Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 12 gennaio 2017, n. 622

Art. 18, Legge n. 300 del 1970 - Imprese gestite da società del medesimo gruppo - Computo organico complessivo - Lavoratori società italiana - Lavoratori stranieri dipendenti della capogruppo

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza pubblicata il 24.3.2014 la Corte di appello di Milano, confermando la decisione del giudice di primo grado, ha ritenuto insussistente il giustificato motivo di licenziamento del dipendente A.M. da parte della società A.I. s.r.l. rinvenendo, altresì, ai fini dell'individuazione del regime di tutela applicabile, la sussistenza di un centro unico di imputazione di interessi tra la A.I. s.r.l. e la A. AG, con conseguente sommatoria di tutti i lavoratori occupati dalle società nel loro complesso e l'applicazione dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970.

Osservava in sintesi la Corte territoriale che il M. aveva stipulato, l'1.9.2004, un contratto di lavoro subordinato con la A.I. s.r.l. (che prevedeva l'applicabilità del diritto italiano) ma che era risultato come anche la A. AG avesse cogestito direttamente il suddetto rapporto, non essendosi limitata - la società capogruppo - ad una fisiologica attività di direzione e coordinamento nei confronti della società italiana ma avendo utilizzato direttamente la prestazione del M. mediante specifiche direttive, decidendone inoltre direttamente il licenziamento (intimato il 17.12.2008). In ordine al recesso, non era risultata, inoltre, dimostrata la coerenza fra la scelta organizzativa e gestionale affermata dall'azienda (consistente nella eliminazione dei progetti che presentavano, a livello mondiale, le più basse possibilità di successo commerciale) e l'espulsione del M..

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso la A.I. s.r.l. (già A.I. s.r.l.) e la Am. AG (già F.G.A. spa (già A. AG) con due motivi. Resiste con controricorso A.M.. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, le società ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970, osservando che la Corte territoriale non ha rispettato il principio di territorialità della legge nella misura in cui ha proceduto a computare, nell'ambito dell'organico complessivo, non solo i lavoratori della società italiana (dotata di una propria personalità ed autonomia giuridica) ma anche i lavoratori stranieri, operanti all'estero, dipendenti della capogruppo. Rilevano che la cogestione rinvenuta dalla Corte territoriale non può mai condurre alla sommatoria di due entità giuridiche mentre nell'ambito di un gruppo di imprese (quali sono le società ricorrenti) è fisiologico riscontrare un'integrazione delle attività esercitate proprio a causa dell'interesse comune.

2. Con il secondo motivo, svolto ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, le società ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge n. 604 del 1966 nonché dell'art. 116 c.p.c., essendo stato, dimostrata la effettività, e non pretestuosità, del riassetto organizzativo, determinato da un calo di fatturato, con conseguente decisione di ridurre i costi a livello mondiale con particolare riguardo ai progetti divenuti meno competitivi, soppressione della funzione (di P.L.S.D.E.) del M., redistribuzione delle residue mansioni all'interno dell'organizzazione societaria ed impossibilità di ricollocazione in altro posto.

3. Il Collegio ha autorizzato la redazione di motivazione semplificata come da decreto del Primo Presidente in data 14.09.2016.

3.1. Il primo motivo di ricorso appare inammissibilmente formulato, per avere ricondotto sotto l'archetipo della violazione di legge censure che, invece, attengono alla tipologia del difetto di motivazione ovvero al gravame contro la decisione di merito mediante una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale. Né può rinvenirsi un vizio di falsa applicazione di legge, non lamentando, il ricorrente, un errore di sussunzione del singolo caso in una norma che non gli si addice.

Come anche recentemente ribadito da questo Corte (cfr. Cass. nn. 13664/2015, 3482/2013), il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è di per sé solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche all'altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare - anche all'eventuale fine della valutazione di sussistenza del requisito numerico per l'applicabilità della cosiddetta tutela reale del lavoratore licenziato - un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro. Tale situazione ricorre ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un'unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico - funzionale e ciò venga accertato in modo adeguato, attraverso l'esame delle attività di ciascuna delle imprese gestite formalmente da quei soggetti, che deve rivelare l'esistenza dei seguenti requisiti: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico e amministrativo - finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori. Trattasi di valutazione di fatto rimessa al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione.

Invero, il ricorrente lamenta l'erronea applicazione dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 ed illustra la carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta effettuata dalla Corte territoriale con riguardo all'unico centro di imputazione di interessi integrato dalle due società, procedendo a contestare la valutazione delle risultanze di causa. Il ricorrente, pertanto, non ha contestato al giudice di merito di aver errato nella individuazione della norma regolatrice della controversia bensì di aver erroneamente ravvisato, nella situazione di fatto in concreto accertata, la ricorrenza degli elementi costitutivi di una determinata fattispecie. Tale censura comporta un giudizio non già di diritto, bensì di fatto, eventualmente impugnabile sotto il profilo del vizio di motivazione. Sotto questo ultimo aspetto (che, peraltro, non è stato invocato dal ricorrente), la sentenza si presenta comunque immune da vizi logico-formali, essendosi dato ampiamente ed esaustivamente conto (pagg. 9 e 10 della sentenza) della cogestione del rapporto di lavoro del M. sia da parte della A.I. che della A. AG, e, quindi, della sussistenza di tutti i requisiti indicati da consolidata giurisprudenza per individuare una gestione unitaria del rapporto di lavoro e - non una mera e fisiologica integrazione delle attività riconducibile all'interesse comune.

4. Il secondo motivo è, del pari, inammissibile.

In ordine alla lamentata incongruità della motivazione della sentenza impugnata, è stato più volte ribadito che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva (cfr. Cass. SS.UU. n. 24148/2013, Cass. n. 8008/2014). Secondo il novellato testo dell'art. 360 n. 5 (come interpretato dalle Sezioni Unite n. 8053/2014), applicabile alla controversia ratione temporis, tale sindacato è configurabile soltanto qualora manchi del tutto la motivazione oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo "talmente contraddittorio da non permettere di individuarla".

La sentenza si presenta, peraltro, immune da tali vizi logico-formali, avendo congruamente motivato la carenza di nesso di causalità tra la riduzione di progetti di scarsa competitività e la scelta del M..

Inoltre, il motivo censura solo una delle rationes decidendi poste dalla Corte di merito a fondamento del rigetto dell'impugnazione proposta dalla società. In particolare, il motivo non investe l’affermazione contenuta nella impugnata sentenza secondo cui era contrario ai principi di buona fede e lealtà contrattuale irrogare il licenziamento al M. a fronte della partecipazione di altri dipendenti al gruppo che si occupava dello stesso progetto tecnico.

5. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile. Il ricorso è stato notificato il 2.9.2014, dunque in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: "Quando l'impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso". Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese a favore del controricorrente, liquidate in euro 100,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre il 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.