Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 16 maggio 2018, n. 11994

Conversione del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato - Risarcimento del danno - Tardività dell’appello per intervenuta violazione del termine breve di 30 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado - Produzione di una copia parziale della sentenza - Successivo deposito in originale della sentenza notificata, nel corso del giudizio di gravame - Sussiste

Rilevato che

 

Il Tribunale di Palermo dichiarava la nullità del termine apposto al contratto stipulato dalla S. T. s.p.a. con G. Z. in relazione al periodo 12/9/2005-10/9/2006, accertava l'intercorrenza fra le parti di un contratto di lavoro a tempo indeterminato e condannava la società al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni maturate dalla cessazione del contratto fino alla riassunzione.

Detta pronuncia veniva parzialmente riformata dalla Corte distrettuale che, in parziale accoglimento del gravame interposto dalla società ed in applicazione dell'art. 32 comma 5 legge n. 183/2010, condannava la S. T. s.p.a. al risarcimento del danno liquidato nella misura di tre mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.

La Corte di merito giungeva a tali approdi, dopo aver preliminarmente vagliato l'ammissibilità dell'appello. Il lavoratore ne aveva infatti, eccepito la tardività, per intervenuta violazione del termine breve sancito dall'art. 325 c.p.c.; tuttavia, i giudici del gravame argomentavano che egli al momento della costituzione in giudizio, aveva depositato solo due fogli della sentenza impugnata, peraltro in fotocopia, solo successivamente producendo l'originale, così essendo decaduto dalla prova della avvenuta notifica della sentenza di primo grado.

La cassazione di tale decisione è domandata da G. Z. sulla base di unico motivo successivamente illustrato da memoria. Resiste con controricorso la società intimata.

Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Considerato che

 

1. Con unico motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt.325, 326, 434 c.p.c. in relazione all'art. 360 nn. 3, 4, e 5 c.p.c. Stigmatizza la pronuncia impugnata per aver violato il principio secondo cui il giudice è tenuto a pronunciare sulla eccezione di giudicato, qualora risulti da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito. Deduce al riguardo di aver "tempestivamente eccepito il mancato rispetto del termine di 30 giorni per il deposito del ricorso in appello", e di avere, a riprova, depositato nel corso del giudizio l'originale della sentenza di primo grado notificata, richiamando a sostegno della censura, il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità alla cui stregua il giudicato può essere rilevato ex officio, qualora risulti da atti comunque prodotti nel giudizio di merito.

2. Il motivo è fondato, per quanto di seguito esposto.

Occorre premettere che per consolidata giurisprudenza di questa Corte, la parte cui sia stato notificato un atto di impugnazione nel termine annuale di cui all'art. 327 c.p.c., che intenda invocare l'applicabilità, invece, del termine breve di cui all'art. 325 c.p.c. e l'avvenuto superamento del medesimo, è tenuta ad eccepire l'avvenuta notifica della sentenza impugnata ed a produrre ritualmente la copia autentica di questa e della relativa notificazione (vedi ex multis, Cass. 25/8/2003 n. 12483, Cass. 19/12/1997 n. 12886).

Con riferimento alla fattispecie qui scrutinata non può poi mancarsi di sottolineare che la sequenza procedimentale che ha connotato il giudizio di secondo grado si è sviluppata - secondo la ricostruzione offerta dal ricorrente mediante la riproduzione del tenore della memoria di costituzione, confortata altresì dal dictum della pronuncia impugnata - mediante la formulazione da parte del lavoratore, della eccezione di tardività dell'appello perché proposto oltre il termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza di primo grado ex art. 434 c.p.c., nella produzione di una copia parziale della stessa, e nel successivo deposito in originale della sentenza notificata, sempre nel corso del giudizio di gravame.

La Corte distrettuale ha giudicato tale sequenza non rituale, ritenendo non tempestivamente prodotto l'originale della sentenza impugnata corredata dalla relata di notifica, all'uopo invocando il dictum di questa Corte di legittimità di cui alla sentenza n. 16582/2011.

Detto richiamo al precedente giurisprudenziale appare però non conferente giacché la fattispecie in quella sede delibata - non sovrapponibile a quella scrutinata - concerneva la mancata produzione di documentazione in sede di giudizio di Cassazione, governata dalla specifica disciplina di cui all'art. 372 c.p.c., che tra l'altro proprio in materia di deposito di documenti richiede specifici adempimenti (comma 2).

Nello specifico, invece, come è incontroverso, la produzione dell'originale della sentenza di primo grado e della relativa relata di notifica, è avvenuta nel corso del giudizio di appello.

La circostanza che detta produzione sia intervenuta successivamente al deposito della memoria di costituzione, non si ritiene costituisca elemento ostativo alla ammissibilità della produzione documentale da parte dei giudici del gravame.

3. Come statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 20/4/2005 n.8202 (cui hanno fatto seguito numerose altre decisioni fra le quali, più di recente, Cass. 6/10/2016 n. 20055), il deposito di documenti in momento successivo al deposito della memoria di costituzione è ammesso quando la produzione abbia ad oggetto circostanze decisive.

Nel rito del lavoro, infatti, in base dal combinato disposto dell'artt. 416, terzo comma, cod.proc.civ., - che stabilisce che il convenuto deve indicare a pena di decadenza i mezzi di prova dei quali intende avvalersi, ed in particolar modo i documenti, che deve contestualmente depositare (onere probatorio gravante anche sull'attore per il principio di reciprocità fissato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 13 del 1977) -, e dell'art. 437 secondo comma cod. proc. civ., consegue che l’omessa indicazione, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti, e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione. Tale rigoroso sistema di preclusioni trova un contemperamento - ispirato alla esigenza della ricerca della "verità materiale", cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento - nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi del citato art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa. Poteri questi, peraltro, da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse.

Nell'ottica descritta va segnalato altresì l'orientamento espresso da questa Corte sulla questione della ammissibilità dei mezzi istruttori in appello e sulla definizione della nozione di indispensabilità della prova (ved vedi Cass. S.U. 4/5/2017 n. 10790) che ampiamente riprende e conferma i principi già affermati nel noto arresto di cui a Cass. S.U. n. 8202/05, pervenendo alla conclusione che il giudizio di indispensabilità implica una valutazione sull’idoneità del mezzo istruttorio a dissipare un perdurante stato di incertezza sui fatti controversi smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio.

4. Alla stregua delle superiori argomentazioni, l'attività processuale posta in essere dalla parte appellata nel giudizio di gravame, deve ritenersi esente da censure, ed ammissibile la produzione documentale concernente la sentenza di primo grado resa inter partes, corredata dalla relata di notifica.

La circostanza della tardività del ricorso in appello, è stata infatti oggetto di tempestiva deduzione da parte del lavoratore in sede di memoria di costituzione depositata entro il termine di rito, corredata dalla produzione di copia della sentenza (sia pur parziale), cui ha fatto seguito la produzione in originale del documento.

Per concludere dunque la Corte distrettuale, in applicazione delle argomentazioni sinora svolte, deve fare applicazione del principio di diritto, enunciato ai sensi dell'art. 384, comma primo, cod. proc. civ., nei seguenti termini : <Il giudice d'appello nell'esercizio dei suoi poteri istruttori d'ufficio, in applicazione del precetto di cui all'art. 437, comma 2, cod. proc. civ., deve acquisire e valutare i documenti esibiti nel corso del giudizio dall'appellato, sia pure non in contestualità con il deposto della memoria di costituzione, allorquando detti documenti siano indispensabili in quanto di per sé idonei a decidere in maniera definitiva la questione controversa tra le parti sulla ammissibilità del gravame>.

La impugnata sentenza va pertanto cassata con rinvio alla Corte d'Appello designata in dispositivo che provvederà allo scrutinio della fattispecie considerata, facendo applicazione del summenzionato principio e provvedendo anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'Appello di Palermo in diversa composizione.