Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE MILANO - Sentenza 09 gennaio 2017, n. 114

Accertamento - Riscossione - Cartelle di pagamento - Dichiarazione dei redditi - Mancato pagamento

 

Con autonomi ricorsi depositati in data 11 febbraio 2016, le società in epigrafe impugnavano le cartelle de quibus. Chiarivano in primis, come le cartelle impugnate erano, appunto, atti impugnabili, atteso che erano i primi provvedimenti, per il tramite dei quali, la ricorrente veniva a conoscenza della sottesa pretesa erariale. Ad esito dei controlli automatizzati a seguito del controllo modello Unico SC 2013, anno 2012, alla contribuente veniva inoltrata comunicazione di irregolarità che non veniva contestata. A seguito di tale comunicazione la società presentava istanza di rateazione eseguendo alcuni pagamenti. Il mancato pagamento nei termini della terza rata, scadente in data 2 novembre 2014, effettuato in data 12 marzo 2015, senza ravvedimento, ovvero, oltre il temine di pagamento della quarta rata, comportava la perdita del beneficio della rateazione e legittimava l’ufficio a procedere all’iscrizione a ruolo, dalla quale discendono le impugnate cartelle. La società eccepiva diversi motivi di doglianza di seguito rappresentati:

In via pregiudiziale:

1. inesistenza giuridica della cartella, in quanto carente di elementi essenziali;

2. inesistenza del ruolo esecutivo e della sua sottoscrizione;

3. assenza dell’intimazione ad adempiere;

4. mancanza del presupposto giuridico e fattuale della pretesa creditoria;

In via principale:

1. notifica inesistente;

2. omessa compilazione della relata di notifica;

3. mancanza del responsabile del procedimento;

4. mancanza di motivazione;

5. inesistenza del ruolo esecutivo e della sua sottoscrizione;

Sul primo e secondo punto, del primo elenco ravvisava la società, la completa carenza degli elementi essenziali della cartella e del sottostante ruolo.

L’ufficio ribatteva considerando prive di pregio simili eccezioni, allegava al fascicolo l’estratto di ruolo.

Sul punto 3, la società affermava che la cartella, essendone priva, sforniva la stessa del precetto e, quindi, ne svuotava il contenuto.

L’ufficio riteneva palesemente infondata tale eccezione, ravvisando chiaramente la presenza, nelle cartelle, dell’intimazione. Sul punto aggiungeva che non capiva la doglianza di parte avversa. Sul punto 4, la società evidenziava come la stessa, in data 11 marzo 2014, inoltrava all’agenzia, istanza di dilazionamento, regolarmente accettata, del pagamento in 20 rate. La società seguitava a pagarle fino alla n. 7 (allegava F24) e nella vigenza di tale piano di rateazione si vedeva recapitare le cartelle de quibus. Eccepiva una violazione del divieto di doppia imposizione.

L’ufficio rispondeva evidenziando come la società era decaduta dal beneficio della rateazione e, questo, era stato revocato à sensi dell’art. 3-bis, comma 4, del D.lgs. 462/97. Mostrava poi una tabella con l'importo dei versamenti effettuati e il ritardo con cui era stata versata la terza rata, ritardo che aveva giustificato la decadenza del piano. Aggiungeva poi, che la contribuente aveva versato in via arbitraria in data 29 ottobre 2015, un’altra rata ma, la stessa, non era stata abbinata all'avviso di irregolarità, a differenza delle altre rate, perché tale pagamento era avvenuto dopo l’iscrizione a ruolo. Per tale ultima rata evidenziava la possibilità di richiedere rimborso mentre per le altre versate prima dell’emissione del ruolo, evidenziava la infondatezza della eccezione di parte avversa, riguardante la doppia imposizione visto che quelle somme, essendo state abbinate all’avviso di irregolarità, concorrevano alla riduzione del debito complessivo.

In via principale (secondo elenco), la società evidenziava come la cartella emessa à sensi dell’art. 36-bis, D.P.R. 600/73 e art. 54-bis, D.P.R. 633/72, assumeva la duplice natura di atto di accertamento e atto di riscossione e, quindi, la stessa doveva avere tutte quelle caratteristiche procedimentali di genesi e formazione sia della pretesa tributaria che della pretesa riscossiva. Nel caso di specie, continuava la società, la notifica a mezzo PEC era da considerarsi giuridicamente inesistente. Ancora sulla notifica, eccepiva l’assenza dell’identità certa del messo notificatore e l’assenza dei requisiti del messo notificatore prescritti dalla legge.

Sulla notificazione in generale (PEC) l’ufficio sottolineava la correttezza del proprio operato in quanto strettamente aderente al dettato normativo.

Sulla mancanza del responsabile del procedimento la società citava della giurisprudenza conforme. L’ufficio riteneva tali eccezioni pretestuose atteso che nessuna disposizione di legge prescriveva una simile indicazione, sul punto riteneva meramente strumentali tali eccezioni.

La ricorrente evidenziava poi, la totale assenza di motivazione delle cartelle impugnate, che non la ponevano nella condizione di poter verificare la correttezza degli importi pretesi, sia dal punto di vista meramente matematico che giuridico. In sostanza, riteneva le cartelle impugnate intrise di indeterminatezza.

L’ufficio rispondeva evidenziando l’aderenza delle cartelle alle disposizioni normative ritenendo pretestuose le doglianze di parte avversa.

La società chiedeva l’annullamento delle cartelle de quibus, previa concessione dell’istanza di sospensione, l'ufficio, dal canto suo, esprimeva richieste opposte.

In data 19 aprile 2016, la Commissione adita, in esito all’udienza di cui all’art. 47 del D.lgs. 546/92, disponeva la sospensione dei provvedimenti impugnati.

In data 16 settembre 2016 le società ricorrente depositavano delle memorie per il tramite delle quali, insistevano per l’accoglimento dei ricorsi proposti.

In data 27 settembre 2016 la Commissione adita emetteva l’ordinanza n. 4271/206 con la quale chiedeva all’agenzia la corretta determinazione del carico fiscale pendente sulle società ricorrenti. In data 30 novembre 2016 l'ufficio delle entrate ottemperava a tale richiesta dando evidenza dell’intero carico pendente sulle società ricorrenti.

In data 9 dicembre 2016 le società per cui è causa depositavano delle ulteriori memorie attraverso le quali chiedevano l'applicazione dell’art. 46 del D.lgs. 546/92; estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, in diretta applicazione dell’art. 1, comma 540, della L. 228/2012. Più precisamente esplicitavano che in data 16 dicembre 2015 ed in data 21 dicembre 2015 le società ricorrenti avevano presentato, due distinte istanze di sospensione e annullamento di ogni procedura esecutiva à sensi dell’art. 1, commi da 537 a 543 della L. 228/2012. Affermavano che dalla presentazione delle istanze erano, abbondantemente passati i 220 giorni previsti dalla normativa da ultimo citata e che, per l’effetto, la pretesa tributaria era da annullare. Giustificavano tale asserzione dando evidenza del fatto che dalla presentazione delle due istanze di sospensione, di cui sopra, non avevano ricevuto nessuna comunicazione circa il diniego alle istanze presentante e che, quindi, gli atti amministrativi erano da annullare. Citava svariate pronunce di merito delle Commissioni Provinciali tra cui la n. 7096/2016 del 20 settembre 2016 della CTP di Milano. Chiedeva la declaratoria di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere in virtù dell’applicazione del l’articoli 1, comma 540 della L. 228/2012.

Presenti all’udienza le parti che hanno insistito nelle loro richieste ed eccezioni.

Il Collegio giudicante così decide. I ricorsi vengono riuniti per connessione oggettiva e vengono accolti alla stregua delle seguenti motivazioni ed argomentazioni. Rileva questo Giudice che le società ricorrenti avevano presentato in data 16 dicembre 2015 e in data 21 dicembre 2015 due distinte istanze di sospensione e di annullamento di ogni procedura esecutiva à sensi dell’art. 1, commi da 537 a 543 della legge 228/2012.

La norma sopra citata espressamente prevede che trascorso inutilmente il termine di 220 giorni dalla data di presentazione della richiesta di sospensione, senza che l’ente creditore, verificata la regolarità della documentazione fornita dal contribuente, abbia comunicato l’esito positivo o negativo delle verifiche sia al contribuente sia ad Equitalia, la pretesa tributaria viene meno. Tenuto conto che, nel caso de quo, sono trascorsi più di 220 giorni dalla data di presentazione della richiesta di sospensione senza che l’ente creditore abbia comunicato alcunché al contribuente, la pretesa fiscale viene annullata. Ebbene, le cartelle esattoriali, meglio identificate nella parte descrittiva della sentenza, oggetto dell’odierno contendere, vengono meno.

Alla luce di quanto sopra, i ricorsi riuniti vengono accolti ed annullato in toto l’operato dell’ufficio. Le spese di giudizio vengono compensate fra le parti stesse, tenuto conto della peculiarità del caso.

Il Collegio giudicante

 

P.Q.M.

 

accoglie i ricorsi riuniti. Spese compensate.