Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 ottobre 2016, n. 20790

Soci fondatori snc - Condono ex art. 9 bis legge 289 del 2002 - Domanda

 

Fatti di causa

 

l ricorrenti sono soci fondatori della snc A.. ed in tale qualità, hanno presentato domanda di condono ex art. 9 bis legge 289 del 2002, per gli anni 1998-2002, che riguardato formalmente la sola società.

Essi hanno in tal modo inteso approfittare del condono fatto dalla società, anche relativamente ai loro redditi da partecipazione, dichiarando di averne diritto sulla scorta di una circolare ministeriale che affermava l’estensione ai soci del condono pagato dalla società.

Invece l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto non corretto anche il condono fatto a nome della A.. procedendo a recupero sia verso quest’ultima che verso i soci.

Questi ultimi hanno proposto impugnazione avverso le pretese erariali, ottenendo in secondo grado un parziale accoglimento. La decisione di appello ha ritenuto valido il condono presentato dalla società ma non estensibile ai soci, considerata l’indipendenza delle rispettive posizioni fiscali.

Quanto alla società, l’Agenzia ha ritenuto non ammissibile il condono, in quanto la domanda non era conforme alla dichiarazione condonata. In particolare, nella richiesta di condono, la società aveva omesso il riferimento a costi portati in deduzione nella dichiarazione dei redditi ma contestati dall’Agenzia.

La società ha proposto dunque diversi ricorsi avverso gli accertamenti scaturiti dal rifiuto del condono. In altri casi i giudici di merito hanno ritenuto legittima la pretesa fiscale di diniego del beneficio, mentre in questo caso i giudici di appello hanno ritenuto scusabile e comunque chiarita la difformità tra la dichiarazione e la domanda di condono.

Ricorrono per cassazione, da un lato i soci, con due motivi di ricorso, uno teso a sostenere i estensione del condono dalla società ai soci, l’altro relativo alla legittimità delle sanzioni - e, nei rispettivi giudizi - l’Agenzia si è costituita ma senza controdedurre; dall'altro lato ricorre però l'Agenzia, avverso la decisione che ha ritenuto scusabile ed irrilevante la difformità tra la dichiarazione dei redditi ed il condono, e lo fa con un solo motivo di ricorso, cui resiste con controricorso la società.

I tre ricorsi, due dei soci, e l’altro dell’Agenzia vengono tutti riuniti, data la connessione oggettiva, ed il fatto di essere (due dei tre) presentati avverso la medesima sentenza.

 

Motivi della decisione

 

Possono esaminarsi separatamente i motivi di ricorso dei soci e quello dell’Agenzia.

Quanto ai primi.

1. - Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 9 terzo comma bis della legge n. 289 del 2002.

Sostengono i ricorrenti come erronea la tesi per cui il condono fatto a nome della società non si estende ai soci (ovviamente per quanto attiene ai redditi da partecipazione), quando invece l’art. 9 cit. prevede i! contrario.

2. - Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano sempre violazione della stessa norma, ma sotto altro profilo. Ritengono che le sanzioni applicate dall’Agenzia, sul presupposto della legittimità dell'accertamento nei loro confronti, sono state applicate senza tener conto della loro buona fede.

Il primo motivo è infondato.

E giurisprudenza costante di questa Corte che socio e società sono titolari di una posizione fiscale indipendente (Sez. 5 n. 386 del 2016), e che conseguentemente il condono presentato a nome della società non si estende ai soci, che non possono dunque beneficiarne di riflesso (Sez. 6 ord. n. 7134 del 2016; Sez. 6, ord. n. 9117 del 2016). Regola affermata per casi come quello presente, di una società a ristretta base sociale: la A. è una snc i cui unici titolari sono proprio i due ricorrenti.

Risulta dunque legittimo l’accertamento effettuato nei confronti dei soci di un loro maggior reddito da partecipazione sociale, pur in presenza di un condono da parte della società.

Risulta invece fondato il secondo motivo.

I ricorrenti ritengono erronea la decisione di secondo grado nella parte in cui, avendo confermato l'accertamento, ha confermato anche la fondatezza delle sanzioni, senza tenere conto della scusabilità dell’eventuale errore.

I contribuenti avevano ritenuto di doversi giovare del condono effettuato dalla società, sulla scorta della circolare ministeriale 21.2.2003, n. 12/E nella quale si afferma che il condono fatto dalla società si estende, quanto ai redditi da partecipazione anche ai soci.

L'affidamento fatto su una circolare ministeriale, pur ovviamente non facendo venire meno l’obbligo tributario, è tuttavia idoneo ad impedire l’applicazione delle sanzioni, che invece presuppongono un affidamento non incolpevole (Sez. 5, n. 10195 del 2016)

Quanto invece al ricorso proposto dall’Agenzia avverso la sentenza che ha ritenuto valido il condono effettuato dalla società vanno fatte le considerazioni che seguono.

3. - Con l’unico motivo l’Agenzia denuncia violazione di legge, ritenendo erroneamente interpretato l’art 9 della legge 289 del 2002.

Secondo la ricorrente i giudici di merito hanno erroneamente ritenuto che anche una domanda irregolare, ossia contenente dati non conformi a quelli a suo tempo dichiarati, possa consentire il condono ex art. 9 cit.. specie quando lo scostamento è innocuo, ossia non incide sulla somma da versare.

Il motivo è fondato.

E’ pacifico che l’art. 9 bis, comma 15 della legge 289 del 2002 impone ai fini della ammissibilità del condono che i dati corrispondano, sancendo espressamente che "la definizione automatica non si perfeziona se essa si fonda su dati non corrispondenti a quelli contenuti nella dichiarazione originariamente presentata" (da ultimo Sez. 5. n. 7910 del 2016).

Occorre anzitutto, in generale, ribadire il principio valido per qualsiasi ipotesi di condono fiscale, secondo il quale le dichiarazioni integrative (o in genere, le dichiarazioni di volersi avvalere di una determinata definizione agevolata) non hanno natura dì mere dichiarazioni di scienza o di giudizio, come tali modificabili; né costituiscono momenti del procedimento volto all'accertamento dell’obbligazione tributaria, ma integrano atti volontari, frutto di scelta ed autodeterminazione da parte del contribuente, i cui effetti non sono rimessi alla volontà di quest'ultimo, ma sono previsti dalla legge, come conseguenza dell'osservanza di specifiche disposizioni che regolano ciascuna dichiarazione, la quale, una volta presentata, è irrevocabile e non può essere modificata dall'ufficio né contestata dal contribuente, se non per errore materiale, il quale deve essere manifesto e riconoscibile e consistere nella discordanza, immediatamente rilevabile dal testo dell'atto tra l'intendimento dell'autore e la sua materiale esteriorizzazione e non può consistere in un ripensamento successivo alla dichiarazione (cfr,. tra altre, Cass. N. 15172 del 2006 e, da ultimo Cass. n. 3301 del 2014 e Cass.15295/2015).

Questa Corte, sempre in tema di condono fiscale e di dichiarazione correlata, ha poi precisato (Cass. 3410/1997: Cass. 7172/2002 e Cass.14955/2002; Cass. 14020/2007 e Cass. 25712/2007) che, in presenza di errori materiali riconoscibili, tali per cui sia possibile ricostruire con sicurezza l'effettivo contenuto della dichiarazione integrativa, solo apparentemente difforme nel testo redatto, la medesima dichiarazione è da considerarsi valida e produttiva di effetti in conformità a tale suo effettivo contenuto, che deve essere dunque vagliato e valutato dal giudice, unitamente alla riconoscibilità dell'errore materiale in base ad indagini di fatto le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se adeguatamente motivate.

Nella fattispecie non si può dire che la contribuente sia incorsa in un innocuo o emendabile errore materiale, come risulta dalla stessa sentenza impugnata, I giudici di appello invero prendono atto che "dovendo prendere le distanze da un’indagine penale in sede di condono si sono eliminate delle fatture e quindi talune componenti di reddito".

Appare dunque chiaro che la difformità è voluta, per perseguire una precisa strategia processuale e poco rileva che la società ne abbia dato giustificazione.

Si è trattato dunque di una difformità voluta e non riscontrabile di per sé come errore materiale dalla semplice lettura dell’atto, ma piuttosto giustificata successivamente dai contribuenti stessi, con la conseguenza che è da ritenersi erronea l’interpretazione, sia pure implicitamente resa dell’art. 9 dalla corte dì merito, che invece ha ritenuto scusabile anche la difformità non meramente materiale ma giustificata da un preciso intento del contribuente.

I ricorsi, riuniti al n. 73/2011 i numeri 72/11 e 578/2001, vanno dunque decisi congiuntamente, nei termini che precedono, con compensazione delle spese, attesa la soccombenza dell’Agenzia su un motivo di ricorso dei contribuenti.

 

P.Q.M.

 

Riuniti al presente i ricorsi n. 72/2011 e 578/2011, accoglie il ricorso n. 578/2011; rigetta il primo motivo del ricorso presente e del n. 72/2011, ed accoglie di tali due ricorsi il secondo motivo, relativo alle sanzioni applicate. Cassa sui motivi accolti, la sentenza impugnata, e decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del procedimento n. 578 del 2011 e dichiara non dovute quanto al procedimento presente ed al n 72/ 2011 le sole sanzioni.

Compensa le spese.