Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 24 febbraio 2017, n. 4840

Tributi - Riscossione - Intimazione di pagamento - Debito fiscale derivante da sentenza passata in giudicato - Prescrizione decennale

Ragioni della decisione

La ricorrente ha ricevuto intimazione di pagamento con cui il Fisco ha preteso il pagamento di Irpef e sanzioni relativamente all’anno 1974, sul presupposto della previa notifica di una cartella esattoriale nel 2005.

La contribuente ha impugnato l'atto impositivo eccependo di non avere mai ricevuto la cartella e dunque la conseguente decadenza dall'azione di recupero fiscale.

L'Agenzia, che si è costituita in giudizio, unitamente ad Equitalia, ha eccepito che il debito fiscale derivava da una sentenza della Corte di cassazione passata in giudicato nel 2003.

La tesi dell’Agenzia è stata accolta in secondo grado.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la contribuente con tre motivi.

Resistono con controricorso sia Equitalia che l'Agenzia, che ha prodotto memoria.

Il primo motivo denuncia violazione delle regole sull'onere della prova. Secondo la ricorrente la CTR avrebbe posto a carico suo l’onere di dimostrare che era intervenuto un giudicato dal quale decorrevano nuovamente i termini, contrariamente al principio per cui essendo invocato di fatto dall'Agenzia era quest'ultima a doverlo provare.

Il motivo è infondato, in quanto il concessionario della riscossione ha ritualmente evidenziato - dopo che i giudici di primo grado ne avevano sancito la decadenza dalla pretesa tributaria - la fonte giudiziale del credito erariale azionato con la cartella, in riferimento alla vicenda conclusa dalla sentenza della Cassazione n. 9755/03 che essendo intervenuta tra le odierne parti processuali era ben conosciuta dalla contribuente oltre che conoscibile da questa Corte autonomamente (Cass. n. 8614/11).

Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., in quanto, i giudici d'appello avrebbero ritenuto legittima la pretesa tributaria dell'importo di € 147.000,00, laddove l'imponibile accertato risultante dalla sentenza definitiva era di circa € 77.000,00.

Il motivo è inammissibile, in quanto il presunto omesso esame di documenti istruttori, non integra il vizio denunciato, se il fatto storico rilevante in causa sia stato, comunque, preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. sez. un. n. 8053/14, 7983/14), il motivo è, inoltre, non autosufficiente, laddove mira a negare che i dati fiscali esposti in cartella non siano quelli desumibili dalla sentenza definitiva senza che la cartella sia stata riportata in ricorso, ed indicata la sua collocazione nell'ambito della documentazione afferente al merito, oltre che allegata, ex artt. 366 primo comma n. 6 e 369 secondo comma n. 4 c.p.c. (Cass. n. 14784/15, 16010/15, 2928/15, Cass. n. 26174/14, sez. un. 28547/08, sez. un. 23019/07, sez. un. ord. n. 7161/10).

Con il terzo motivo di censura, la ricorrente deduce la violazione del termine di prescrizione e/o di decadenza, ai sensi dell’art. 2943 c.c. e dell’art. 25 del DPR n. 602/73, in quanto, ai sensi di quest'ultima norma, il concessionario notifica, a pena di decadenza, la cartella entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo.

Il motivo è manifestamente infondato, in quanto, nella vicenda è applicabile il termine decennale di prescrizione (Cass. n. 21623/15, 16730/15), mentre non interferisce con la vicenda, Cass. sez. un. n. 23397/16, che si occupa della prescrizione della riscossione del credito previdenziale non derivante da giudicato.

Infine, In tema di giudizio di Cassazione, la causa, dovendo essere rinviata alla pubblica udienza allorché "non ricorrono le ipotesi previste all'articolo 375", ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ. (introdotto dal d.lgs. 2 febbraio 2006,n. 40), ben può essere definita con rito camerale anche nel caso in cui ricorra una ipotesi (tra quelle indicate dal citato art. 375, n. 5, cod. proc. civ.) diversa da quella opinata dal relatore nella relazione. (Nella specie, la Corte ha deciso per la manifesta infondatezza del ricorso, mentre il relatore aveva opinato nel senso della manifesta fondatezza). (Sez. U, Ordinanza n. 8999 del 16/04/2009, Rv. 607447).

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti, per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna la parte intimata a pagare all’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore in carica, le spese di lite del presente giudizio, che liquida in € 6.000,00, oltre spese prenotate a debito, ed in favore di Equitalia Sud SpA, in persona del legale rappresentante in carica, che liquida in € 6.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis dello stesso articolo 13.