Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 febbraio 2018, n. 2974

Riconoscimento inquadramento superiore - Revocazione della sentenza d'appello - Non preclusa dalla pronunzia di rigetto del ricorso in Cassazione, meramente confermativa della sentenza impugnata -

 

Fatti di causa

 

Con ricorso del 18.2.2009 alla Corte di Appello di Venezia gli odierni ricorrenti, dipendenti della società S. spa, chiedevano la revocazione della sentenza del Tribunale di Padova nr. 1790/2001 del 14.11.2001- 19.4.2002, che, in riforma della sentenza del Pretore di Padova (nr. 80/1999), rigettava la domanda da essi proposta per il riconoscimento del V livello del CCNL di categoria, ritenendo la carenza del prescritto requisito dei sedici anni di guida, per non essere applicabile nel passaggio dei lavoratori (provenienti dalla società A. spa) alle dipendenze di S. spa la disciplina dell'articolo 2112 cod.civ.

Al ricorso veniva riunita la impugnazione per revocazione depositata in pari data da altri ricorrenti avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia nr. 342/2002 (del 24 settembre-16 ottobre 2002), di tenore analogo, di rigetto della domanda dei lavoratori in riforma della sentenza nr. 116/2000 del Tribunale di Rovigo.

La Corte territoriale dichiarava inammissibili le impugnazioni riunite con sentenza del 28.2-24.5.2012 (nr. 126/2012).

Osservava che entrambe le sentenze impugnate per revocazione erano state confermate dalla Corte di Cassazione (quella del Tribunale di Padova con sentenza della Suprema Corte nr. 1547/2006; quella della Corte d'Appello di Venezia con sentenza nr. 1302/2006).

La revocazione era stata proposta dopo la pronunzia della Corte di Cassazione sicché la impugnazione non poteva avere ad oggetto le pronunzie rese nel grado di appello ma avrebbe dovuto essere diretta avverso le sentenze del giudice di legittimità, secondo la disciplina degli articoli 391 bis e 391 ter cod. proc. civ.

Il secondo profilo di inammissibilità delle due impugnazioni atteneva alla omessa indicazione della data di ritrovamento del documento asseritamente decisivo ovvero della scoperta del dolo di S. spa, come richiesto dall'articolo 398 cod.proc.civ.

Si trattava di una ipotesi di accordo intervenuta in data 11.3.1993 tra la Provincia di Padova, le associazioni sindacali e S. spa, che nell'assunto dei ricorrenti aveva lo scopo di evitare la applicazione dell'articolo 2112 cod.civ. Nel ricorso si affermava che il documento era stato rinvenuto «in sede di indagine difensiva» e che le parti ne erano state informate compiutamente dal proprio difensore, dopo una prima convocazione, soltanto in data 1 settembre 2009.

La indicazione della data di reperimento del documento o di scoperta del dolo era dunque lacunosa e, comunque, sfornita di prova.

Un ulteriore profilo atteneva alla mancanza di decisività dello stesso documento.

La sentenza del Tribunale di Padova aveva escluso la applicabilità dell'articolo 2112 cod.civ. sotto un profilo di diritto, aderendo alla tesi restrittiva secondo cui era escluso il trasferimento d'azienda nei casi in cui l'esercizio della attività fosse subordinato al rilascio di una concessione amministrativa. Rispetto a tale interpretazione il contenuto dell'accordo, che prevedeva la assunzione da parte di S. spa di 370 dipendenti della società ATP, dichiarata fallita, ex novo e senza riconoscimento della anzianità pregressa, era del tutto indifferente.

Hanno proposto ricorso straordinario per la cassazione della sentenza i ricorrenti in epigrafe indicati, articolato in due motivi.

Ha resistito con controricorso la società S. spa, illustrato con memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno denunziato errata applicazione dell'articolo 395 nr. 3 cod.proc.civ.

Hanno dedotto che le indagini difensive, che avevano portato alla scoperta dei nuovi documenti depositati alla Corte d'Appello, anche in corso di causa, avevano evidenziato il dolo di S. spa in danno dei dipendenti e dello Stato. In particolare dalla certificazione rilasciata in data 18.8.2011 dalla Regione Veneto risultava la falsità della autocertificazione di S. spa del 2.11.1994, con la quale si attestava di avere assunto i lavoratori dalle liste di mobilità, in modo da ottenere i benefici della legge 223/1991, senza riconoscere l'avvenuto trasferimento d'azienda.

La revocazione della sentenza d' appello non era preclusa dalla pronunzia di rigetto del ricorso in cassazione, meramente confermativa della sentenza impugnata; una diversa interpretazione avrebbe comportato la violazione degli articoli 24 e 111 Cost. in ragione dei limiti temporali posti al diritto di difesa della parte nelle ipotesi di scoperta del dolo della controparte.

La presentazione del ricorso per revocazione era tempestiva; i ricorrenti avevano avuto conoscenza delle indagini difensive soltanto in data 1 settembre 2009.

2. Con il secondo motivo le parti ricorrenti hanno dedotto errata applicazione dell'articolo 2112 cod. civ.

Hanno assunto che la Corte d'Appello aveva errato nel ritenere insussistente una fattispecie di trasferimento di azienda, da essa stessa riconosciuta invece in relazione alla medesima vicenda nei giudizi promossi da altri lavoratori (sentenza nr. 403/2005 - confermata da questa Corte con sentenza nr. 5708/2009 - e sentenza nr. 581/2009).

Nella fattispecie di causa si era verificato un trasferimento integrale dei beni di proprietà dell'ente concedente dal precedente al nuovo concessionario del servizio.

Il fatto della gestione provvisoria della azienda da parte di una cooperativa (C.A. scarl) in epoca anteriore al passaggio dei dipendenti a SITA spa non escludeva la continuità del rapporto di lavoro (come già ritenuto in riferimento alla stessa vicenda nella sentenza di questa Corte nr. 5708/2009).

Il rigetto della istanza di revocazione avrebbe determinato un contrasto di giudicati.

Il ricorso è inammissibile.

Una prima ragione di inammissibilità risiede nel rilievo che per costante giurisprudenza di questa Corte il ricorso straordinario per cassazione per violazione di legge è consentito dall'articolo 111 Cost. avverso le sentenze (ed i provvedimenti sulla libertà personale) aventi carattere (decisorio e) definitivo ovvero non altrimenti impugnabili.

Ai sensi dell'articolo 403 comma 2 cod.proc.civ., invece, la sentenza pronunziata nel giudizio di revocazione è soggetta ai mezzi di impugnazione ai quali era originariamente sottoposta la sentenza impugnata per revocazione.

Pertanto, essendo stata impugnata per revocazione la sentenza resa dal Tribunale di Padova in grado di appello, la pronunzia era soggetta a ricorso ordinario per cassazione ex art. 360 cod.proc.civ.

In ogni caso la soluzione non muterebbe a voler riqualificare il mezzo di impugnazione come ricorso ordinario.

Resta infatti preclusivo il rilievo della mancata impugnazione della ratio decidendi secondo cui il rigetto della domanda dei lavoratori derivava da un giudizio di diritto - la inapplicabilità dell'articolo 2112 cod.civ. per le attività soggette a concessione amministrativa (nella specie attività di trasporto pubblico provinciale) - rispetto al quale mancavano di decisività i documenti tardivamente rinvenuti, tesi a dimostrare il dolo di SITA spa in danno dei lavoratori.

Trattasi di un ratio decidendi ex se idonea a sorreggere la decisione di inammissibilità della impugnazione per revocazione.

Il secondo motivo del ricorso, invero, piuttosto che censurare l'affermato difetto di decisività dei nuovi documenti, sollecita questa Corte a compiere una nuova valutazione di diritto in punto di applicabilità alla vicenda di causa dell'articolo 2112 cod.civ., valutazione coperta dal giudicato e non inficiata dalle ragioni della revocazione.

Si osserva ad abundantiam che neppure risulta impugnata specificamente una ulteriore ragione, egualmente decisiva, della ritenuta inammissibilità della revocazione ovvero la mancanza di indicazione puntuale nella domanda di revocazione del giorno del reperimento dei documenti o della scoperta del dolo di S. spa, con l'offerta delle relative prove.

Le allegazioni di cui al primo motivo sono infatti sovrapponibili a quelle già esaminate nella sentenza impugnata e ritenute generiche e sfornite di prova.

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in € 200 per spese ed € 4.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.