vanno ribaditi i seguenti principi di diritto:

-«La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da "error in procedendo", quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 - 01);

-«La riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ,'sufficienza" della motivazione» (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

La sentenza impugnata non corrisponde affatto ai paradigmi negativi ed invalidanti individuati in questi arresti giurisprudenziali.

La CTR campana infatti ha adeguatamente spiegato che lo scostastamento dallo studio di settore, unitamente ad altri indizi (incongruenza dei ricavi, incoerenza rispetto all'indicatore economico del ricarico, volumi di affari non proporzionati agli imponibili dichiarati, incongruenza reiterata della redditività e della posizione ai fini IVA), tenuto conto dell'assenza di idonee contro allegazioni/contro prove da parte della società contribuente, la induceva ad un giudizio di ammissibilità della presunzione semplice basante l'atto impositivo impugnato, in mancanza di prova contraria da parte della contribuente stessa, secondo l'onere così legalmente invertito.

Tale giudizio di merito non può peraltro essere ulteriormente revisionato in questa sede, secondo il principio di diritto che «Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l'apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall'analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l'apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell'ambito di quest'ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame c la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017, Rv. 643792 - 01).

Con il terzo motivo —ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente denuncia di nullità la sentenza impugnata per violazione dell'art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. 600/1973, affermando che la CTR ha basato la propria decisione meritale esclusivamente sugli indicatori rivenienti dallo studio di settore e ciò in contrasto con gli orientamenti consolidati della giurisprudenza di legittimità.

La censura è infondata.

Va ribadito che:

-«I parametri o studi di settore previsti dall'art. 3, commi 181 e 187, della l. n. 549 del 1995, rappresentando la risultante dell'estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rilevano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell'Ufficio dell'accertamento analitico-induttivo, ex art. 39, comma 1, lett. d, del d.P.R. n. 600 del 1973, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, contenziosa, incombe l'onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all'ente impositore fa carico la dimostrazione dell'applicabilità dello "standard" prescelto al caso concreto oggetto di accertamento.

(Principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis, comma 1, n. 1, c.p.c.)» (Sez. 5, Sentenza n. 14288 del 13/07/2016, Rv. 640541 - 01);

-«In materia di IVA, l'Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile per l'antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell'art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest'ultimo l'onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni» (Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 26036 del 30/12/2015, Rv. 638203 - 01).

La sentenza impugnata è palesemente conforme a tali principi di diritto.

La CTR campana infatti:

-ha correttamente applicato il primo arresto giurisprudenziale sia in ordine alla valutazione della legittimità del metodo accertativo sia in ordine alla regola sull'onere probatorio, constatando il mancato assolvimento di quello gravante sulla società contribuente;

 -altrettanto correttamente ha applicato il secondo arresto giurisprudenziale, constatando la persistente "antieconomicità" della gestione aziendale della società verificata.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.300 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.