Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 24 febbraio 2017, n. 4787

Accertamento - Ditta costruttrice - Fabbricati - Legge Tupini - Fatture

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza n. 25 del 22 febbraio 2013 la Commissione Tributaria Regionale della Toscana, pronunciando a seguito di revocazione di precedente sentenza emessa dalla medesima Commissione, accoglieva parzialmente l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla Costruzioni M. s.r.l., in liquidazione, avverso l'avviso di accertamento con il quale l'Amministrazione finanziaria, a seguito di disconoscimento dell'aliquota agevolata prevista dall'art. 39 Tabella A, Parte II del d.P.R. n. 600 del 1973, applicata dalla Investimenti Edilizi Ariosto s.r.l. (successivamente incorporata dalla M. C. s.r.l.) sulle fatture emesse negli anni di imposta 2001, 2002, 2003 e 2004, quale ditta costruttrice di fabbricati che non possedevano i requisiti di cui all'art. 13 della legge 2 luglio 1949, n. 408 (c.d. Legge Tupini), ritenuta la neutralità dell'imposta, aveva applicato le relative sanzioni amministrative pecuniarie.

1.1. I giudici di appello, per quanto ancora qui di interesse, sul rilievo che nella specie era stato realizzato un complesso di edifici che rispettava le proporzioni tra superfici destinate ad abitazioni e quelle destinati ad uso diverso, previste dalla citata legge n. 408 del 1949, nonché dalle leggi n. 1493 del 1962 e n. 1212 del 1967, ma soltanto con riferimento al complesso immobiliare realizzato, costituito da più fabbricati, e non a questi singolarmente considerati, come invece imponevano le disposizioni delle citate leggi ove correttamente interpretate, ritenevano che giustamente l'Amministrazione finanziaria aveva escluso l'applicabilità dell'aliquota agevolata, ma in considerazione delle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'applicabilità di quelle norme, pur in assenza di tempestiva domanda avanzata dalla società contribuente, riteneva sussistente ed applicabile d'ufficio la causa di non punibilità di cui all'art. 6, secondo comma, d.lgs. n. 472 del 1997, annullando le sanzioni irrogate con l'atto impositivo impugnato.

2. Avverso tale statuizione ricorre per cassazione l'Agenzia delle entrate sulla base di due motivi cui replica l'intimata con controricorso e ricorso incidentale affidato anch'esso a due motivi.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 57 d.lgs. n. 546 del 1992, sostenendo che la Commissione di appello non avrebbe potuto rilevare d'ufficio la domanda di inapplicabilità delle sanzioni ex art. 6 d.lgs. n. 472 del 1997, avanzata dalla società contribuente tardivamente, soltanto in appello, peraltro individuando la causa dell'obiettiva incertezza normativa nella pronuncia della sentenza n. 112 del 2010 emessa dalla medesima CTR in altro giudizio (promosso dalla ditta appaltatrice M. C. s.r.l.) diversi anni dopo la condotta sanzionata.

2. Il motivo è fondato. La Commissione di appello, che ha espressamente dato atto (con affermazione non censurata dalla controricorrente, con conseguente infondatezza dell'eccezione di inammissibilità del motivo, proposto al punto 2 del controricorso) che la società contribuente aveva introdotto la domanda di inapplicabilità delle sanzioni solo in grado di appello, non si è attenuta al consolidato principio giurisprudenziale secondo cui "in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme fiscali, sussiste il potere del giudice tributario di dichiarare l'inapplicabilità delle sanzioni, anche in sede di legittimità, per errore sulla norma tributaria, in caso di obiettiva incertezza sulla portata e sull'ambito applicativo della stessa, solo in presenza di una domanda del contribuente formulata nei modi e nei termini processuali appropriati, che non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di appello o nel giudizio di legittimità" (v. Cass. n. 14402 del 2016, con ampi richiami giurisprudenziali antecedenti alla pronuncia della CTR, tra cui 4031 del 2012; specificamente sull'art. 6 d.lgs. n. 472 del 1997 cfr. Cass. n. 25676 del 2008, n. 24060 del 2014 e n. 440 del 2015).

3. La fondatezza del motivo appena esaminato ha effetto assorbente del secondo motivo di ricorso con cui la difesa erariale, deducendo, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell'art. 6 d.lgs. n. 472 del 1997 e del punto 39, Tabella A, Parte II del d.P.R. n. 600 del 1973, ha sostenuto l'insussistenza sub specie delle condizioni di obiettiva incertezza in ordine alla nozione di fabbricato ai fini dell'applicazione della normativa in tema di aliquota IVA agevolata.

4. Con il primo motivo di ricorso incidentale la controricorrente ha dedotto, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la contraddittorietà della motivazione impugnata laddove la CTR dapprima ha affermato che "è pacifico tra le parti che il complesso immobiliare de quo rispetta i parametri fissati dalla legge" e poi "inspiegabilmente, all'esito di un ragionamento non lineare, conclude nel senso di ritenere non sussistenti i presupposti per l'applicazione dell'aliquota Iva agevolata al 4%".

4.1. Il motivo è palesemente infondato. I giudici di appello hanno molto chiaramente affermato che era solo il complesso immobiliare a rispettare i parametri fissati dalla legge ma non i singoli fabbricati e proprio per questa ragione ha ritenuto non sussistenti i presupposti per l'applicazione dell'aliquota agevolata. Ed infatti, dopo l'affermazione che "è pacifico tra le parti che il complesso immobiliare de quo rispetta i parametri fissati dalla legge", si legge nella sentenza impugnata che "tuttavia le leggi disciplinanti la materia dell'agevolazione non risultano riferibili che a singoli edifici [...]"

5. Con il secondo motivo di ricorso incidentale la controricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l'omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio costituito dalla circostanza che la CTR, nel ritenere che la fattura "infedele", perché emessa con aliquota IVA agevolata non spettante, non integrasse solo una violazione formale, ma arrecasse pregiudizio alle ragioni erariali, non aveva "correttamente valutato" (così a pag. 19 del ricorso) gli elementi addotti dalla società contribuente che dimostravano come nessun danno erariale si fosse nella specie verificato.

5.1. Premesso che i giudici di appello hanno dato adeguata risposta alle questioni poste dalla società contribuente ed agli elementi di valutazione addotti, come quelli relativi alla unicità degli elaborati progettuali e della relativa concessione edilizia e all'unitarietà del complesso edilizio realizzato, desunta dalla loro interdipendenza, spiegando con sufficiente chiarezza anche le ragioni della ritenuta sussistenza di danno erariale, che la CTR ha rinvenuto nella diversa posizione del soggetto cedente rispetto a quello cessionario nella liquidazione dell’IVA nell'ambito dei gruppi societari, il motivo è comunque inammissibile sotto un duplice profilo.

5.2. Innanzitutto perché, considerato che nella specie è applicabile l'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. nella nuova formulazione restrittiva introdotta dell'art. 54, primo comma, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge n. 7 agosto 2012, n. 134, così come proposto il motivo in esame contrasta con il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 8053 del 2014, secondo cui «la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione».

5.3. Sotto un secondo profilo il motivo è inammissibile per vizio di autosufficienza, avendo la società contribuente del tutto omesso di indicare quali elementi, addotti nel giudizio di merito per evidenziare l'assenza di danno erariale, diversi da quelli esaminati dalla CTR, quest'ultima non aveva adeguatamente valutato.

6. In estrema sintesi, il primo motivo di ricorso è fondato e va accolto, con assorbimento del secondo, il primo motivo di ricorso incidentale è infondato ed il secondo è inammissibile, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio in quanto, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con rigetto dell'originario ricorso della società contribuente, che va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità nella misura liquidata in dispositivo ai sensi del d.m. Giustizia n. 55 del 2014, ed al rimborso a favore della ricorrente delle eventuali spese prenotate a debito, mentre vanno integralmente compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito essendosi la giurisprudenza di legittimità consolidata successivamente alle predette pronunce. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della legge n. 228 del 2012, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, rimasta soccombente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso principale, dichiara assorbito il secondo, infondato il primo motivo di ricorso incidentale ed inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'originario ricorso introduttivo. Condanna la controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 17.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito, compensando le spese dei giudizi di merito.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 - bis dello stesso art. 13.