Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 novembre 2017, n. 26164

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo - Reintegra nel posto di lavoro - Soppressione del posto di lavoro - Non sussiste

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza pubblicata il 2.3.15 la Corte d'appello di Milano rigettava il gravame di H.E.T. S.r.l. contro la sentenza n. 142/11 con cui il Tribunale di Varese, annullato il licenziamento intimato il 31.3.10 per giustificato motivo oggettivo a F.C., ha condannato la società a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro ex art. 18 legge n. 300 del 1970 (nel testo previgente rispetto alla novella di cui all'art. 1 legge n. 92 del 2012).

2. Statuivano i giudici d'appello che era emerso in punto di fatto che il posto di lavoro della dipendente non era stato soppresso e che neppure era stata dimostrata l'impossibilità d'un suo repechage.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre H.E.T. S.r.l. affidandosi a cinque motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

4. F.C. resiste con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1.1. Il primo motivo denuncia omesso esame d'un fatto controverso e decisivo per il giudizio consistente nell'avvenuta assunzione del dipendente M.D. per assegnargli mansioni analoghe a quelle (di European Manager for Cooling) precedentemente svolte dall'odierna controricorrente, così - in sostanza - omettendo di accertare l'avvenuta soppressione della posizione a suo tempo ricoperta in Italia da F.C.; prosegue il ricorso con l'evidenziare che la teste C. aveva riferito che M.D. era stato assunto dalla S.F. di H.E.T. S.r.l., società dotata d'una propria partita IVA, il che dimostrava l'inesistenza d'un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro della C. e del D., circostanza che erroneamente l'impugnata sentenza aveva ritenuto irrilevante, così come erroneamente non aveva accertato che la posizione della C. era stata soppressa presso la società italiana e che proprio l'avere la società francese assegnato al D. mansioni analoghe a quelle della C. era la conferma di tale soppressione.

1.2. Con il secondo motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ. perché, dando per implicito che, pur trattandosi di società distinte, le società italiana e francese del gruppo H. costituirebbero un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, la sentenza impugnata avrebbe valorizzato un dato di fatto il cui accertamento non era stato oggetto di domanda da parte della lavoratrice.

1.3. Il terzo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e 3 legge n. 604 del 1966, per avere la Corte territoriale affermato che il posto di lavoro di F.C. non sarebbe stato soppresso, nonostante che dall'istruttoria testimoniale fosse emerso il contrario, nel senso che i testi avevano riferito non che la stessa posizione di lavoro era stata assegnata a M. D., ma soltanto che mansioni analoghe a quelle espletate dalla prima erano state affidate al secondo presso la H. avente con sede a Parigi; in altre parole, mentre la posizione di Produci Manager Cooling a Varese (un tempo ricoperta dalla C.) era stata soppressa il 31.3.10, presso la nuova sede di Parigi, che era in fase di avvio, tale posizione di P.M.C. non esisteva e solo nell'estate 2010 il neo presidente della sede di Parigi aveva assunto il D. con tali mansioni, dapprima solo per la Francia e, successivamente, anche per il resto d'Europa.

1.4. Il quarto motivo prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., per avere la Corte territoriale trascurato, in tema di verifica dell’adempimento dell'obbligo di repechage, che la società aveva invano offerto all'odierna controricorrente dapprima ér la posizione di Marketing e Communication, non più presso la divisione europea, bensì presso la divisione commerciale italiana, poi la posizione di Key Account and Product Manager for Cooling per l'Italia, poi un lavoro nel settore Marketing di Prodotto a livello europeo.

1.5. Anche il quinto mezzo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., per avere la sentenza impugnata trascurato che, prima del licenziamento dell'odierna controricorrente, esisteva la linea Incasso (o prodotti da incasso) e i vertici aziendali H. di Varese avevano creato apposta per la C. una posizione di lavoro con lo scopo di avviare un nuovo progetto e che per costante giurisprudenza è possibile che il lavoratore venga assegnato anche a mansioni inferiori se ciò costituisce l'unica possibilità di evitare il licenziamento.

2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

La sentenza impugnata non ha affatto omesso di esaminare il fatto consistente nell'esistenza o meno d'un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro tra le parti in seno alla H., ma - e ciò è cosa diversa - l'ha ritenuto irrilevante nel momento in cui ha accertato in punto di fatto che le stesse mansioni della C. erano state assegnate, poco dopo il suo licenziamento, a M.D..

In proposito l'equivoco in cui incorre la società ricorrente risiede in ciò: la sentenza impugnata non ha affatto asserito l'irrilevanza dell'esservi o meno un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro de quo all'interno del gruppo H., ma ha soltanto segnalato che è irrilevante stabilire se M.D., effettivamente adibito alle stesse mansioni fino a qualche mese prima espletate dalla controricorrente, provenisse da altra società del gruppo oppure no, giacché quel che conta è che le sue mansioni coincidevano con quelle svolte dalla lavoratrice poco prima licenziata.

L'assunto secondo cui le mansioni sarebbe state le stesse, ma espletate presso società diverse pur appartenenti al medesimo gruppo si risolve in una mera sollecitazione di rilettura del materiale istruttorio affinché se ne fornisca un diverso apprezzamento, operazione non consentita in sede di legittimità.

Ma è appena il caso di segnalare che neppure tale lettura gioverebbe alla società ricorrente, dal momento che essa nel proprio ricorso riferisce che M.D., assunto qualche mese dopo il licenziamento di F.C., fu comunque adibito alle stesse mansioni dapprima solo per la Francia e, successivamente, anche per il resto d'Europa, quindi anche per quella zona che un tempo era di competenza dell'odierna controricorrente.

2.2. Le considerazioni svolte nel paragrafo che precedono spiegano altresì l'infondatezza del secondo motivo (con il quale si attribuisce alla sentenza impugnata quel che essa non ha - in realtà - affermato) e del terzo, con il quale in sostanza si suggerisce, ad onta dei richiami normativi in esso contenuti, un riesame nel merito delle risultanze di causa.

2.3. Il quarto e il quinto motivo sono irrilevanti: infatti, in tanto si può fare questione di impossibilità o meno di repechage in quanto sia stata accertata l'effettività della soppressione della posizione lavorativa posta a base del licenziamento, effettività che la sentenza impugnata ha, invece, motivatamente escluso con valutazione di merito delle risultanze processuali, insindacabile da parte di questa Corte Suprema.

3.1. In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall'art. 1 co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.