Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 maggio 2018, n. 11997

Rapporto di lavoro - Contratti di arruolamento - In frode alla legge - Ricorso abusivo al contratto di lavoro a tempo determinato

 

Fatti di causa

 

1. La R.F. spa ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti di C.S., avverso la sentenza n. 26/2016 della Corte di appello di Messina che, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale della stessa sede, previa conferma della declaratoria di illegittimità dei contratti di arruolamento intercorsi tra le parti dal 2005 al 2008 (ancorché sulla base di una motivazione diversa da quella del giudice di prime cure e cioè ritenendo che l'illegittimità fosse derivata da un comportamento in frode alla legge ex art. 1344 cc atteso il numero dei contratti stipulati in rapporto al complessivo arco temporale di riferimento, il susseguirsi degli stessi spesso a distanza di poco più di 60 giorni, consentiva di ravvisare l'esistenza di una costante esigenza della società allo svolgimento dell'attività affidata al lavoratore con contratto a termine e dunque l'intento frodatorio) ha confermato la quantificazione in 12 mensilità della indennità risarcitoria ex art. 32 legge n. 183/2010, condannato la società a corrispondere al lavoratore anche la retribuzione dovuta dalla data della sentenza di primo grado fino alla riassunzione, detratto eventualmente l'aliunde perceptum.

2. C.S. ha resistito con controricorso.

3. A seguito della proposta del consigliere relatore della Sesta Sezione Civile Lavoro, le parti hanno depositato memorie e con ordinanza interlocutoria n. 25228/2017, la trattazione della causa è stata riservata alla pubblica udienza.

4. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cpc.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo del ricorso la società denunzia la violazione dell'art. 112 cpc, in relazione all'art. 360 1° comma n. 4 cpc: pronuncia ultra petita. La società sostiene la nullità della sentenza perché nel ricorso introduttivo del giudizio, a differenza di quanto ritenuto dai giudici di seconde cure, il dipendente non aveva mai sollevato alcuna doglianza in merito alle previsioni di cui all'art. 326 cod. nav. con specifico riguardo all'art. 1344 cc.

2. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell'art. 326 cod. nav. e dell'art. 1344 cc (art. 360 n. 3 cpc) per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto i contratti di arruolamento conclusi in frode alla legge, in aperta violazione delle previsioni di cui alle citate disposizioni, sulla base di una valutazione quantitativa (frequenza e reiterazione dei contratti a termine stipulati tra le parti) e in assenza di una verifica sull'intento fraudolento, elemento costitutivo - invece - della frode alla legge "qualificata" ai sensi della norma imperativa di cui all'art. 1344 cc.

3. Il primo motivo del ricorso non è fondato.

4. Avendo riguardo ai principi statuiti da questa Corte in ordine al vizio di violazione dell'art. 112 cpc, con riferimento all'art. 360 n. 4 cpc (cfr. Cass. n. 8008/2014; Cass. n. 21397/2014; Cass. n. 2148/2004) e ai doveri di indicazione e di allegazione nel rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 366 comma 1 n. 6 e 269 comma 2 n. 4 cpc al fine di consentire i controlli di contenuto e limiti della domanda azionata, ritiene il Collegio che alcuna violazione del principio processuale della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato si sia consumato nel caso de quo.

5. Va rimarcato che il vizio di ultra o extra petizione sussiste solo quando il giudice pronuncia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili di ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato (Cass. n. 18868/2015; Cass. n. 455/2011).

6. Il giudice può, però, assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite nonché all'azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (Cass. n. 25140/2010; Cass. n. 12943/2012).

7. Nella specie i giudici di secondo grado, in piena corrispondenza con le richieste formulate dalla difesa del lavoratore, hanno accertato che era stato chiesto anche riconoscersi che si era fatto un reiterato e abusivo ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato con frode in danno dei lavoratori stessi.

8. Del resto, nell'esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda il giudice, da un lato, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalle parti, dall'altro ha il potere-dovere di accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non solo dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte e dalle precisazioni dalla medesima fornite nel corso del giudizio, nonché del provvedimento concreto dalla stessa richiesto (cfr. Cass. Sez. Un. n. 27/2000; Cass. n. 20322/2005).

9. Come detto, nel caso concreto, è inequivoco che, dal complesso dell'atto introduttivo, dalle vicende dedotte e dalle conclusioni formulate, era stato argomentato che si era fatto un "ricorrente quanto abusivo ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato solo al fine di eludere l'apparato normativo posto a presidio dei lavoratori, ledendo il generale principio di in frazionabilità del rapporto di lavoro" ed operando una "presunzione legale di frode"; inoltre, era stato prospettato che l'art. 326 cod. nav. non fosse una norma adeguata a prevenire gli abusi.

10. Correttamente, pertanto, la Corte distrettuale ha valutato il comportamento della società anche in relazione all'art. 1344 cc e 326 cc, senza con ciò violare il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all'art. 112 cpc: da qui la inconfigurabilità del denunciato vizio.

11. Ciò posto, il secondo motivo del ricorso, il quale nella sostanza investe, sotto vari profili, la decisione impugnata nella parte in cui è stata ritenuta l'esistenza di una condotta fraudolenta da parte della società Ferrovie dello Stato con riguardo alla reiterata conclusione di contratti a termine, non merita accoglimento.

12. Ai fini di una migliore comprensione del contesto normativo nell'ambito del quale deve essere verificato l'intento elusivo da parte della società datrice delle regole dettate in tema di apposizione del termine al contratto di arruolamento, appare utile tracciare i lineamenti essenziali della disciplina dettata in proposito dal codice della navigazione ed in particolare delle disposizioni che regolano la stipulazione di contratti di arruolamento a termine, a viaggio e a tempo indeterminato. Va in primo luogo rammentato che l'art. 325 cod.nav. dispone in via generale che il contratto di arruolamento può essere stipulato per un dato viaggio o per più viaggi (lett. a), a tempo determinato (lett. b), a tempo indeterminato (lett. c). Precisa poi che per viaggio si intende il complesso delle traversate fra porto di imbarco e quello di ultima destinazione, oltre all'eventuale traversata in zavorra per raggiungere nuovamente il porto di imbarco. L'art. 326 cod. nav., poi, stabilisce che il contratto a tempo determinato e quello per più viaggi "non possono essere stipulati per una durata superiore ad un anno" e che "se sono stipulati per una durata superiore, si considerano a tempo indeterminato" (1° comma). Anche il rapporto con il quale "in forza di più contratti a viaggio, o di più contratti a tempo determinato, ovvero di più contratti dell'uno e dell'altro tipo" l'arruolato presti ininterrottamente servizio alle dipendenze dello stesso armatore per un tempo superiore ad un anno è regolato dalle norme sull'arruolamento a tempo indeterminato (2° comma). La disposizione citata al terzo comma precisa inoltre che si deve considerare ininterrotta la prestazione del servizio "quando fra la cessazione di un contratto e la stipulazione del contratto successivo intercorre un periodo non superiore ai sessanta giorni." L'art. 374 cod. nav.al primo comma prevede poi che una serie di disposizioni e tra queste quelle contenute nell'art. 325 cod. nav. non sono derogabili né dal contratto individuale di arruolamento né da norme collettive e al secondo comma dispone che, in sede collettiva, è possibile derogare al disposto dell'art. 326 cod. nav. Al contratto individuale invece è consentita solo una deroga in termini più favorevoli all'arruolato. A norma dell'art. 374 cod. nav. ultimo comma è, comunque, preclusa alle norme collettive la possibilità di aumentare il termine di durata del contratto e diminuire l'intervallo tra un contratto e l'altro. Il contratto di arruolamento deve poi enunciare "il viaggio o i viaggi da compiere e il giorno in cui l'arruolato deve assumere servizio, se l'arruolamento è a viaggio; la decorrenza e la durata del contratto, se l'arruolamento è a tempo determinato; la decorrenza del contratto, se l'arruolamento è a tempo indeterminato" (cfr. art. 332 n. 4 cod. nav.). Se dal contratto o dall'annotazione sul ruolo di equipaggio o sulla licenza l'arruolamento non risulta stipulato a viaggio o a tempo determinato, esso è regolato dalle norme concernenti il contratto a tempo indeterminato.

13. All'art. 332 n. 4 cod. nav.si prevede che, in caso di arruolamento a tempo determinato, debba essere indicata la decorrenza e la durata del rapporto, ma non anche l'esatta data di scadenza del contratto stesso. Conseguentemente, si è ritenuto che l'indicazione di una durata con la formula "max 78 giorni" non violi la norma del codice della navigazione citata atteso che il lavoratore non è, perciò solo, posto nella condizione di non potere regolare il proprio futuro lavorativo e considerato altresì che neppure è ravvisabile un contrasto con I' accordo quadro, sul lavoro a tempo determinato recepito dalla direttiva 1999/70/CE ed, in particolare, con la clausola 2, punto 1 e con la clausola 3, punto 1 (cfr., tra le altre, Cass. 8.1.2015 n. 59; Cass. 4.3.2015 n. 4348). La previsione di una durata del contratto con l’indicazione di un termine finale certo nell'an (massimo 78 giorni), ma incerto in ordine al quando è stata ritenuta compatibile con la citata direttiva (ed in tal senso è anche la sentenza del 3 luglio 2014 della CGUE, capo 2). Gli artt. 325, 326 e 332 cod. nav. non prevedono che debba essere esplicitata una causale specifica nel contratto di arruolamento a tempo determinato e l'applicabilità anche al lavoro nautico dell'accordo quadro allegato alla citata direttiva 1999/70/CE (sancita dalla più volte ricordata sentenza del 3 luglio 2014 della CGUE) non implica tuttavia di per sé l'applicabilità della normativa nazionale in tema di contratti a temine - il D.Lgs. n. 368 del 2001 - che a tale direttiva ha dato esecuzione.

14. Invero, a partire dalle sentenze del Giudice delle leggi innanzi menzionate, è stato affermato che la disciplina del lavoro nautico costituisce un subsistema incentrato sul principio di specialità di cui all'art. 1 cod. nav., che regola le fonti del diritto della navigazione. In tale settore l'operatività del diritto comune presuppone, salvo che sia diversamente disposto, la mancanza di norme poste in via diretta o ricavabili per analogia dalla disciplina speciale (v. art. 1 cpv. cod. nav.). consegue che laddove, al contrario, il codice della navigazione preveda un'apposita disciplina del lavoro a tempo determinato e dei suoi limiti, non sussistono spazi residui di applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001.

16. Esclusa da questa Corte l'applicazione, per le anzidette ragioni, del D. Lgs. n. 368 del 2001 (cfr., in termini, Cass. 8.1.2015 n. 59 e 4.3.2015 n. 4348) tuttavia la previsione di una presunzione legale di natura indeterminata del rapporto, nel caso in cui fra la cessazione di un contratto e la stipulazione del contratto successivo intercorra un periodo non superiore ai sessanta giorni (ai sensi dell'art. 326 cod. nav., u.c.) è stata ritenuta, in via generale e astratta, una misura adeguata e idonea a prevenire abusi nel susseguirsi di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato. La necessità, poi, di un intervallo di tempo superiore ai sessanta giorni fra un'assunzione a termine e quella successiva è stata ritenuta, in linea di massima, idonea ad ostacolare una preordinata volontà di aggirare quanto previsto dalla citata fonte comunitaria. Interruzioni superiori ai 60 giorni non consentirebbero infatti al datore di lavoro una valida programmazione dell'attività e disincentiverebbero la frantumazione dell'unico reale rapporto di lavoro a tempo indeterminato in plurimi apparenti rapporti a termine.

17. Ciò non toglie che, pur ammessa, in linea di principio, la legittimità del termine apposto a contratti di arruolamento con la causale sopra ricordata e ribadita l'idoneità della disciplina dettata dal codice della navigazione a prevenire abusi, tuttavia non si può escludere che, in concreto, attraverso ripetute assunzioni a tempo determinato, sia possibile porre in essere una condotta che integri una frode alla legge sanzionabile ai sensi dell'art. 1344 cod. civ.. Va qui ribadito infatti che l'art. 1 cpv. cod. nav. non osta all'applicazione del generale principio civilistico previsto dall'art. 1344 c.c. (non esistendo nel codice della navigazione norme che diversamente regolino il fenomeno della frode alla legge). Sebbene, infatti, l'art. 326 ultimo comma cod. nav. preveda che la prestazione del servizio debba essere considerata ininterrotta, quando fra la cessazione di un contratto e la stipulazione del contratto successivo intercorra un periodo non superiore ai sessanta giorni, ciò non comporta, al contrario, che, di per sé, la circostanza che i contratti separati da intervalli superiori ai sessanta giorni siano sempre e comunque legittimi e che non si debba indagare circa l'esistenza di un eventuale intento fraudolento che riveli un abuso dello strumento pur astrattamente legittimo.

18. Ciò detto, all'accertamento dell'utilizzazione abusiva del contratto a tempo determinato si può addivenire attraverso una ricostruzione degli elementi allegati nel processo che, congiuntamente valutati, convergano nel far ritenere provato un intento fraudolento del datore di lavoro il quale ripetutamente si sia avvalso di prestazioni di lavoro a termine.

19. Si tratta di una indagine demandata al giudice di merito il quale dovrà desumere, con procedimento logico deduttivo, da elementi quali il numero dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati, l’arco temporale complessivo in cui si sono succeduti e di ogni altra circostanza fattuale che emerga dagli atti, l'uso deviato e fraudolento del contratto a termine (per una accurata ricostruzione del procedimento di accertamento della prova attraverso presunzioni si veda Cass. 13.5.2014 n. 5787). La ricostruzione effettuata dal giudice di merito è censurabile in cassazione sotto il profilo del vizio di motivazione, nei limiti dettati dall'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. nel testo ratione temporis applicabile alla fattispecie, ovvero per violazione delle regole dettate dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ..

20. La Corte di Appello di Messina ha proceduto ad un apprezzamento complessivo dei fatti acquisiti al processo in base alle direttive impartite dai principi di cui sopra. Ha dunque espresso il convincimento che sussistessero, nella fattispecie concreta, in sostanza, elementi riguardanti il concreto dinamismo dei rapporti, capaci di supportare la tesi del carattere fraudolento delle plurime relazioni negoziali, ravvisando quel quid pluris rappresentato da circostanze di fatto o comportamenti oggettivamente o soggettivamente idonei a rappresentare il quadro, anche solo indiziario, di una macchinazione funzionale alla frode.

21. Orbene occorre ribadire come sia compito istituzionalmente demandato al giudice del merito selezionare gli elementi certi da cui "risalire" al fatto ignorato (art. 2727 c.c.) che presentino una positività parziale o anche solo potenziale di efficacia probatoria e l'apprezzamento circa l'idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell'id quod plerumque accidit è sottratto al controllo di legittimità (Cass. 10.11.2003 n. 16831; Cass. 5.12.2011 n. 26022; Cass. 16.5.2017 n. 12002).

22. Chi poi censura il risultato del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare, così come fatto nella specie da parte ricorrente, l'ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del merito, ma deve far emergere, nel vigore del novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. (applicabile anche alla pronuncia emessa in sede di rinvio v. Cass. 18.12.2014 n. 26654; Cass. 24.5.2016 n. 10693), l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014. Nello specifico giova però evidenziare che, con riguardo alla tematica delle modalità di avviamento al lavoro e di stipula delle convenzioni di arruolamento, secondo cui all'armatore sarebbe preclusa la scelta ed il rifiuto del marittimo avviato per l'imbarco, con conseguente riprova dell'assoluta carenza dell'intento fraudolento, non è stato precisato dalla ricorrente il "come" ed il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti né quando il documento del 17.4.2015 (Regolamento dell'Ufficio di Collocamento della Gente di mare di Messina), successivo alla instaurazione del ricorso introduttivo, sia stato depositato nei precedenti gradi e, pertanto, detta problematica non può essere presa in considerazione in questa sede.

23. Trattandosi, quindi, di una decisione che è frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi asseritamente sintomatici dell'abusivo ricorso al contratto a termine, la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non può semplicemente sostenere una diversa combinazione dei dati fattuali ovvero un diverso peso specifico di ciascuno di essi, con una censura generica e meramente contrappositiva rispetto al giudizio operato nel grado pregresso. Infatti, per postulato indiscutibile, non è conferito alla Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, mentre trascende i limiti di tale controllo la mera denuncia di difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal giudice attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest'ultimo, tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (v., tra le tante, Cass. SS.UU. 25.10.2013 n. 24148).

24. In definitiva rileva il Collegio che la ricorrente, con il motivo scrutinato, nel denunciare una violazione e falsa applicazione dell'art. 326 cod. nav. da parte di essa datrice di lavoro, sottopone invece alla Corte una serie di censure che, pur prospettate come violazione delle disposizioni che disciplinano i contratti di arruolamento, nella sostanza propongono un diverso e più favorevole apprezzamento dei fatti, che si risolve in una richiesta di nuovo inammissibile esame non consentito in sede di legittimità.

25. Non sfugge a questa Corte l'eventualità (come già si è avuto modo di affermare: v. Cass. 12.12.2017 n. 29781, con la giurisprudenza ivi citata) che l'arrestarsi sulla soglia del giudizio di merito possa fare sì che analoghe vicende fattuali vengano diversamente valutate dai giudicanti cui compete il relativo giudizio.

26. Tuttavia è noto che l’oggetto del sindacato di questa Corte non è (o non immediatamente) il rapporto sostanziale intorno al quale le parti litigano, bensì unicamente la sentenza di merito che su quel rapporto ha deciso, di cui occorre verificare la legittimità negli stretti limiti delle critiche vincolate dall'art. 360 c.p.c., così come prospettate dalla parte ricorrente: ne deriva che contigue vicende possono dare luogo a diversi esiti processuali in Cassazione perché sono differenti sia le fattispecie concrete che hanno dato origine alla causa, sia gli sviluppi processuali del giudizio, sia le motivazioni delle sentenze impugnate, sia i motivi di gravame posti a fondamento del ricorso per cassazione, sia, infine, le molteplici combinazioni tra siffatti elementi.

27. Si tratta di esiti non altrimenti evitabili, determinati dalla peculiare natura del controllo di legittimità, ancor più da quando il legislatore ha inequivocabilmente orientato il giudizio di cassazione nel senso della preminenza della funzione nomofilattica, anche riducendo progressivamente gli spazi di ingerenza sulla ricostruzione dei fatti e sul loro apprezzamento.

28. Conclusivamente il ricorso va respinto.

29. La regolamentazione delle spese di lite segue la soccombenza. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.