Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 24 aprile 2018, n. 10084

Contratto di lavoro a tempo determinato - Apposizione del termine anteriore, o contestuale, all'inizio del rapporto di lavoro - Apposizione al contratto in un momento successivo all'inizio del rapporto - Termine affetto da nullità

Rilevato che

 

La Corte d'Appello di Roma, con sentenza resa pubblica in data 20/4/2012, in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro a tempo determinato stipulato fra la Fondazione Accademia Nazionale di S.C. ed A. M. S. per il periodo 16-21/3/2000, affermava il diritto alla riammissione in servizio della ricorrente e condannava la Fondazione al pagamento di un'indennità risarcitoria pari a cinque mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto ai sensi dell'art.32 c.5 l. 183/2010.

La Corte distrettuale perveniva a tali conclusioni, in estrema sintesi, sul rilievo che :1) non era configurabile una risoluzione del rapporto di lavoro inter partes per mutuo consenso; 2) il termine era da ritenersi affetto da nullità, essendo stato apposto al contratto in un momento successivo all'inizio del rapporto lavorativo; 3) inapplicabile alla fattispecie erano i dettami di cui all'art. 1 comma 5 legge n.230/1962 secondo cui la forma scritta non è necessaria quando la durata del rapporto puramente occasionale non sia superiore ai dodici giorni lavorativi, essendo il contratto scrutinato inserito in un'ampia serie negoziale intercorsa fra le medesime parti incompatibile con una nozione di occasionalità del rapporto come postulata dalla richiamata disposizione; 4) non ostativa alla instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato fra le parti era da ritenersi la disposizione di cui all'art. 3 comma 6 d.l. n.64 del 2010 conv. in I. n.100/2010 giacché il richiamo ivi disposto all'art.3 c.4 e 5 I. n. 426/1977 che sanciva il divieto dei rinnovi dei contratti a termine comportanti la trasformazione in contratti a tempo indeterminato, non poteva reputarsi estensibile alle ipotesi in cui la conversione fosse conseguenza di vizi genetici che inficiavano la clausola di durata apposta al singolo contratto in sé considerato.

La cassazione di tale pronuncia è domandata dalla Fondazione Accademia Nazionale di S. C. sulla base di sette motivi, successivamente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste con controricorso la parte intimata.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo è denunciata violazione degli artt. 1326 e 1375 c.c. in relazione all'art. 360 comma primo nn.3 e 5.

Ci si duole, in sintesi, che la corte territoriale abbia respinto l'eccezione di risoluzione del contratto per mutuo consenso, non conferendo adeguato peso probatorio alle ulteriori circostanze, parimenti allegate (quale il reperimento di altra occupazione), che concorrevano a definire la volontà delle parti nel senso di una risoluzione del rapporto.

2. Il motivo è infondato.

Deve rilevarsi come questa Corte abbia più volte affermato il principio alla cui stregua "nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell'illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata — sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative — una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto" (vedi, ex plurimis, Cass. 31-3-15 n.6549, Cass. 13-8-14 n.17940, in motivazione Cass.S.U. 27-10-2016 n. 21691).

Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevandosi, inoltre che, come pure è stato precisato, "grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l'onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro" (vedi, ex plurimis, Cass. 2- 12-2002 n. 17070, Cass.4-8-2011 n.16932).

3. Nella specie la Corte d'Appello ha osservato che il decorso del tempo è solo uno dei possibili elementi oggetto della indagine giudiziale, cui devono aggiungersi elementi positivi ed univoci che obiettivamente depongano per l'avvenuto scioglimento del contratto; ha, quindi, rimarcato che la mancanza di ogni diversa allegazione di altre condotte del lavoratore, concludenti nel senso di una implicita volontà solutoria del rapporto, dovevano far escludere una presunzione fondante un'ipotesi di scioglimento di quello per mutuo consenso; né sono stati ritenuti elementi significativi in tal senso l'accettazione del tfr o il reperimento di altra occupazione, considerato che, quanto a tale ultimo aspetto, "le occupazioni reperite dall'appellante dopo il giugno 2003 e sino all'atto di messa in mora risultano essere avvenute tutte in rapporti di brevissima durata".

La motivazione, congrua e completa per quanto sinora detto, si sottrae alla censura all'esame.

4. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1 comma 3 l. 230/62 nonché motivazione contraddittoria ed insufficiente su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360 comma primo n.3 e 5.

Si stigmatizza la sentenza impugnata per avere dichiarato la nullità del termine apposto al contratto in quanto sottoscritto in una data successiva a quella di inizio effettivo delle prestazioni da parte della lavoratrice.

Si deduce che la prestazione resa da quest'ultima era inferiore ai dodici giorni lavorativi previsti dall'art. 1 comma 5 l. 230/62, in relazione ai contratti di lavoro di natura puramente occasionale, per la adozione della forma scritta ad substantiam, e che il contratto oggetto di scrutinio concerneva una scrittura artistica relativa ad una singola produzione, di pochi giorni lavorativi, sicché ben poteva integrare un rapporto puramente occasionale in coerenza con i dettami della richiamata disposizione.

5. Il motivo è infondato.

L'art. 1 c.5 I. 230 del 1962 così dispone: "la scrittura non è tuttavia necessaria quando la durata del rapporto puramente occasionale non sia superiore ai dodici giorni lavorativi". Secondo il significato proprio delle parole, che è canone ermeneutico essenziale ai sensi dell'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, l'esenzione dall'obbligo di adozione della forma scritta ad substantiam, non è collegata esclusivamente ad un dato numerico inerente al numero dei giorni di lavoro in relazione ai quali è richiesta la prestazione, ma anche ad un ulteriore elemento qualitativo dettato dalla natura occasionale del rapporto.

In coerenza coi dettami della disposizione riportati, immune da censure è l'opzione interpretativa seguita dal giudice a quo il quale ha valorizzato, con riferimento al requisito della "pura" occasionalità del rapporto, la circostanza che la ricorrente, dal giugno 1996 e sino al giugno 2003, aveva sottoscritto varie decine di contratti a termine, precisando che nell'anno 2000, la sottoscrizione del contratto era stata preceduta da altri due contratti di scrittura artistica a tempo determinato ed era stata seguita dalla sottoscrizione di altri cinque analoghi contratti.

Ha quindi dedotto, con approccio coerente con gli enunciati canoni ermeneutici, che nella specie la prestazione lavorativa non poteva essere intesa in termini di pura occasionalità, concetto che presuppone la necessità da parte aziendale di far fronte a peculiari esigenze destinate a non ripetersi negli stessi tempi e con le stesse modalità e che, come tali sfuggono ad ogni possibile programmazione, rendendo così coerente con il sistema una prestazione tanto limitata nel tempo e priva della garanzia rappresentata dalla forma scritta.

Si tratta di argomentazioni che, coerenti con la ratio e la lettera della disposizione scrutinata, rendono la statuizione immune dalle formulate censure.

Né significativo è il richiamo alla pronuncia emessa da questa Corte di cui al n.18512 del 2016, contenuto nelle note illustrative depositate da parte ricorrente, giacché in detta pronuncia era stata confermata la statuizione del giudice del gravame, il quale aveva riscontrato la ricorrenza del requisito della occasionalità della prestazione lavorativa resa, con valutazione ritenuta incensurabile perché esente da vizi logici o errori di diritto.

6. Il terzo motivo prospetta violazione e falsa applicazione degli artt.1326 - 1350 c.c. e dell'art. 1 l. 230/62 per avere la Corte di merito dichiarato l'inefficacia della apposizione del termine in ragione della asserita posteriore sottoscrizione delle parti rispetto all'inizio della prestazione.

Si stigmatizza l'impugnata sentenza per aver erroneamente qualificato il contratto di lavoro a tempo determinato "cui la legge imporrebbe ad substantiam la conclusione in forma scritta", vigendo in materia negoziale, il generale principio di libertà di forme e non risultando previsto da alcun "testo normativo la specifica richiesta della forma scritta per il contratto, in quanto è soltanto la clausola appositiva del termine che necessita di tale veste formale"

7. Il motivo va disatteso per i motivi di seguito esposti.

Occorre premettere che ai sensi dell'art. 1, comma 3 e 5, legge 18 aprile 1962 n. 230 - applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis - l'apposizione di un termine ad un contratto di lavoro è da ritenersi priva di effetto se non risulta da atto scritto, a meno che la durata del rapporto di lavoro, puramente occasionale, non superi i dodici giorni.

La ratio sottesa alla forma scritta va individuata nello sfavore che il legislatore aveva mostrato verso il contratto di lavoro a termine, non di rado utilizzato per eludere le disposizioni di legge poste a garanzia del lavoratore, e nell'esigenza che attraverso l'imposizione di detta forma le parti contrattuali prendano piena coscienza dei reciproci obblighi e diritti.

E' dato altresì fermo nella giurisprudenza di legittimità, che la forma scritta riguardante non l’intero contratto ma solo la clausola che appone il termine (cfr. in tali sensi: Cass. 11/12/2002 n. 17674, Cass. 27/2/1998 n. 2211; Cass. 8/7/1995 n. 7507) è richiesta ad substantiam, e la sua mancanza fa sì che il contratto si reputi a tempo indeterminato.

Nell'ottica descritta, questa Corte ha affermato il principio che va qui ribadito, secondo cui l’apposizione del termine al contratto di lavoro, oltre che risultare da atto scritto, deve essere coeva od anteriore all’inizio del rapporto lavorativo, anche se non è però richiesto che la dichiarazione di volontà e l’apposizione del termine siano contenuti in un unico documento, perché il requisito della forma scritta viene osservato anche allorquando la sottoscrizione del lavoratore sia contenuta in un documento a sé, costituente accettazione di una proposta, anche essa scritta, di contratto a termine formulata dal datore di lavoro, ed il contratto sia concluso, ai sensi dell’art. 1326 c.c., prima o contemporaneamente all'inizio della prestazione (cfr. ex plurimis: Cass. 19/7/2002 n. 10607, Cass. 14/12/2001 n. 15801, Cass. 27/2/1998 n. 2211 cit.; Cass., Sez. Un., 5/10/1984 n. 4979).

Più di recente è stato ribadito che per effetto del disposto dell'art. 1 l. n. 230/1962 l'apposizione, al contratto di lavoro, del termine o l'indicazione della circostanza che tale termine implichi, postula a pena di nullità un patto in forma scritta ad substantiam, che deve essere anteriore, o quanto meno contestuale, all'inizio del rapporto e non può essere surrogato ne da dichiarazioni scritte unilaterali delle parti (come la richiesta di avviamento del datore di lavoro) o di un terzo (quale il provvedimento di avviamento dell'Ufficio di collocamento) né da accordi verbali tra le parti, sicché, in difetto di tale valida apposizione del termine, il contratto si reputa a tempo indeterminato (cfr. Cass. 15/07/2009 n. 16473 cui adde Cass. 14/7/2011 n. 15494).

8. Orbene, la Corte distrettuale, nel proprio incedere argomentativo, ed in applicazione dei summenzionati principi, ha bene rimarcato come nello specifico, la clausola di apposizione del termine non potesse reputarsi stilata in forma scritta anteriormente o contestualmente all'inizio del rapporto, giacché l'inizio delle prestazioni era stato fissato nel giorno 16 marzo 2000, mentre la sottoscrizione delle parti risultava apposta in calce al contratto in data 17 marzo 2000, quindi, in violazione delle disposizioni e dei principi innanzi richiamati, successivamente all'inizio del rapporto.

Anche sotto tale profilo, la pronuncia si sottrae, dunque, alle censure all'esame.

9. La quarta critica attiene alla violazione e falsa applicazione dell'art. 3 l. 426/1977 in relazione all'art. 113 c.p.c.. Si censura la statuizione della Corte di merito con cui è stata disposta la conversione del contratto in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in ¡spregio della normativa di settore applicabile alle fondazioni Lirico Sinfoniche.

10. Il quinto motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell'art. 1 c. 595 I. 23/12/2005 n. 266 (legge finanziaria 2006) art. 2 c. 392 l. 244/2007 (legge finanziaria 2008) e art.3 c.5 di n.64/2010. Si lamenta che gli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito vulnerino il principio del divieto di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato sancito dalle disposizioni di legge richiamate.

11. Con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art.1 c.c.n.I. dipendenti dalle fondazioni lirico sinfoniche che prevedono il per procedere all'assunzione, il previo espletamento di una pubblica selezione concorsuale.

12. I motivi, la cui trattazione congiunta è consentita, postulando la soluzione di questioni giuridiche connesse, sono privi di fondamento. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedi Cass. 20/3/2014 n.6547), successivamente alla trasformazione delle Fondazioni lirico sinfoniche (a partire, dunque, dal 23 maggio 1998), e fino all'entrata in vigore del D. Lgs. n. 368 del 2001, ai contratti di lavoro a termine stipulati da dette Fondazioni si applica la disciplina prevista dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, con l'unica esclusione costituita dell'art. 2 legge cit., relativa alle proroghe, alla prosecuzione ed ai rinnovi dei contratti a tempo determinato, come stabilito dal D. Lgs. n. 367 del 1996, art. 22.

Dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, ai contratti di lavoro a termine stipulati dal Personale delle Fondazioni lirico-sinfoniche previste dal D.Lgs. n. 367 del 1996, si applicano le disposizioni di cui ai D.Lgs. n. 368 del 2001, con le uniche esclusioni costituite dall'art. 4, relativo alle proroghe, e dall'art. 5, relativo alle prosecuzioni ed ai rinnovi, come stabilito da detto decreto legislativo, art. 11, comma 4; la violazione "delle norme che prevedono la forma scritta ad substantiam e la specifica indicazione della causale, devono essere riportate nell'ambito della disciplina ordinaria del contratto di lavoro a tempo determinato, con la conseguente conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato" (sent. cit.).

Tale ricognizione del quadro normativo ha trovato corrispondenza nella sentenza della Corte costituzionale n.260, 11 dicembre 2015, che ha richiamato non solo Cass. n. 6547/2014 già citata, ma anche Cass. n. 10924, n. 10217, n. 7243, n. 5748 del 2014, oltre alle più risalenti Cass. n. 18263 del 2013 n. 11573 del 2011, quali espressione di un "orientamento conforme" e "restrittivo" nel sancire che il divieto di conversione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato per le fondazioni liriche è circoscritto alla materia dei rinnovi e a quella connessa delle proroghe, ma non investe ogni ipotesi di violazione delle norme sulla stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine.

Il giudice delle leggi ha così dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 40, comma 1-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, nella parte in cui prevede che l'art. 3, comma 6, primo periodo, del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 29 giugno 2010, n. 100, si interpreta nel senso che alle fondazioni liricosinfoniche, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, non si applicano le disposizioni di legge che prevedono la stabilizzazione del rapporto di lavoro come conseguenza della violazione delle norme in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine".

Ha ritenuto, infatti, che la norma impugnata non enuclea una plausibile variante di senso dell'art. 3, comma 6, primo periodo, del d.l. n. 64 del 2010 e dell'art. 3, quarto e quinto comma, della legge n. 426 del 1977, in quanto "la norma, oggetto di interpretazione, contiene un riferimento specifico ai rinnovi dei contratti a termine".

Alla stregua del significato proprio delle parole - continua la Corte - che è canone ermeneutico essenziale (art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale), il vocabolo "rinnovo" evoca un concetto diverso rispetto a quello dell'illegittimità del termine, apposto al primo contratto. Se il rinnovo attiene alla successione dei contratti e all'aspetto dinamico del rapporto negoziale, la questione scrutinata nel giudizio principale verte su un vizio genetico, che inficia il contratto sin dall'origine". Con il che risulta inequivocabilmente avallata la giurisprudenza di legittimità innanzi riportata sull'interpretazione dello stesso art. 3, co. 6, d.l. n. 64/2010, conv. in I. n. 100/2010, oggetto della norma interpretativa dichiarata incostituzionale. Secondo la Corte costituzionale "la disposizione impugnata, che non interferisce con il divieto di stabilizzazione nelle ipotesi di proroghe e di rinnovi illegittimi, opera in una latitudine circoscritta e riguarda la sola ipotesi della violazione delle norme sull'illegittima apposizione del termine", così ledendo in pari tempo, per la sua natura retroattiva, "l'affidamento dei consociati nella sicurezza giuridica e le attribuzioni costituzionali dell'autorità giudiziaria" (vedi in motivazione Cass. 28/9/2016 n. 19189).

Né appare scrutinabile la questione sollevata con il sesto motivo dalla ricorrente in relazione alla compatibilità della soluzione adottata dalla Corte capitolina in tema di conversione del contratto a termine nullo, coi dettami della contrattazione collettiva di settore, che fa divieto di assunzione di lavoratori a tempo indeterminato se non previo espletamento di una pubblica selezione concorsuale, giacché detta questione non risulta abbia formato oggetto di dibattito nel giudizio di merito.

In tal caso, il ricorrente che riproponga tale questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (vedi ex plurimis, Cass. 22/4/2016 n.8206). Non avendo ottemperato a siffatti oneri, la critica non si sottrae ad un giudizio di inammissibilità.

La pronuncia impugnata, coerente con i summenzionati principi, è, dunque, conforme a diritto, onde resiste alle censure all'esame.

13. Con il settimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 32 l. 183/2010 per avere il giudice del gravame posto a fondamento della liquidazione dell'indennità esclusivamente il profilo della "anzianità di servizio".

13. Il motivo è infondato.

Come affermato da questa Corte, in tema di contratto a termine, la determinazione, tra il minimo e il massimo, della misura dell'indennità prevista dall'art. 32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, n. 183 - che richiama i criteri indicati dall'art.8 della legge 15 luglio 1966, n. 604 - spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria (vedi ex aliis Cass. 17/3/2014 n.6122), ipotesi questa, non verificatasi nella specie, avendo i giudici del gravame richiamato i criteri indicati dall'art.8 1.604/66, avuto particolare riguardo alla anzianità di servizio ed al comportamento osservato dal lavoratore, tempestivamente attivatosi per il riconoscimento dei propri diritti.

14. In definitiva, al lume delle superiori argomentazioni, la impugnata sentenza deve ritenersi conforme a diritto perché coerente con i summenzionati principi.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese inerenti al presente giudizio, per il principio della soccombenza, si pongono a carico della ricorrente, liquidate come da dispositivo.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.