Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 marzo 2017, n. 6722

Tributi - Accertamento fiscale - Intermediazione di manodopera

 

Fatti di causa

 

Su ricorsi della I.C. s.r.l., la Commissione tributaria provinciale di Udine annullava due avvisi di accertamento e due avvisi di irrogazione sanzioni emessi nei confronti della società per riprese fiscali sugli anni d'imposta 2003 e 2004 concernenti l'impiego di manodopera intermediata da tali B. s.a.s. e B. s.r.l.

La Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia respingeva l'appello dell'Agenzia delle entrate.

L'Agenzia ricorre per cassazione sulla base di quattro motivi.

La I.C. s.r.l., ora F.C. s.r.l., resiste mediante controricorso; deposita altresì istanza di riunione con procedimento connesso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Non può essere accolta l'istanza di riunione formulata dalla controricorrente, trattandosi di procedimenti relativi a differenti annualità d'imposta.

2. La controricorrente eccepisce l'inammissibilità dell'odierno ricorso per difetto di autosufficienza e tuttavia l'eccezione è infondata, poiché il ricorso sottopone alla Corte questioni di mero diritto, chiaramente definite e autonomamente esaminabili.

3. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1 I. n. 1369 del 1960, art. 27 d.lgs. n. 276 del 2003, art. 23 d.P.R. n. 600 del 1973, art. 75 d.P.R. n. 917 del 1986, per aver il giudice d'appello dichiarato che anche in caso di interposizione fittizia di manodopera il fruitore della prestazione è tenuto ad effettuare le ritenute alla fonte solo ove abbia pagato la retribuzione ai lavoratori.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione delle stesse norme, per aver il giudice d'appello dichiarato che in ogni caso non sarebbe possibile contestare l'omissione delle ritenute per lavoratori non individuati nominativamente.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1 I. n. 1369 del 1960, art. 27 d.lgs. n. 276 del 2003, art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972, per aver il giudice d'appello dichiarato che l'IVA esposta in fattura dal simulato appaltatore possa essere detratta dal committente finché il lavoratore non abbia ottenuto una pronuncia costitutiva del rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo.

I motivi sono logicamente connessi e vanno scrutinati insieme.

3.1. I motivi sono fondati nei seguenti termini, correlati al mutamento normativo che ha impresso una cesura temporale nella fattispecie concreta (anni d'imposta 2003 e 2004).

Nel vigore della I. n. 1369 del 1960, i prestatori di lavoro occupati in violazione del divieto di intermediazione di manodopera erano considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'imprenditore che ne utilizzava effettivamente le prestazioni, sul quale incombevano quindi - oltre agli obblighi di trattamento economico e normativo scaturenti dal rapporto di lavoro - anche gli obblighi fiscali del datore di lavoro, inclusi gli obblighi del sostituto d'imposta per le ritenute d'acconto sulle retribuzioni a norma dell'art. 23 d.P.R. n. 600 del 1973 (Cass. 31 maggio 2013, n. 13748, Rv. 627185).

In quel regime, mancando un valido rapporto contrattuale tra interponente e intermediario, la fatturazione da parte del secondo non legittimava il primo a detrarre l'IVA corrispondente, né gli consentiva di dedurre i pertinenti costi dal reddito imponibile (Cass. 17 ottobre 2014, n. 22020, Rv. 632765).

La disciplina introdotta dal d.lgs. n. 276 del 2003 ha radicalmente mutato il quadro normativo.

La somministrazione irregolare determina la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell'utilizzatore soltanto in presenza di un'esplicita richiesta del lavoratore, sicché non è più possibile - a differenza che nel regime anteriore - far gravare automaticamente sull'utilizzatore l'obbligo di ritenuta sui redditi di lavoro dipendente, essendo a tal fine necessaria l'instaurazione del rapporto di lavoro su domanda del lavoratore, oltre al mancato pagamento liberatorio del somministratore (Cass. 11 dicembre 2015, n. 25014, Rv. 637672).

Il giudice d'appello avrebbe dovuto discernerne la fattispecie concreta ratione temporis, perché il canone tempus regit actum comporta che la I. n. 1369 del 1960 si applichi ancora alle ipotesi ricadenti nel periodo anteriore all'entrata in vigore del d.lgs. n. 276 del 2003 (Cass. 12 ottobre 2006, n. 21818, Rv. 592205).

Le conseguenze della distinzione su base temporale non risentono dell'omessa individuazione nominativa dei lavoratori delle cui ritenute si discute, non essendo condivisibile il rilievo del giudice d'appello sull'impossibilità della rivalsa obbligatoria: trattandosi di soggetti quantomeno identificabili (le cui prestazioni sono state invero fatturate), il sostituto d'imposta mantiene l'obbligo di versare la ritenuta d'acconto in perpetuano obligationis, essendogli consentito rivalersi sui sostituiti tramite la c.d. rivalsa successiva (Cass. 9 dicembre 2002, n. 17515, Rv. 559088).

4. Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1 I. n. 1369 del 1960, art. 27 d.lgs. n. 276 del 2003, art. 5 d.lgs. n. 446 del 1997, per aver il giudice d'appello dichiarato che la rinuncia in autotutela alle riprese basate sulla rilevanza penale delle deduzioni di costo ai fini delle imposte sui redditi ha estinto il giudizio anche per le riprese ai fini dell'IRAP.

4.1. Il motivo è inammissibile.

La sentenza d'appello riferisce che il provvedimento in autotutela annullò i rilievi di indeducibilità dei costi per fatti-reato con testuale riguardo alla «conseguente rideterminazione della base imponibile ai fini delle imposte dirette e dell'IRAP».

Nell'economia della decisione d'appello, quindi, l'estensione del provvedimento per specie d'imposta non consegue a un giudizio di diritto, ma a una percezione di fatto, impugnabile solo per vizio revocatorio.

5. Inammissibile il quarto motivo, il ricorso deve essere accolto in relazione ai primi tre; il giudice di rinvio svolgerà un nuovo esame attenendosi ai principi di diritto enunciati nel § 3.1. e infine regolerà le spese processuali, anche per il giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso nei primi tre motivi; dichiara inammissibile il quarto; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.