Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 novembre 2016, n. 22432

Tributi - Accertamento fondato sulle percentuali di ricarico della merce venduta - Criterio della media aritmetica semplice o ponderata - Natura omogenea o disomogenea degli articoli e dei ricarichi

 

Ritenuto in fatto

 

1. L’Agenzia delle entrate di Avellino notificava a M.L.C., titolare di una farmacia, un avviso di accertamento in rettifica del reddito d'impresa dichiarato ai fini IVA, IRPEF ed IRAP per il 2003 a seguito di rideterminazione della percentuale di ricarico dei soli prodotti etici, con conseguente applicazione delle maggiori imposte dovute in relazione al maggior reddito accertato, pari ad € 13.715,00.

Il ricorso proposto dal contribuente avverso tale atto impositivo veniva accolto dalla Commissione Tributaria di primo grado di Avellino con decisione n. 314/05/2006 sul rilievo della inattendibilità dell’accertamento perché basato su una media semplice e non ponderata delle percentuali di ricarico, <non misuratamente riepilogativa delle caratteristiche di prezzo della moltitudine dei prodotti esitati dalla farmacia> (così nell’esposizione in fatto della sentenza impugnata).

Con sentenza n. 320 del 22 ottobre 2009 la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate ritenendo legittimo l’accertamento dei maggiori ricavi operato dall’Ufficio mediante l’applicazione della media semplice delle percentuali di ricarico accertate, perché aveva riguardato i soli medicinali etici (cioè soggetti a prescrizione medica) - con esclusione, quindi, di tutti gli altri prodotti commercializzati dalla contribuente - ed un campione significativo dei medesimi.

Ricorre per cassazione la contribuente con un mezzo di gravame. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

 

Considerato in diritto

 

1. Con l’unico motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 d.P.R. n. 633 del 1972 nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’<omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa lo scostamento fra "quanto accertato e le medie di settore">.

1.1. La ricorrente deduce l’erronea applicazione delle disposizioni censurate per non avere i giudici di appello rilevato l’illegittimità del metodo induttivo utilizzato dall’Amministrazione finanziaria in quanto il lieve scostamento riscontrabile tra la percentuale di ricarico in concreto applicata dalla contribuente (pari al 36,42%) e quella invece applicata dall'Ufficio (pari al 39,90%) non costituisce indice presuntivo di inattendibilità complessiva delle scritture contabili, ai sensi dell’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973 e 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, non configgendo con regole fondamentali di normalità e ragionevolezza, come del resto affermato dalla giurisprudenza di legittimità richiamata nel motivo (tra le altre, Cass. n. 417 del 2008, n. 22938 del 2007 e n. 26388 del 2005).

1.2. Censura, inoltre, la statuizione impugnata per avere i giudici di appello validato un accertamento fiscale basato <su soli "46" esemplari> di prodotti, <per di più acquistati da solo due fornitori> (pag. 15 del ricorso) e, quindi, su <un numero irrisorio e niente affatto rappresentativo di prodotti> (pag. 17). mentre la <varietà> di questi avrebbe dovuto indurre i verificatori all'esame di un campione più rappresentativo e all'applicazione non della media aritmetica, ma di quella ponderata dei ricarichi applicati.

2. Il motivo va rigettato in relazione ad entrambi i profili prospettati.

2.1. Invero, in relazione al primo profilo va rilevato che nel ricorso introduttivo - trascritto nella parte narrativa del ricorso in esame (pagg. 2 e 3) - la ricorrente aveva impugnato l'avviso di accertamento lamentando che i verificatori avevano fatto ricorso alla media aritmetica delle percentuali di ricarico applicate nella vendita dei prodotti, in luogo di quella ponderata, suggerita anche dalla prassi amministrativa, ma nulla aveva lamentato in ordine al <leggero e per niente significativo scollamento tra le percentuali di ricarico applicate dalla parte ricorrente (...) e quanto accertato dall'ufficio> (pag. 18 del ricorso) cosicché deve ritenersi inammissibile la dedotta illegittimità dell'accertamento <perché basato su presunzioni carenti delle caratteristiche di gravità, concordanza e precisione> (pag. 2 della sentenza impugnata), che è censura che la stessa Commissione di appello ha espressamente dichiarato inammissibile con statuizione affatto censurata.

2.2. Quanto, invece, alle contestate modalità con cui l'Ufficio finanziario aveva proceduto alla rideterminazione della percentuale di ricarico dei diversi prodotti etici venduti, ricorrendo alla media aritmetica dei prezzi praticati con riferimento ad alcuni di quei prodotti, l’infondatezza del motivo discende dal noto insegnamento di questa Corte, che il Collegio condivide, secondo cui <nell'accertamento tributario, fondato sulle percentuali di ricarico della merce venduta, la scelta tra il criterio della media aritmetica semplice e di quella ponderata dipende, rispettivamente, dalla natura omogenea o disomogenea degli articoli e dei ricarichi, assumendo il criterio della media aritmetica semplice valenza indiziaria, al fine di ricostruire i margini di guadagno realizzato sulle vendite effettuate "a nero", quando il contribuente non provi, ovvero non risulti in punto di fatto, che l'attività sottoposta ad accertamento ha ad oggetto prodotti con notevole differenza di valore, e che quelli maggiormente venduti presentano una percentuale di ricarico molto inferiore a quella risultante dal ricarico medio. In mancanza di tali presupposti, è legittima la presunzione che la percentuale di ricarico applicata sulla merce venduta in evasione di imposta è uguale a quella applicata sulla merce commercializzata ufficialmente, a meno che il contribuente non provi di aver venduto a prezzi inferiori le merci non documentate, e ciò anche con riferimento alla media del medesimo settore merceologico, come nella specie> (cfr. Cass. n. 951, n. 14328 e n. 26312 del 2009 nonché n. 27568 del 2013). Si è peraltro precisato che <l'atto di rettifica, qualora l'ufficio abbia sufficientemente motivato, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l'operato degli accertatori, nel senso che null'altro l'ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l'onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l'apparente regolarità delle annotazioni contabili, perché proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo, come nel caso in esame> (cfr. Cass. n. 27568 del 2013 e n. 951 del 2009, citate, nonché Cass. n. 24532 del 2007).

2.3. Orbene, nella specie, a fronte dell'accertamento in fatto compiuto dalla Commissione di appello, che, andando di contrario avviso alla Commissione di primo grado che aveva ritenuto inattendibile l’ accertamento dell'ufficio <perché basato su una media semplice e non ponderata, non misuratamente riepilogativa delle caratteristiche di prezzo della moltitudine dei prodotti esitati dalla farmacia> (pag. 2 della sentenza impugnata), ha invece sostenuto <che il campione di prodotti esaminato dall'Ufficio (ben 46), sia sufficientemente significativo> (pag. 2) e che, avendo rilasciato percentuali sostanzialmente omogenee, la media aritmetica semplice applicata dall'ufficio del 39,09, può ritenersi attendibile> (pag. 3), non risulta né è stato dedotto che la ricorrente abbia fornito una qualche prova contraria.

3. Conclusivamente, quindi, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali liquidate come in dispositivo ai sensi del d.m. Giustizia n. 55 del 2014, nonché al rimborso in favore della controricorrente delle eventuali spese prenotate a debito.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in € 2.500,00 oltre spese prenotate a debito.