Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 novembre 2017, n. 27437

Tributi - Tariffa di igiene ambientale (T.I.A.) - Rimborso delle somme corrisposte a titolo di IVA

 

Fatti di causa

 

Un gruppo di utenti, in numero di dieci, chiese ed ottenne dal giudice di pace di Genova la condanna della s.p.a. A.M.I.U. Genova a restituire loro le somme indebitamente corrisposte a titolo di IVA in occasione del pagamento della Tariffa di igiene ambientale (TIA).

La Corte d'appello di Genova, adita dalla società, ha rigettato il gravame. Ha al riguardo respinto l'eccezione di carenza di giurisdizione, richiamando la giurisprudenza di queste sezioni unite che ha escluso la configurabilità di un rapporto di natura tributaria tra il consumatore finale ed il prestatore di servizio o fornitore; ha respinto l'eccezione d'inammissibilità dell'appello ex art. 339 c.p.c. limitatamente alla riproposizione dell'eccezione di prescrizione, trattandosi di una pronuncia resa dal giudice di pace secondo equità; ha escluso l'acquiescenza eccepita dagli appellati e, nel merito, ha negato che alla TIA possa essere applicata l'IVA, affermando la piena compatibilità della disciplina interna con quella unionale.

Contro questa sentenza propone ricorso la s.p.a. A.M.I.U. per ottenerne la cassazione, che affida a cinque censure, sollecitando con la sesta la proposizione di una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea.

Cinque dei dieci utenti replicano con controricorso, che illustrano con memoria; gli altri cinque non svolgono difese.

 

Ragioni della decisione

 

1. - Col primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, 1° co., n. 1, c.p.c., la società denuncia l'erroneità della sentenza impugnata, là dove la Corte d'appello di Genova non ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione in favore di quella del giudice tributario.

Il motivo, ammissibile, in quanto, contrariamente a quanto sostenuto in controricorso, l'impugnazione in appello del corrispondente punto della sentenza di primo grado ha impedito la formazione del giudicato implicito sul punto, è però infondato.

1.1. - Va difatti ribadito l'orientamento già fissato da queste sezioni unite (con ordinanza 28 gennaio 2011, n. 2064) in base al quale, in tema di iva, spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine alla domanda proposta dal consumatore finale nei confronti del professionista o dell'imprenditore che abbia effettuato la cessione del bene o la prestazione del servizio per ottenere la restituzione delle somme addebitategli in via di rivalsa.

Il soggetto passivo dell'imposta è difatti esclusivamente colui che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi; sicché la controversia in questione non ha ad oggetto un rapporto tributario tra contribuente ed amministrazione finanziaria, ma un rapporto di natura privatistica tra soggetti privati, che comporta un mero accertamento incidentale in ordine alla debenza ed all'ammontare dell'imposta applicata in misura contestata.

Il che vale anche quando il debito iva sia totalmente contestato, come appunto nell'ipotesi di indebita applicazione di tale imposta alla tariffa comunale di igiene ambientale (Tia), poiché si tratta in ogni caso di una controversia tra privati, alla quale è estraneo l'esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio del rapporto tributario.

1.2.- Il principio è stato di recente ribadito anche con riguardo alla controversia insorta tra il prestatore ed il destinatario della prestazione, in ordine alla pretesa rivalsa dell'IVA esposta in fattura (Cass., sez. un., 31 maggio 2017, n. 13721; 4 aprile 2016, n. 6451).

1.3.- Anche la giurisprudenza unionale non dubita che l'azione esercitata, per il rimborso dell'imposta illegittimamente versata, dal fruitore dei beni o dei servizi nei confronti del fornitore sia un'azione di ripetizione d'indebito di rilevanza civilistica (vedi, in tema di iva, Corte giust. 15 dicembre 2011, causa C-427/10, Banca popolare antoniana veneta, punto 42 e, in tema di accise, Corte giust. 20 ottobre 2011, causa C-94/10, Danfoss).

1.4. - Sul piano sistematico, il principio si coordina con quello reiteratamente affermato con riguardo alle controversie tra sostituto d'imposta e sostituito.

Al riguardo, queste sezioni unite hanno già avuto molteplici occasioni per affermare che le controversie relative al legittimo e corretto esercizio del diritto di rivalsa delle ritenute alla fonte versate direttamente dal sostituto, volontariamente o coattivamente, non sono attratte alla giurisdizione del giudice tributario, ma rientrano in quella del giudice ordinario.

Ciò perché si tratta di diritto esercitato dal sostituto verso il sostituito nell'ambito di un rapporto di tipo privatistico, cui resta estraneo l'esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio del rapporto tributario, e nelle quali manca di regola un atto qualificato rientrante nella tipologia contemplata dall'elenco contenuto nell'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, anche nell'interpretazione estensiva che se ne fornisce (da ultimo, Cass., sez. un., 15 settembre 2017, n. 21523).

1.5. - Estranea rispetto al tema del decidere è, invece, la pronuncia indicata dalla società in memoria (Cass., sez. un., ord. 11 luglio 2017, n. 17113), con la quale si è riconosciuta la giurisdizione tributaria in ordine alla controversia tra utente ed ente addetto alla riscossione concernente l'addizionale provinciale sulla tariffa integrata ambientale (c.d. tia2), in ragione della natura tributaria di questa.

1.6- Irrilevanti sono al riguardo le considerazioni svolte a sostegno del motivo relative alla sussistenza di atti impugnabili dinanzi alle Commissioni tributarie ed al fatto che la società rientri nel novero dei soggetti contemplati dall'art. 10 del d.lgs. n. 546/92.

Si è difatti al cospetto non già dell'impugnazione di un atto impositivo, bensì di una domanda di rimborso proposta dal consumatore finale nei confronti del fornitore del servizio.

2. - Col secondo, col terzo e col quarto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente, perché riguardano tutti sotto diversi profili la debenza dell'iva sulla Tia, la società lamenta:

- ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1, 2, 9, 25, 73 e 78 della direttiva n. 2006/112/CE; sostiene che in base ad essi sussista il presupposto oggettivo dell'iva e che, in particolare, siano soggette ad iva anche le prestazioni di servizi eseguite in base ad un atto autoritativo della pubblica amministrazione -secondo motivo;

- ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione del n. 127-sexiesdecies, Tabella A, allegato 1, al d.P.R. n. 633/72, dell'art. 74, 4° co., del medesimo d.P.R., del d.m. 24 ottobre 2000, n. 370, degli artt. 4, 2° co., n. 1), 6 e 18 del suddetto d.P.R. n. 633/72, dell'art. 6, 13° co., I. n. 133/99, là dove la Corte d'appello di Genova ha trascurato che le norme in questione, violate con la sentenza impugnata, non sono state dichiarate incostituzionali, né abrogate dal legislatore -terzo motivo;

- ex art. 360, 1° co., n. 4, c.p.c., l'omessa pronuncia sulla dedotta inapplicabilità, nei confronti dell'esponente, dell'art. 13 della direttiva n. 2006/112/CE -quarto motivo.

La complessa censura è stata già risolta da queste sezioni unite che, in relazione a vicenda in tutto analoga, hanno stabilito (con sentenza 15 marzo 2016, n. 5078) che la Tia non sconta l'iva a causa degli elementi autoritativi che la caratterizzano, elementi costituiti dall'assenza di volontarietà nel rapporto fra gestore ed utente, dalla totale predeterminazione dei costi da parte del soggetto pubblico, nonché dall'assenza del rapporto sinallagmatico a base dell'assoggettamento ad iva.

In quell'occasione, si è sottolineata l'irrilevanza della voce 127- sexiesdecies dalla tabella A parte 3 del d.P.R. n. 633/72, relativa ai beni e servizi soggetti all'aliquota del 10%, nonché del d.m. n. 370/2000, che, nel disciplinare le modalità di riscossione dell'IVA, prevede all'art. 1 che "Per le operazioni relative al servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e assimilati, di fognatura e depurazione, possono essere emesse bollette che tengono luogo delle fatture, anche agli effetti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 26 e successive modificazioni, semprechè contengano tutti gli elementi di cui all'articolo 21 del medesimo decreto".

Ciò in quanto tali disposizioni sono applicabili nei casi in cui le prestazioni in esame siano svolte "con corrispettivo"; elemento assente, nel caso in esame.

2.1. - Con la sentenza citata sono state anche esaminate normativa e giurisprudenza unionali a sostegno del principio di diritto affermato. Di qui la conseguenza che non v'è necessità, come già evidenziato in quell'occasione, di proporre le questioni pregiudiziali prospettate con la sesta censura.

3. - Infondato è, infine, il quinto motivo di ricorso, col quale, ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., la società denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 339 c.p.c.e 2948, 1° co., n. 4, c.c., sostenendo che la prescrizione estintiva costituisca un principio regolatore della materia, con la conseguente appellabilità sul punto della sentenza del giudice di pace.

Questa Corte ha già avuto occasione di dichiarare l'inammissibilità, in quei casi del ricorso per cassazione, giustappunto con riguardo ad una censura riguardante l'asserita violazione dell'art. 2948 c.c. (Cass. 24 febbraio 2005, n. 3879; 28 gennaio 2005, n. 1756; 21 gennaio 2005, n. 1278); ha al riguardo osservato che una tale doglianza non prospetta la violazione di un "principio informatore" della materia "prescrizione dei diritti" (e cioè della materia concernente l'estinzione dei diritti connessa al trascorrere del tempo nell'inerzia del titolare), bensì, soltanto, l'asserita violazione di una specifica disciplina di dettaglio dell'istituto della prescrizione (quella dettata dall'art. 2948, 1° co., n. 4, c.c.).

3.1. - Correttamente, quindi, il giudice d'appello ha dichiarato inammissibile il gravame proposto sul punto.

4. - In definitiva, il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza in relazione alle parti costituite.

4.1- Sussistono i presupposti di applicazione dell'art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115/02.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la società a pagare le spese sostenute dalle parti costituite, che liquida in euro 3000,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi ed al 15% per spese forfettarie.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.