Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 30 gennaio 2017, n. 2276

Tributi - IRAP - Accertamento - Notifica appelli a mezzo del servizio postale

 

Fatto e diritto

 

costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue:

Con sentenza n. 312, depositata il 10 marzo 2015, non notificata, la CTR della Liguria ha dichiarato inammissibili gli appelli riuniti proposti dal sig. A.F. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Savona, avverso le sentenze n. 130 e n. 131 del 2012 della CTP di Savona, che solo parzialmente avevano accolto i ricorsi proposti dal contribuente, confermando la sussistenza della contestata società di fatto con i signori C. e V.C., di cui il F. avrebbe rivestito l’indicata qualità, riducendo, per quanto qui rileva, il recupero a tassazione degli importi dovuti per Irap per gli anni 2005 e 2006.

Avverso la pronuncia della CTR il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 36 del d. lgs. n. 175/2014 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. lamentando che erroneamente la CTR ha dichiarato inammissibili gli appelli proposti avverso le impugnate sentenze, notificati a mezzo del servizio postale, per non avere depositato presso la segreteria della CTP di Savona la copia degli appelli medesimi, avuto riguardo al fatto che al tempo della decisione impugnata era già entrato in vigore l’art. 36 del d. lgs. n. 175/2014, che aveva abrogato il secondo periodo del comma 2 dell’art. 53 del d. lgs. n. 546/1992, che prevedeva, a pena d’inammissibilità dell’appello, il suddetto obbligo, rimasto inadempiuto, donde, in difetto di disciplina transitoria, la norma che ne aveva disposto l’abrogazione doveva ritenersi immediatamente applicabile ai processi in corso, precludendo la possibilità di definire con pronuncia in rito i gravami in oggetto.

Il motivo è manifestamente infondato.

Se è certamente vero che la norma di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 546/1992 è norma processuale e che l’art. 36 del d. lgs. n. 175/2014, in vigore dal 13 dicembre 2014, si limita a stabilire che "È soppresso il secondo periodo del comma 2 dell’articolo 53 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546", senza dettare alcuna disciplina transitoria, il principio processuale del tempus regit actum va correttamente inteso nel senso che gli atti perfezionatisi prima dell’entrata in vigore di una novella in materia processuale, ancorché applicabile al processo in corso, in difetto di una disciplina transitoria o di esplicite disposizioni di segno contrario, restino regolati, anche negli effetti, dalla norma sotto il cui imperio sono stati posti in essere (cfr. Cass. sez. 5, 21 dicembre 2011, n. 27971, che, in relazione alla novella processuale proprio dell’art. 53 comma 2 del d.lgs. n. 546/1992 ad opera dell’art. 3 bis comma 7 del d.l. n. 203/2005, convertito, con modificazioni, in l. n. 248/2005, in relazione a ricorso in appello proposto anteriormente all’entrata in vigore della citata norma, anch’essa priva di disposizione transitoria, ne aveva escluso l’applicabilità ad atto perfezionatosi prima della sua entrata in vigore; cfr. anche Cass. sez. 5, 24 febbraio 2015, n. 3633; Cass. sez. 5,12 giugno 2015, n. 12275).

Nel caso di specie il ricorso in appello è stato notificato, non a mezzo di ufficiale giudiziario, nel 2013, allorché era ancora in vigore il secondo periodo del comma 2 dell’art. 53 del d. lgs. n. 546/1992, che prevedeva, nel caso in cui il ricorso non fosse notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, che l’appellante dovesse "a pena d’inammissibilità, depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata".

Gli effetti dell’atto, perfezionatosi nel vigore della norma succitata, restano pertanto dalla stessa disciplinati, quantunque poi abrogata da successiva disposizione entrata in vigore nella pendenza del relativo giudizio.

Quanto sopra comporta l’assorbimento dei restanti motivi.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente alla rifusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto, infine, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente, nella qualità, alla rifusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 510,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 — bis dello stesso articolo 13.