Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 28 marzo 2018, n. 7613

Tributi - Avviso di accertamento - Contestazione fatture di acquisto relative a operazioni inesistenti - Onere probatorio per il Fisco - Rinvio a pvc della Guardia di Finanza - Mancata allegazione di pagine rilevanti dei pvc - Nullità dell’atto

 

Rilevato che

 

- l'Agenzia delle Entrate ha notificato alla P.E. s.r.l. avvisi di accertamento per gli anni 2001, 2002, 2003, 2004 ai fini Irpeg, Iva e Irap, contestando una pluralità di violazione fra cui l'utilizzo di fatture di acquisto relative a operazioni inesistenti;

- erano inoltre notificati, per l'anno 2000, avvisi di accertamento ai soci D.C.C. e A. s.r.l, con i quali era accertato un maggior reddito da partecipazione, stante la ristretta base sociale;

- impugnati gli avvisi, la Commissione tributaria regionale di Bari, riuniti i procedimenti, rigettava tutti i ricorsi, con sentenza poi confermata in grado d'appello dalla Commissione tributaria regionale della Puglia (Ctr);

- contro tale sentenza società e soci hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi;

- l'agenzia delle entrate è rimasta intimata.

 

Considerato che

 

- il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 12, comma 3, I. n. 212 del 2000 (art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.) e difetto di motivazione della sentenza d'appello (art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c.), là dove la Ctr ha ritenuto corretto l’iter seguito dai verificatori durante l'accertamento;

- i verificatori hanno asportato la documentazione amministrativa e contabile presso i propri uffici, in contrasto con l'indicazione data dall'amministratore della società, che aveva indicato quale luogo della verifica fiscale il depositario delle scritture contabili;

- la società, in altre parole, si era avvalsa della facoltà accordata al contribuente dall'art. 12, comma 3, I. n. 212 del 2000 cit.;

- secondo tale norma, su richiesta del contribuente, l'esame dei documenti amministrativi o contabili può essere effettuata nell'ufficio dei verificatori o presso il professionista che lo assiste o rappresenta;

- il contribuente ha esercitato tale facoltà, tuttavia i verificatori non solo non l'hanno esaudita, ma hanno deciso autonomamente di esaminare la documentazione presso i propri uffici, laddove, secondo la norma in esame, tale soluzione alternativa è condizionata al valore del verificato, che tale volere non aveva espresso;

- il motivo è infondato;

- nel motivo si deduce genericamente che l'istanza per lo svolgimento dell'attività nel diverso luogo fu fatta verbalizzare dal contribuente, mentre il requisito dell'autosufficienza del ricorso per cassazione avrebbe in questo caso richiesto la integrale trascrizione del processo verbale nella parte che conteneva l'indicazione data dalla contribuente, in modo da consentire alla Corte di verificare se e in che termini essa fu espressa e le eventuali diverse ragioni opposte dai verificatori, tenuto conto che la problematica interferisce con quella del rifiuto o della sottrazione della documentazione all'ispezione ex art. 52, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972;

- ma in disparte tale rilievo è assorbente la considerazione che la norma non prevede sanzioni per il caso che i verificatori abbiano proseguito la verifica presso i propri uffici in assenza di istanza in tal senso manifestata dal contribuente;

- né vi è spazio per ipotizzare in materia una nullità virtuale, posto che, come chiarito da questa Suprema Corte, il comma terzo dell'art. 12 della I. n. 212 del 2000 in esame non interferisce né con il diritto al contraddittorio, né con il diritto di difesa (cfr. Cass. N. 28390/2013);

- ritenere diversamente vorrebbe dire riconoscere al contribuente il diritto a pretendere che la verifica debba continuare ad essere svolta presso la sede della società, che è conclusione che la norma non autorizza;

- ed invero dall'analisi del comma 3 dell'art. 12, in sistematica relazione con il comma 1, si desume solamente l'esigenza che il controllo sia effettuato secondo "modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile", esigenza attuata, fra l'altro, attribuendo al contribuente l'opportunità di scelta del luogo del prosieguo dell'indagine fiscale;

- ne discende che il contribuente potrebbe dolersi che i verbalizzanti abbiano eseguito un accesso nei locali della impresa in difetto delle esigenze di ricerca e rilevazione indicate nella norma, «ma non anche nel caso inverso in cui la verifica sia stata condotta in luoghi diversi [...], risultando pienamente legittimati i verificatori a predisporre discrezionalmente le modalità di svolgimento della propria attività secondo le esigenze che realizzino gli obiettivi delle indagini e delle ricerche, con il limite di evitare quanto più possibile di occupare o prolungare la occupazione dei locali in cui si svolge l'attività imprenditoriale o professionale [...]» (Cass. n. 28390/2013 cit.);

- ne discende ulteriormente che i verificatori non solo non sono obbligati a soddisfare la richiesta del contribuente, di proseguire la verifica presso il professionista che lo rappresenta o lo assiste, ma non può costituire oggetto di censura nemmeno la autonoma decisione degli stessi verificatori di esaminare la documentazione presso i propri uffici;

- il secondo motivo denuncia violazione dell'art. 112 c.p.c. (art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c.), violazione e falsa applicazione dell'art. 12, comma 5, della I. n. 212 del 2000 (art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.), nonché insufficiente motivazione (art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c.);

- la contribuente ha eccepito l'illegittimità dell'attività di verifica, in quanto protrattasi oltre il limite stabilito dalla norma dello Statuto;

- la Ctr avrebbe erroneamente disatteso anche tale eccezione;

- il motivo è infondato;

- lo svolgimento delle operazioni presso l'Ufficio finanziario o la Guarda di Finanza |a venir meno il limite dei trenta giorni fissato dallo Statuto, che si riferisce ai giorni di effettiva permanenza solo presso i locali dell'impresa;

- occorre ancora aggiungere che la giurisprudenza di questa Sezione della Suprema Corte è saldamente orientata nel senso che «in tema di verifiche tributarie, la violazione del termine di permanenza degli operatori dell'Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, previsto dall'art. 12, comma 5, della I. n. 212 del 2000, non determina la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo, né l'invalidità degli atti compiuti o l'inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore, la cui scelta risulta razionalmente giustificata dal mancato coinvolgimento di diritti del contribuente costituzionalmente tutelati (Cass. n. 2055/2017; conf. n. 8584/2015; n. 16323/2014)»;

- il terzo motivo, per le sole annualità 2000 e 2001, denuncia violazione dell'art. 2697 c.c. (art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.), omessa pronuncia, violazione dell'art. 7, comma 1, I. n. 212 del 2000, dell'art. 42, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, dell'art. 56, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972 (art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.), violazione e falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c. (art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.);

- il punto investito dalla complessa censura è quello riguardante la reciproca emissione e l'utilizzazione di fatture oggettivamente false tra la contribuente e la ditta individuale "P.N. di G.P.R.S.";

- la ricorrente deduce che la Ctr ha fondato la decisione su quanto esposto nel verbale della Guardia di Finanza, senza indicare su quali elementi si basava l'assunto sostenuto dal Fisco;

- il motivo è fondato;

- la Ctr ha confermato la sentenza di primo grado, assumendo che i primi giudici avevano posto a fondamento della decisione le prove proposte dall'amministrazione, che non erano state concretamente smentite dai contribuenti;

- dagli avvisi di accertamento (trascritti nel ricorso in ossequio al principio di autosufficienza) risulta che essi si fondavano su processi verbali della Guardia di Finanza nell'ambito di indagini delegate della Procura della Repubblica presso il tribunale di Firenze;

- in proposito i contribuenti avevano eccepito che il verbale della Guardia di Finanza del 6 dicembre 2006, che riguardava direttamente la società e al quale gli avvisi motivavano per relationem, contenevano solo le conclusioni che le indagini penali consentivano di trarre, senza indicazione degli elementi sui quali quelle stesse conclusioni si fondavano;

- è vero - continua la ricorrente - che fu allegato agli avvisi di accertamento uno stralcio del processo verbale del 29 ottobre 2003 (formato nei confronti della diversa impresa con la quale intercorsero i rapporti di fatturazione oggetto di contestazione) nel quale avrebbero dovuto rinvenirsi gli elementi di prova giustificativi della ripresa; tuttavia al riguardo fu eccepito dai contribuenti che l'allegazione era incompleta, in quanto mancavano proprio gli allegati n. 30, 31 e 32, ai quali i militari rinviavano al fine di suffragare la ricostruzione del fatto proposta nel verbale;

- ebbene sul complesso di tali deduzioni, formulata dalla contribuente nell'atto di appello (trascritto in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione), la Ctr non ha assunto alcuna determinazione, concludendo genericamente che «le prove proposte dall'Amministrazione finanziaria non sono state smentite dai contribuenti»;

- non si dubita che, in tema di fatture relative ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, il Fisco assolva il proprio onere probatorio anche mediante presunzioni semplici, così come è pacifico che in presenza di siffatta prova, spetta al contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili (Cass. n. 25775/2014; n. 9108/2012);

- ciò non toglie però che il giudizio negativo sulla prova contraria implica pur sempre la preventiva valutazione, da parte del giudice tributario, sulla idoneità degli elementi offerti dal Fisco a suffragio della contestazione, valutazione che nel caso in esame è mancata;

- tale carenza vizia la decisione nei termini dedotti col motivo, che va pertanto accolto;

- assorbito il quarto motivo (grave difetto di motivazione su numerosi punti decisivi della controversia);

- il quinto motivo denuncia violazione dell'art. 112 c.p.c. per omesso esame di motivi di impugnazione (art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c.);

- il motivo è infondato, perché sul punto la Ctr ha pronunciato: «in considerazione di tutto quanto fin qui è stato illustrato e motivato, il collegio accerta la totale infondatezza di tutti i motivi di impugnazione riportati nell'atto di appello, che rigetta e conferma la sentenza impugnata, che risulta pregevole e ben motivata su tutti i punti della controversia»;

- è principio acquisito che il vizio di omessa pronuncia è configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto: pertanto esso non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte né comporti il rigetto (Cass. n. 407/2006);

- quindi la sentenza andava censurata sotto diverso profilo, per avere errato nell'intendere il legame fra le varie riprese, che erano invece totalmente e reciprocamente autonome, o deducendo l'inadeguatezza del rinvio alla decisione di primo grado a dare conto del decisum;

- in conclusione, dei vari motivi di ricorso è fondato il terzo, sono infondati il primo e il secondo, è assorbito il quarto;

- si impone, in relazione al motivo accolto, la cassazione della sentenza, con rinvio pér alla Commissione tributaria regionale della Puglia in diversa composizione, che provvederà a nuovo esame attenendosi al principio di cui sopra e regolerà le spese del presente giudizio;

 

P.Q.M.

 

rigetta il primo, il secondo e il quinto motivo di ricorso; accoglie il terzo motivo; dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia in diversa composizione anche per le spese.