Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 02 novembre 2017, n. 26066

Fallimento ed altre procedure concorsuali - Liquidazione amministrativa - Insinuazione al passivo - Credito professionale per attività giudiziale nell'interesse dell’ente - Mandato conferito in seguito al decreto di estinzione - Divieto di operazioni nuove - Esclusione

 

Fatti di causa

 

E.M. ricorre per cassazione nei confronti di IMAIE - Istituto Mutualistico per la tutela degli Artisti Interpreti ed Esecutori in liquidazione amministrativa, sviluppando due motivi avverso il decreto reso dal Tribunale di Roma in data 4 maggio 2011.

Con tale decreto, il Tribunale ha stabilito - in conformità a quanto già deciso dai Commissari liquidatori dell'ente - l'esclusione dal relativo stato passivo di due crediti da esercizio di professione legale per i quali E.M. insisteva per l'accoglimento della richiesta insinuazione.

Nei confronti del ricorso così proposto resiste l'Ente in liquidazione, in persona dei suoi liquidatori, che ha depositato apposito controricorso.

E.M. ha depositato pure memoria ex artt. 380 bis cod. proc. civ.

 

Ragioni della decisione

 

1. - I motivi di ricorso, articolati da E.M., denunziano i vizi qui di seguito richiamati.

Il primo motivo in via segnata lamenta «violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 29 cod. civ., 18 legge fall., 2909 cod. civ. e 24 Cost.».

Il secondo motivo assume a sua volta «violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., del principio del ne bis in idem, dell'art. 19 cod. civ. in combinato disposto con l'art. 75 comma 3 cod. proc. civ., del principio del legittimo affidamento del terzo in buona fede, nonché degli artt. 2697 e 2724 n. 1 cod. civ.».

2. - Il primo motivo concerne un credito, che E.M. pretende per lo svolgimento di attività giudiziale avanti al Tribunale Amministrativo Regionale nell'interesse di IMAIE, come specificamente intesa a ottenere l'annullamento il decreto di «estinzione» dell'ente disposto dal Prefetto della Provincia di Roma il 30 aprile 2009.

Il Tribunale romano - constatato che l'incarico a difendere l'Ente è stato conferito dal legale rappresentante dello stesso (e poi «ratificato» dal Consiglio di amministrazione) in epoca successiva all'emanazione del decreto prefettizio declaratorio dell'estinzione - ha rilevato che detto mandato urta contro il divieto di «nuove operazioni» stabilito dall'art. 29 cod. civ. per il genere delle persone giuridiche.

Assunta una simile prospettiva, il Tribunale ha poi rilevato che «l'atto compiuto in violazione del divieto inserito nell'art. 29 cod. civ. è inesistente per l'ente e non ratificabile»; e ha altresì aggiunto che «con l'estinzione di IMAIE furono nominati i liquidatori» e che «nessun mandato fu conferito all'avv. M. da parte dei liquidatori».

Tutto questo per concludere che bene hanno fatto i commissari liquidatori a negare tutela al credito dell'avv. M. in ragione «della nullità e/o inesistenza dell'originario mandato».

3. - Di fronte alla motivazione svolta in tali termini dal Tribunale, il motivo di ricorso assume che il «Tribunale ha fondato la propria decisione su un'erronea interpretazione dell'art. 29 cod. civ., ritenendo in sostanza che una persona giuridica, nel caso sia dichiarata estinta mediante un provvedimento amministrativo, nonostante sia direttamente pregiudicata da tale atto, non possa adire l'Autorità giudiziaria per tutelare il suo diritto a esistere». «Una simile soluzione» - si prosegue - «non appare evidentemente accettabile, in quanto comporta palese violazione del diritto di difesa dell'IMAIE, così come garantito dall'art. 24 Cost.».

L'art. 29 cod. civ. si riferisce - così si conclude - «all'impossibilità per gli amministratori ... di compiere non ogni atto, bensì solo nuove "operazioni", intendendosi ... operazioni di carattere economico gestorio e non certo il conferimento di mandato alle liti a un legale per impugnare il provvedimento con cui si è illegittimamente dichiarata l'estinzione dell'ente in danno di tutti gli associati, collettivamente intesi».

4. - Il motivo è da ritenere fondato, nei termini che si vengono a esporre.

Non v'è dubbio - va rilevato, prima di tutto - che la ratio deciderteli della decisione assunta dal Tribunale romano riposi propriamente su una data interpretazione della norma dell'art. 29 cod. civ. Tale interpretazione - va, peraltro, pure subito aggiunto - non può ritenersi corretta.

La funzione del divieto, di cui alla norma, si pone in coerenza con una definitiva destinazione dell'ente alla sua liquidazione; sì che nell'arco dello stesso non rientrano - secondo quanto comunemente si ritiene, del resto - le attività svolte alla mera gestione e conservazione del relativo patrimonio. A maggior ragione, allora, non può ricadere nell'ambito del divieto l'attività che metta in discussione - sotto il profilo giuridico, naturalmente - la sussistenza dei presupposti che possano legittimare la stessa «soppressione» della persona giuridica. Secondo quanto è propriamente accaduto, in effetti, nel caso concretamente in esame.

Per il rilievo che gli amministratori hanno il «potere-dovere di compiere», dopo l'avvenuto scioglimento dell'ente, «gli atti negoziali ... necessari al fine di preservare l'integrità patrimoniale» dell'ente si veda, con riferimento alla vicina fattispecie dello scioglimento delle società commerciali, Cass., 5 febbraio 2015, n. 2156. Per la constatazione, poi, che «non rientra nel divieto di nuove operazioni» il conferimento di «un mandato alle liti per la proposizione di un'azione giudiziale volta a incrementare o ripristinare la consistenza patrimoniale dell'ente», v., sempre con diretto riguardo al fenomeno societario, la pronuncia di Cass., 15 marzo 2012, n. 4143.

5. - Riscontrato che la fattispecie concreta non rientra nell'ambito applicativo del divieto dei cui alla norma dell'art. 29 cod. civ., sembra cadere pure l'ulteriore rilievo - svolto dal Tribunale in via per così dire accessoria (se non contraddittoria, non potendo ipotizzarsi che il divieto di nuove operazioni non valga pure per i liquidatori) -, per cui, comportando la dichiarata estinzione dell'ente la nomina di liquidatori, l'incarico difensivo avrebbe dovuto provenire (semmai) da questi ultimi.

Ché, in effetti, se i liquidatori hanno la funzione di svolgere e portare a compimento la liquidazione dell'ente, agli stessi non compete proprio quella di proteggere la permanenza (e la vitalità, in prospettiva) dell'ente. Tanto meno se l'azione giudiziale, a cui fa riferimento l'incarico giudiziale, è direttamente intesa a far dichiarare l'inesistenza e/o l'invalidità del provvedimento prefettizio di (estinzione dell'ente e di correlata) nomina dei liquidatori.

6. - Il secondo motivo di ricorso riguarda l'attività professionale svolta da E.M. nell'interesse di IMAIE nella successiva fase giudiziale tenutasi avanti al Consiglio di Stato, dopo che il TAR ha accolto l'istanza cautelare di sospensione del provvedimento prefettizio di «estinzione» dell'ente.

Il Tribunale romano - constatato che, in quel periodo, l'ente era «ritornato (sia pur in via provvisoria) a esistere giuridicamente» - ha peraltro ritenuto di escludere il credito relativo alla detta attività, rilevando che «le forme di conferimento della procura non possono essere surrogate da semplici presunzioni e/o da prove testimoniali in mancanza di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata dalla quale risulti con certezza l'attribuzione del potere di rappresentanza processuale» e che l'opponente M. non aveva per l'appunto fornito documentazione di tale genere.

7. - Il motivo sviluppato dal ricorrente contesta la motivazione svolta dal Tribunale, sostanzialmente osservando che l'«accertamento giudiziale in ordine alla sussistenza» della documentazione «relativa al conferimento del mandato all'avv. M. poteva essere effettuato soltanto nel giudizio dinanzi al Consiglio di Stato». E constatando che «né l'Avvocatura dello Stato, costituitasi nell'interesse dell'IAIE in l.c.a., né gli altri contro interessati, hanno eccepito alcun vizio attinente alla validità della procura, né il Consiglio di Stato, nella sua ordinanza n. 3539, ha reputato sussistente un simile vizio».

Ancora assume il motivo che, comunque, la questione attinente alla documentazione relativa alla procura poteva casomai riguardare il «rapporto interno» all'ente, non «certo coinvolgere l'avv. M., in quale, in perfetta buona fede, ha ritenuto di ben difendere in giudizio l'ente, avendo ricevuto la procura alle liti nell'interesse dell'IMAIE da parte di quel soggetto che ufficialmente risultava in quel momento il Presidente e il legale rappresentante dell'ente, nonché a fronte dell'esibizione di una copia della delibera assembleare del 6 luglio 2009 avente ad oggetto il conferimento dell'incarico».

8. - Il motivo è fondato, secondo i termini che seguono.

Posto che, nella specie, il giudizio verte sul diritto al compenso dei E.M. per attività giudiziale svolta nell'interesse di IMAIE, non appare corretto fare riferimento - come procede per contro il Tribunale - alla figura, e alla disciplina legale, della procura alle liti, con le limitazioni anche probatorie che ne conseguono.

In proposito rilevante si manifesta, piuttosto, il conferimento di un apposito mandato difensivo da parte dell'Ente e il diligente svolgimento dello stesso da parte del mandatario incaricato. Sia il primo, che il secondo di tali aspetti, peraltro, non risultano soffrire di particolari limitazione di ordine probatorio. D'altro canto, non risulta contestato che E.M. abbia effettivamente svolto attività difensiva di IMAIE avanti al Consiglio di Stato; come pure appare pacifico che nessuno ha sollevato eccezioni, o anche solo rilievi e perplessità, rispetto a tale attività.

9. In conclusione, il ricorso va accolto e l'impugnato decreto cassato con rinvio della controversia al Tribunale di Roma che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo e il secondo motivo di ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia la controversia al Tribunale di Roma che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.