Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 ottobre 2016, n. 20798

Imposta di registro - Terreni agricoli - Revoca delle agevolazioni

 

Fatto

 

La Commissione Tributaria Regionale dell' Umbria rigettava l'appello proposto da B.P. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Perugia che aveva respinto il ricorso proposto dal contribuente, avverso la cartella di pagamento relativo all'imposta di registro, per l'anno 2005, conseguente alla revoca delle agevolazioni richieste per i compendi agricoli, ai sensi dell'articolo cinque bis della legge 31 gennaio 1994, n. 97 e della legge 28 dicembre 2001, n. 448, mancando la prova che terreni acquistati raggiungessero l'estensione minima di 4 ettari prevista dalla legge regionale Umbria.

La Commissione tributaria regionale rilevava la definitività del precedente avviso di accertamento per mancanza di tempestiva impugnazione, rilevando come la successiva attività istruttoria posta in essere dall' amministrazione, rimasta peraltro senza esito, non poteva riaprire i termini per l'impugnazione dell'accertamento, già scaduti.

Il contribuente impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale deducendo sei motivi.

L'intimata Agenzia si è costituita con controricorso.

 

Motivazione semplificata

 

1. Col primo e secondo motivo viene dedotta, sotto diversi profili, violazione dello statuto del contribuente.

Le censure, congiuntamente esaminate in quanto logicamente connesse, sono infondate; nel caso di specie non si verte infatti, di incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione dalla quale la pretesa erariale tra origine, come dedotto dal contribuente, trattandosi di un atto di compravendita contenente una richiesta di applicazione di benefici dichiarati non spettanti per mancanza di requisiti.

Il contribuente, inoltre, non ha impugnato il precedente avviso di liquidazione e la condotta inerte si è, comunque, consumata antecedentemente all'emissione dell'atto istruttorio del gennaio 2008 con cui l'ufficio ha disposto una ulteriore attività istruttoria, probabilmente "partita" - come rilevato dalla CTR - per un mero errore di coordinamento degli uffici - ma rimasta, peraltro, senza esito. Anche se, ai sensi dell'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, è impugnabile l'annullamento parziale, adottato nell'esercizio del potere di autotutela, di un avviso impositivo già definitivo, trattandosi di un atto contenente la manifestazione di una compiuta e definitiva pretesa tributaria, rispetto a cui, pur se riduttivo dell'originaria pretesa, non può privarsi il contribuente della possibilità di difesa (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14243 del 08/07/2015), tuttavia, nel caso di specie, non si è in presenza di alcuno atto di autotutela, ma solo di una attività istruttoria, rimasta, come già rilevato, senza esito, non essendo stato annullato o modificato l'avviso di liquidazione divenuto ormai definitivo per mancanza di impugnazione.

Tale rilievo consente di ritenere l'infondatezza del terzo motivo con cui si deduce vizio di motivazione con riferimento all'eccepita violazione del legittimo affidamento e alla conseguente richiesta di remissione in termini.

2. Inammissibile, oltre che infondato, è anche il quarto motivo con cui si lamenta un difetto di motivazione rispetto all'eccezione di presunta decadenza dell'ufficio dei propri poteri di accertamento, mancando la prova, sotto il profilo dell'autosufficienza, della deduzione di tale eccezione nel ricorso originario e, comunque fondato sull'erroneo presupposto della perdurante prosecuzione dell'attività istruttoria nel corso dell'anno 2008, essendo stato emanato l'avviso di liquidazione dell'anno 2007, entro il termine di decadenza triennale dalla registrazione dell'atto di acquisto.

Rimane assorbito, a seguito della definitività dell'avviso di liquidazione, il quinto motivo di ricorso con cui si censura l'omesso esame dei profili di merito della vicenda relativi alla sussistenza del beneficio richiesto con l'atto di compravendita.

Con riferimento all’ultimo motivo con cui si deduce vizio di motivazione in relazione alla mancanza di sottoscrizione dell'impugnata cartella, la censura difetta di autosufficienza, non essendo stata riprodotta la cartella di pagamento, né indicata la relativa collocazione toponomastica nel fascicolo d'ufficio.

Peraltro, anche se la CTR ha erroneamente richiamato la motivazione della sentenza di primo grado che ha confuso l'obbligo, a pena di nullità, per le cartelle emesse dal 1 giugno 2008 dì indicare il responsabile del procedimento, con l'obbligo di sottoscrizione delle cartelle, la censura è infondata anche se va corretta la motivazione della sentenza impugnata.

Questa Corte ha già ripetutamente affermato, con orientamento condiviso dal Collegio, che l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l'invalidità dell'atto, la cui esistenza non dipende tanto dall'apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all'organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che, a norma dell'art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell'esattore, ma solo la sua intestazione e l'indicazione della causale, tramite apposito numero di codice (cfr Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26053 del 30/12/2015; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25773 del 05/12/2014; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13461 del 27/07/2012).

Va, conseguentemente, rigettato il ricorso.

La particolarità della vicenda con riferimento al comportamento dell'Ufficio legittima la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.