Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 novembre 2016, n. 22435

Consorzi - Fattuazione - Mancata fatturazione dei costi sostenuti dal consorzio

 

Fatto

 

Con atto di contestazione relativo all’anno 1999, l’Agenzia delle entrate irrogò la sanzione indicata in atti, in quanto la società, consorziata al consorzio M., al cospetto della mancata fatturazione dei costi sostenuti dal consorzio e da quest’ultimo ribaltati pro quota sulla consorziata senza emettere fattura, non aveva proceduto alla regolarizzazione mediante emissione di autofattura, come prescritto dall’art. 6, 8° co., del d.lgs. 471/97.

L’Agenzia, in particolare, rilevò che il consorzio, il quale per previsione statutaria agiva per uno scopo mutualistico, assumeva il ruolo di mandatario senza rappresentanza dei consorziati, i quali svolgevano l’attività oggetto delle commesse, emettendo fatture al consorzio, il quale corrispondeva somme per l’attività svolta e a propria volta emetteva fatture ai committenti per le opere eseguite. Come si legge in sentenza, tuttavia, il consorzio «contabilmente fattura le operazioni ai committenti e riceve fatture dai commissionari per un importo inferiore», la dove «la differenza viene utilizzata dal Consorzio per la copertura dei costi di gestione...».

Secondo l’ufficio, in particolare, il consorzio aveva operato un'indebita compensazione tra i ricavi che avrebbe dovuto trasferire alla consorziata ed il contributo che quest'ultima doveva al consorzio per il suo funzionamento. Il consorzio avrebbe dovuto, invece, fatturare i propri costi e, in mancanza, avrebbe dovuto provvedervi pro quota ciascuna consorziata mediante autofatturazione.

La società impugnò l’atto di contestazione, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale.

Quella regionale ha respinto l’appello dell’ufficio, ritenendo che l’addebito dei costi alle consorziate sia dovuto soltanto per l’importo eccedente la parte non coperta dalle differenze generate dalle fatture, che il mancato addebito non generi «documenti, ma neutralità fiscale» e che non sia configurabile alcun obbligo di autofattura, in quanto l’attività è svolta anche in favore di committenti non consorziati.

Avverso questa sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate per ottenerne la cassazione, che affida a quattro motivi, cui la società replica con controricorso.

La trattazione del giudizio è stata rinviata in attesa della decisione delle sezioni unite di questa Corte sulla questione di diritto coinvolta. Intervenute la sentenza n. 12190-12191-12192-12193-12194/16, è stata nuovamente fissata la pubblica udienza.

 

Diritto

 

1. - Col secondo e col quarto motivo, proposti ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., da esaminare congiuntamente perché connessi nonché preliminarmente, perché di rilevanza prodromica rispetto ai restanti, l’Agenzia lamenta:

- la violazione e falsa applicazione degli art. 1241, 1706, 1709 e 1719 c.c.degli art. 3, 3° co., 4, 3° co., 13, 2° co.e 15 del d.P.R. 63/72, nonché dell’art. 37-bis 1° co., del d.P.R. 600/73, là dove, al cospetto dell’inquadramento dei rapporti tra consorzio e consorziate nell’ambito del mandato senza rappresentanza, il giudice d’appello ha ritenuto che le somme corrisposte dal consorzio/mandatario alle singole consorziate esauriscano l’intero ricavato spettante alle mandanti, non assumendo rilievo il rimborso delle spese da queste sostenute-secondo motivo;

- la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, 1° ed 8° commi del d.lgs. 471/97 e dell’art. 10, 3° co., l. 212/00, là dove il giudice d’appello ha ritenuto che l’omessa autofatturazione da parte della consorziata dei costi e degli utili ribaltati dal consorzio al quale partecipi configuri una violazione meramente formale, che non dà luogo a debito d’imposta-quarto motivo.

La complessiva censura è fondata nei limiti di seguito precisati.

Le sezioni unite di questa Corte, con le sentenze indicate in narrativa, hanno chiarito che lo scopo mutualistico ben può coesistere con quello di lucro, anche ai fini fiscali. Ciò posto, la distinta soggettività fiscale e l'autonoma responsabilità delle obbligazioni tributarie connesse alle operazioni poste in essere da ciascuna consorziata, nonché dalla società consortile, comportano la necessaria distinzione tra le operazioni realizzate dalla società consortile in esecuzione del patto mutualistico, e quelle costituenti esercizio di un'autonoma attività commerciale della società consortile.

1.1.- Le sezioni unite hanno, peraltro, specificato che alla possibile coesistenza della causa mutualistica con lo scopo lucrativo non corrisponde automaticamente il riconoscimento dell’effettiva sussistenza di entrambi, in pari misura, in una società consortile. Oltre all’accertamento volto a verificare se il ricorso all'organizzazione consortile sia finalizzato unicamente a conseguire un indebito risparmio fiscale (v. Cass. 23/12/2008, nn. 30055, 30056, 30057), occorre pur sempre esaminare, in base alle modalità attraverso le quali è svolta l'attività della società consortile ed alla loro correlazione con gli scopi di volta in volta perseguiti, i rapporti intercorsi tra la società consortile e la consorziata nella fase di assegnazione dei lavori o dei servizi ai singoli consorziati.

1.2.- E’ giustappunto l'accertamento in ordine alla natura delle operazioni o servizi rispettivamente espletati dalla società consortile o dalle consorziate, ed al rapporto sottostante all'assegnazione dei servizi alle consorziate la base per verificare se sia necessario, o no, il ribaltamento integrale o parziale di costi e ricavi.

Qualora, difatti, il consorzio acquisisca una commessa e proceda autonomamente ad eseguirla, indipendentemente dalla partecipazione delle consorziate, non si deve procedere ad alcun ribaltamento di costi tra tutti i consorziati.

Il ribaltamento di costi e di ricavi rimane doveroso, peraltro, nel caso in cui il consorzio, pur avvalendosi di proprie strutture, svolga servizi complementari, comunque correlati alla finalità mutualistica di utilizzo del servizio consortile.

2.- Le sezioni unite hanno quindi individuato le seguenti ipotesi che giustifichino differenze tra quanto fatturato dal consorzio al terzo committente e quanto fatturato dal consorziato al consorzio:

- a) differenza costituita dal costo delle spese di gestione generali ripartito tra i singoli consorziati e addebitato al consorziato in occasione della commissione dei lavori;

- b) differenza costituita dal costo di specifici servizi forniti dal consorzio al consorziato in relazione ai lavori che questo è deputato a svolgere;

- c) differenza costituita dalle provvigioni dovute dal consorziato (mandante) al consorzio (mandatario senza rappresentanza), escluse dall'imponibile IVA, in base all’art. 13 del d.P.R. 633/72;

- d) differenza costituita dal costo e dagli utili per ulteriori servizi forniti solo dal consorzio, quale soggetto imprenditoriale, in favore del terzo committente, in relazione ai lavori posti in essere dal consorziato a seguito della commessa in suo favore.

Nelle prime due ipotesi la differenza del quantum fatturato, nel caso di compensazione tra consorziato e società consortile, in assenza di dettaglio di costi e ricavi, si risolve in un occultamento dei ricavi del consorziato. Costituisce onere del consorziato fornire la prova che tale differenza non sia costituita da ricavi, nel rispetto dei principi di certezza, effettività, inerenza e competenza. Egualmente è onere del consorziato, nelle ulteriori ipotesi, provare che la differenza suddetta sia costituita da provvigioni o da servizi resi dal consorzio al terzo.

2.1.- In particolare, con riguardo alle attività svolte dal consorzio, secondo l’accertamento contenuto in sentenza, nella cornice del mandato senza rappresentanza (come si legge a pag. 2, ultimo capoverso della sentenza impugnata), va sottolineato che il mandato senza rappresentanza riceve ai fini iva una particolare disciplina, in virtù della quale i rapporti tra mandatario e mandante perdono la loro neutralità, assurgendo ad autonomi presupposti per l’applicazione del tributo. Lo si evince dal 3° comma dell’art. 3 del d.P.R. 633/72, secondo cui le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei rapporti tra il mandante e il mandatario, nonché dal 2° comma, lett. b), dell’art. 13 del medesimo decreto Iva, che fissa la base imponibile per le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza ragguagliandola al prezzo di fornitura del servizio pattuito dal mandatario, diminuito della provvigione, e al prezzo di acquisto del servizio ricevuto dal mandatario, aumentato della provvigione.

La ricostruzione è conforme all’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia, secondo cui, nel rapporto di mandato senza rappresentanza, ai fini Iva il mandatario - che agisce in nome proprio, ma per conto del mandante - è come se ricevesse o fornisse i servizi in nome proprio; di conseguenza, nel mandato alla vendita si trasferisce un servizio avente identica natura di quello che, per finzione giuridica, è stato acquisito dal mandatario (Corte giust. 14 luglio 2011, causa C- 464/10; ne fa specifica applicazione, in particolare, Cass. 25285/13).

3.- Ne discende, come statuito dalle stesse sezioni unite, che non è legittima alcuna differenza tra importo fatturato dal mandatario al terzo e dal mandante al mandatario, e quindi, nella specie, dalla singola impresa al consorzio e quello fatturato dal consorzio al terzo, salva la rilevanza fiscale della provvigione, se pattuita e formalizzata. Lo scolorare della causa mutualistica, difatti, non rende incompatibile con lo svolgimento dell’attività consortile la pattuizione di una provvigione, la sussistenza e l’entità della quale vanno provate dalla consorziata.

Erronee dunque sono le statuizioni contenute in sentenza che escludono l’addebito ai soci dei costi, nonché l’autofattura delle consorziate «...essendo sconosciuto quanto attribuibile» ad esse, in quanto violano i principi dinanzi richiamati in tema di onere della prova e di prova.

4.- Manifestamente errata altresì quindi la statuizione contenuta in sentenza, secondo cui «il mancato addebito...genera documenti ma neutralità fiscale».

Basti considerare che, da ultimo, la Corte di giustizia (Corte giust. 28 luglio 2016, causa C-332/15, Astone) ha stabilito che la violazione della "maggior parte" degli obblighi formali di dichiarazione e di registrazione delle fatture comunque è idonea a dimostrare «l ’esistenza del caso più semplice di evasione fiscale, nel quale il soggetto passivo omette deliberatamente di rispettare gli obblighi formali che gli incombono allo scopo di sottrarsi al pagamento dell’imposta» (punto 55).

4.1.- In tal caso, allora, non si prospetta violazione meramente formale, la quale deve rispondere a due concorrenti requisiti: non deve arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, non deve incidere sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo (Cass. 5897/13; 14402/14; 27211/14, 14767/15).

5.- L’accoglimento di tali motivi determina l’assorbimento dei restanti, costruiti su vizi della motivazione, riguardanti l’inadeguatezza del mezzo della compensazione e l’affermazione della facoltatività del ribaltamento dei costi (primo motivo), nonché l’inadeguatezza dello strumento della compensazione sotto altro profilo, in quanto le consorziate non erano in grado di conoscere l’esatta entità della loro partecipazione ai costi dei consorzi (terzo).

6.- Ne conseguono l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione, affinché riesamini la fattispecie alla luce dei principi esposti e regoli le spese.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo ed il quarto motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata nei sensi di cui in motivazione e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione.