Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 08 novembre 2016, n. 22663

Cessazione dell'attività - Licenziamento per giustificato motivo oggettivo - Riconoscimento del superiore inquadramento - Differenze retributive - Rifiuto di offerta alternativa

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 25 febbraio 2013, la Corte d'Appello di Catania, confermava la decisione resa dal Tribunale di Catania e, pronunziando sulla domanda proposta da M.l. nei confronti di S.S. coop. a r.l., avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dato dalla cessazione dell'attività di ristorazione cui la prima era adibita in qualità di cuoca, nonché il riconoscimento del superiore inquadramento nel terzo livello del CCNL del settore commercio e la condanna della Società al pagamento delle retribuzioni relative al periodo da gennaio a giugno 2005, delle mensilità aggiuntive per gli anni 2004 e 2005, nonché dello straordinario, dell'indennità sostitutiva delle ferie e dei permessi, dichiarava illegittimo il licenziamento con le conseguenze di cui all'art. 18 L. n. 300/1970 e condannava la Società al pagamento delle sole retribuzioni e mensilità aggiuntive dovute.

La decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto inconfigurabile la risoluzione del rapporto per mutuo consenso, idonea l’istruttoria svolta ad attestare la carenza di prova in ordine al requisito dimensionale dell'azienda nonché al rifiuto da parte della l. dell'offerta di occupazione alternativa con inquadramento, non inferiore come erroneamente affermato dalla Società, ma corrispondente a quello posseduto ed infine alla mancata ripresa del servizio conseguente all'invito all'uopo formulato dalla Società per essere questo illegittimamente relativo ad altra sede di lavoro.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la Società affidando l'impugnazione a sei motivi cui resiste, con controricorso, la l.

 

Motivi della decisione

 

La Società ricorrente articola la propria impugnazione su sei motivi con i quali ricapitola, indicandole tutte, in modo indistinto, così da sfiorare l'inammissibilità del ricorso, come ragioni di nullità dell'impugnata sentenza, le censure già sollevate in sede di gravame avverso la decisione di prime cure ed afferenti alle singole statuizioni ivi rese e confermate dalla Corte territoriale, concernenti

A) l'insussistenza della ragione posta a fondamento dell'invocato giustificato motivo oggettivo e la violazione dell'obbligo di repechage (primo motivo);

B) anche in relazione alla mancata contestazione di tali circostanze (la soppressione del posto di cuoca presso l'unica sede ove la Società svolgeva attività di ristorazione e la riferibilità di quelle mansioni ad un inquadramento non corrispondente a quello proprio delle mansioni che la lavoratrice avrebbe potuto svolgere presso le posizioni di lavoro disponibili) da parte della lavoratrice ivi compresa quella relativa alla mancata accettazione del posto di commessa ai banchi che la Società, per quanto non tenuta, si era premurata di offrirle (secondo motivo);

C) il mancato assolvimento dell'onere della prova in ordine al rifiuto della posizione lavorativa offertale in alternativa al licenziamento ed al requisito dimensionale dell'azienda, pronunzia dovuta, a detta del ricorrente, al mancato intervento correttivo dell'error in procedendo in cui era incorso il giudice di prime cure nel limitare, dopo aver complessivamente ammesso i mezzi istruttori richiesti, la lista dei testi da escutere (terzo motivo);

D) il riconoscimento del risarcimento del danno ex art. 18 L. n. 300/1970 in un importo eccedente la misura minima delle cinque mensilità, omessa la considerazione del concorso nella determinazione del danno della stessa lavoratrice, non attivatasi per la ricerca di una nuova occupazione in un ruolo peraltro richiesto dal mercato (quarto motivo);

E) l'irrilevanza della mancata adesione all'invito dalla Società rivolto alla lavoratrice alla ripresa del servizio, incongruamente motivata in relazione alla giuridica necessità che lo stesso attenga allo stesso posto di lavoro ed alle stesse mansioni dalle quali il lavoratore sia stato illegittimamente estromesso, da ritenersi, al contrario, nella specie impossibile per essere stati l'uno e le altre pacificamente soppressi (quinto motivo);

F) la conferma della statuizione sulle spese relative al primo grado e l’attribuzione di quelle concernenti il giudizio di appello sulla base della ritenuta integrale soccombenza, viceversa non ravvisabile con riguardo ad entrambi i gradi di giudizio (sesto motivo).

Le esposte censure devono ritenersi tutte infondate.

Valutata ampiamente desumibile dalla prospettazione di cui al ricorso introduttivo la contestazione da parte della lavoratrice della legittimità del recesso, anche sotto il profilo dell'impossibilità di un impiego alternativo in seno all'organizzazione aziendale, la violazione dell'obbligo di repechage ravvisata dalla Corte territoriale risulta effettiva.

Ciò, in primo luogo in ragione dell'allineamento che sul piano della classificazione del personale emerge tra le mansioni di cuoca cui era adibita la ricorrente e quella di commessa ai banchi dichiarata disponibile, come accertato, senza ricevere in questa sede idonea smentita, dalla Corte territoriale in relazione alla previsione del contratto collettivo applicabile nonché di quanto indicato in busta paga e del trattamento con essa liquidato.

In secondo luogo, l'effettività della violazione dell'obbligo di repechage emerge in relazione alla mancata emersione del rifiuto da parte della lavoratrice di quella posizione nel corso dell'istruttoria, che deve dirsi correttamente valutata dalla Corte territoriale, dovendosi ammettere il libero apprezzamento del giudice del merito in ordine alla sufficienza ai fini del decidere degli elementi acquisiti attraverso gli espletati mezzi istruttori che, secondo quanto rilevato in motivazione dalla Corte medesima e ancora una volta non smentito dalla Società ricorrente, hanno riguardato tutte le circostanze di fatto di cui si era chiesta prova.

La medesima ragione vale ad escludere che anche il requisito dimensionale dell'azienda possa dirsi provato. Né può sostenersi, come qui pretenderebbe la Società ricorrente, che ammette il difetto di prova diretta, che a quella prova possa pervenirsi sulla base della mera non contestazione da parte della lavoratrice di quanto dalla prima dedotto in ordine alla consistenza dell'organico inferiore ai limiti previsti per l'applicazione della tutela reale su base territoriale e con riguardo all'intera azienda.

Ne risulta la legittimità dell'applicazione di tale forma di tutela nella sua pienezza, non ravvisandosi ragioni, peraltro neppure dedotte tempestivamente, per contenere nel minimo o comunque nei limiti dell'efficienza causale del comportamento della lavoratrice, il risarcimento del danno previsto dalla legge a fronte dell'illegittimità de recesso.

Parimenti legittima è a dirsi l’attribuzione delle spese del primo e del secondo grado, considerata la motivazione espressa dal primo giudice in ordine alla soccombenza in giudizio della Società sostanzialmente integrale, motivazione correttamente ritenuta congrua dalla Corte territoriale e la soccombenza effettivamente integrale della Società ricorrente in sede di gravame.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente o giudizio di legittimità che liquida in euro 100.00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.