Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 giugno 2016, n. 12313

Tributi - Condono ex art. 9 della Legge n. 289 del 2002 - Credito IVA

 

Fatto

 

La società presentò istanza di definizione automatica a norma dell'art. 9 della legge 289 del 2002 e versò l'importo necessario al relativo perfezionamento, previa utilizzazione di un proprio credito iva relativo all'anno d'imposta 2000. Ne seguì un avviso, col quale l'Agenzia recuperò maggiore iva dovuta, conseguente al disconoscimento del relativo credito vantato e rimborsato, nonché di un residuo credito, irrogando le sanzioni conseguenti.

La contribuente impugnò l'avviso, senza successo, né in primo, né in secondo grado.

In particolare, la Commissione tributaria regionale ha osservato che il ricorso al condono preclude la possibilità di far valere crediti del quale nel caso in questione non emergono neanche i presupposti, essendo stata omessa la presentazione della dichiarazione relativa. Ricorre la società per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, affidando il ricorso ad un unico motivo, che illustra con memoria, cui Agenzia delle entrate replica con controricorso.

 

Diritto

 

1. - Va preliminarmente respinta l'eccezione d'inammissibilità del ricorso proposta dall'Agenzia, secondo la quale la contribuente non avrebbe aggredito le due autonome rationes decidendi su cui s'impernia la sentenza.

La ratio è difatti una sola ed è calibrata sull'omessa presentazione della dichiarazione nella quale avrebbe dovuto figurare il credito iva del quale di discute; omessa presentazione, la quale, nella ricostruzione offerta in sentenza, impedirebbe di verificare <<la debenza del rimborso e l 'esattezza della somma richiesta>>.

Questa ratio è stata aggredita dal ricorso, che assume, appunto, l'irrilevanza ai fini del rimborso di tale omessa presentazione.

2. - Con l'unico motivo di ricorso, proposto ex art. 360, primo comma, numero 3, c.p.c., difatti, la società lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 9, L. 289/02, nonché dell'art. 30, 1° comma, del d.P.R. 633/72, sostenendo che, indipendentemente dall'adesione al condono tombale, l'omessa presentazione della dichiarazione iva relativa all'anno 2001 non comporti la perdita del credito iva esposto nella dichiarazione per il precedente anno 2000.

3. - Di per sé, l'adesione al c.d. condono tombale non può essere ragione ostativa al diniego di rimborso opposto dall'amministrazione per insussistenza dei relativi presupposti, che si porrebbe in insanabile contrasto con la giurisprudenza comunitaria.

Ciò in quanto la Corte di giustizia, grande sezione, con la sentenza 17 luglio 2008, causa C-132/06, che specificamente investe l'articolo 9 della legge n. 289 del 2002, ha considerato che le somme dovute in forza di tale condono sono sproporzionate rispetto all'importo che il soggetto avrebbe dovuto versare sulla base del volume di affari risultante dalle operazioni da lui compiute, ma non dichiarate, di guisa che lo squilibrio significativo esistente tra gli importi effettivamente dovuti e quelli corrisposti dai contribuenti che intendono beneficiare della definizione agevolata in questione conduce ad una quasi-esenzione fiscale. Sono in tal modo svuotate di contenuto, ha proseguito la Corte di giustizia, le disposizioni comunitarie (ossia gli articoli 2 e 22 della cosiddetta sesta direttiva iva e l'articolo 10 del Trattato Ce), che fanno obbligo ad ogni Stato membro di adottare tutte le misure legislative ed amministrative, al fine di garantire che questa imposta sia interamente riscossa nel suo territorio. Non solo: la Corte di giustizia ha rimarcato che la legislazione italiana produce, nella misura in cui i contribuenti colpevoli di frode risultano favoriti dalla legge 289 del 2002, un effetto contrario alla lotta contro la frode, che rappresenta un obiettivo riconosciuto e promosso dalla sesta direttiva (su quest'ultimo punto, vedi anche le sentenze della Corte di giustizia 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax, e 22 maggio 2008, causa C-162/07, Ampliscientifica e Amplia). In linea con questo principio, questa Corte ha anche di recente disapplicato l'art. 9 della legge n. 289 del 2002, nella parte in cui consente al contribuente, che abbia omesso di presentare le dichiarazioni IVA negli esercizi d'imposta coinvolti dal condono, di fruire per questa imposta della definizione agevolata (Cass. 7 febbraio 2013, n. 2915).

4. - Alle considerazioni sull’irrilevanza dell’adesione al condono va aggiunto, per completezza, che, pure in seno alla costruzione normativa del condono, le sezioni unite della Corte (Cass., sez. un., 5 giugno 2008, n. 14828) hanno chiarito che il nono comma dell’art. 9 della L. 289/2002 esclude che il condono abbia di per sé effetto modificativo soltanto in ordine all’importo di eventuali rimborsi e crediti derivanti dalle (ossia indicati nelle) dichiarazioni presentate dal contribuente: il condono non impone al contribuente la rinuncia al credito ivi esposto, né preclude all’amministrazione di rimborsarlo, se lo ritiene fondato, o di accertarne la non rimborsabilità, giusta i principi fissati dall’ordinanza 340 del 2005 della Corte costituzionale (conforme, più recente, Cass., ord. 8 marzo 2010, n. 5586).

5. - Ciò posto, non si può di per sé escludere la rimborsabilità del credito per la circostanza, valorizzata dalla sentenza, della mancanza di dichiarazione relativa all'anno d'imposta in relazione al quale il credito avrebbe dovuto figurare.

Anzitutto, va chiarito, la libertà di cui dispongono gli Stati membri nello stabilire modalità di rimborso di un'eccedenza di iva non comporta che dette modalità siano dispensate da qualsivoglia controllo riguardo al diritto dell'Unione (v., in tal senso, Corte giust. 28 luglio 2011, Commissione/Ungheria, C-274/10, punti 39 e 40). Al riguardo, ha ulteriormente precisato la Corte di giustizia (vedi, in particolare, Corte giust. 18 ottobre 2012, causa C-525/11, Mednis SIA, punto 24), tali modalità non possono ledere il principio di neutralità fiscale, facendo gravare sul soggetto passivo, in tutto o in parte, l'onere dell’Iva. Esse, in particolare, devono consentire al soggetto passivo di recuperare, in condizioni adeguate, la totalità del credito risultante da un'eccedenza di iva, in modo che il soggetto passivo non corra alcun rischio finanziario (v., in particolare, sentenze del 25 ottobre 2001, Commissione/Italia, causa C-78/00, punti 33 e 34; del 10 luglio 2008, Sosnowska, causa C-25/07, punto 17; del 12 maggio 2011, Enel Marita Iztok 3, causa C-107/10, punto 33).

E tanto vale anche qualora non sia stata presentata la dichiarazione, purché sussistano i presupposti sostanziali del credito (vedi, tra varie, Cass. 13 gennaio 2016, n. 407 e 12 gennaio 2012, n. 268).

5.1. - La presentazione della dichiarazione, difatti, è mero requisito formale, non già presupposto sostanziale d'insorgenza del diritto e di detrazione e di rimborso.

I presupposti sostanziali sono quelli che stabiliscono il fondamento stesso e l'estensione del diritto, la sua insorgenza, insomma (punto 41 della sentenza di Corte giust. 11 dicembre 2014, causa C-590/13, Idexx) e consistono nelle circostanze che gli acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, che quest'ultimo sia parimenti debitore dell'IVA attinente a tali acquisti e che i beni di cui trattasi siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili (punto 43).

6. - Ne conseguono l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio, affinché valuti la rimborsabilità del credito vantato e regoli le spese.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.