Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 22 marzo 2017, n. 7342

Inail - Infortunio - Inabilità temporanea - Illecito arricchimento - Risoluzione del rapporto di lavoro - Transazione

 

Fatti di causa

 

1. Con la sentenza dell'8.11.2013 la Corte di appello di Trento respingeva l'appello proposto da I.B. s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale di Rovereto del 18.122012 che aveva rigettato la domanda della detta società diretta alla condanna di C.L. alla restituzione della somma di euro 6.319,26 versata allo stesso C. dall'Inail o in via subordinata alla condanna del C. al pagamento della medesima somma per violazione degli obblighi di correttezza e buona fede o quanto meno per arricchimento senza causa. La I.B. aveva dedotto in primo grado di aver richiesto all'Inail che in relazione all'infortunio occorso al L.C. le venisse erogata la somma già anticipata al lavoratore per inabilità temporanea e che il rapporto di lavoro era stato risolto con una transazione con la quale era stato corrisposta la somma di 30.000,00 a titolo di incentivo all'esodo; l'INAIL le aveva poi comunicato poi che la somma di euro 6.319,26 era già stata corrisposta al lavoratore. Chiedeva pertanto la restituzione della somma. Il C. resisteva deducendo di non dover restituire nulla in quanto i rapporti tra le parti erano stati definiti con transazione.

2. A fondamento della propria decisione la Corte territoriale osservava che dalla transazione effettuata dalle parti emergeva la volontà di chiudere ogni rapporto pendente anche di ordine potenziale connesso al rapporto di lavoro e che la transazione non era stata impugnata non essendo mai stata proposta un'azione di annullamento della stessa. Anche la domanda per illecito arricchimento era infondata posto che l'azione di cui all'art. 2041 mira a sopperire la mancanza di un'azione tipica che nella specie invece sussisteva ed era rappresentata dall'azione di annullamento della citata transazione mai proposta. Anche le censure in ordine alla non correttezza e buona fede del lavoratore apparivano infondate perché in realtà riferite al momento della stipula della transazione (e non in sede di esecuzione) e quindi inconferenti posto che non vi era una domanda di annullamento della stessa. Non vi era interesse ad accertare la legittimazione attiva e passiva della società (eccezione sollevata dal C.) essendo il lavoratore vittorioso.

3. Per la cassazione propone ricorso la I.B. spa con tre motivi; resiste con controricorso il C. che ha depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo si allega la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare con riferimento agli artt. 1965 e 1975 cod. civ. Non impugnabilità della transazione. La transazione non doveva essere impugnata dalla società in quanto idonea a regolare tutti i rapporti tra le parti. La società era venuta a conoscenza della percezione da parte del lavoratore della somma spettante per infortunio solo dopo la sottoscrizione della transazione ed il rapporto di cui si discute a carattere triangolare tra INAIL, lavoratore e società non era relativo al rapporto di lavoro.

2. Con il secondo motivo si allega la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare con riferimento agli artt. 1965 e 1975 cod. civ. Non impugnabilità della transazione e conseguente esperibilità dell'azione residuale di cui all'art. 2041 cod. civ. La transazione non poteva e doveva essere impugnata e non avrebbe costituito un'azione diretta allo scopo di ottenere la somma percepita dal lavoratore da parte dell'Inail.

3. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente essendo tra loro collegati ed appaiono infondati. Infatti, a parte i profili di inammissibilità degli stessi in quanto si deduce che la transazione non poteva e doveva essere impugnata ma senza né la produzione né la riproduzione del contenuto del detto atto, emerge dalla sentenza impugnata che le parti abbiano in effetti definito ogni rapporto, anche di natura "potenziale" in relazione al pregresso rapporto di lavoro in relazione alla corresponsione della somma di denaro ricordate in premessa. Non può negarsi che la vicenda relativa all'indennità temporanea spettante al lavoratore in dipendenza da infortunio sul lavoro sia riconducibile al rapporto di lavoro trattandosi di un evento occorso durante il rapporto ed in occasione dello svolgimento di attività lavorativa per conto della società: pertanto il datore di lavoro poteva contestare l'avvenuta definizione di ogni pendenza tra le parti (anche di natura "potenziale" sottolinea la sentenza impugnata) solo impugnando l'atto transattivo con il quale ogni reciproca pretesa si dava per risolta con una domanda di annullamento della stessa, il che non è avvenuto. Viene quindi a mancare il presupposto stesso di una ridiscussione dei rapporti tra le parti: essendovi - come già sottolineato dalla sentenza impugnata - un'azione specifica che non è stata esperita non è possibile nemmeno il ricorso a quella meramente sussidiaria.

4. Con il terzo motivo si allega l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Mancata valutazione della volontà delle parti. Non conoscendo l'avvenuta percezione della somma da parte dell'INAIL la società non era nelle condizioni di esprimere alcuna valida volontà transattiva.

5. Il motivo appare inammissibile in quanto la sentenza impugnata ha già valutato il profilo (il "fatto") del rispetto o meno dei principi di correttezza e buona fede nelle fase precedenti la stipula della transazione rilevando che, comunque, per valutare questo profilo occorreva però chiedere l'annullamento della stessa, come già detto mai richiesto. La motivazione sul punto pertanto è stata offerta ed appare condivisibile e non vi è stata alcuna omissione motivazionale; le censure peraltro non sono coerenti con la nuova formulazione dell'art. 360 n. 5 cod. prov. civ., applicabile ratione temporis.

6. Si deve quindi rigettare il ricorso: le spese di lite del giudizio di legittimità, liquidate come al dispositivo, seguono la soccombenza.

7. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 100,00 per esborsi ed in euro 3.000,00 per compensi oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.