Giurisprudenza - CORTE D'APPELLO TRIESTE - Ordinanza 13 luglio 2017

Trattamento pensionistico lavoratori autonomi - Calcolo - Media dei redditi relativi agli ultimi dieci anni coperti da contribuzione - Computo dei periodi successivi al conseguimento dell'anzianità minima contributiva - L. 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi), art. 5; L. 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), art. 1, co. 18.

 

Con ricorso depositato il 4 settembre 2013 L. T. si rivolgeva al Tribunale di Pordenone esponendo di essere titolare di pensione di vecchiaia avente decorso dal 1° luglio 2010 (avendo utilizzato il sig. T. la «finestra» del 1° luglio dell'anno successivo al compimento del 59 anno di età) e ottenuta, con il cumulo della contribuzione versata, prima come lavoratore dipendente (n. 112 settimane dal 17 gennaio 1970 al 30 settembre 1972) e poi, come lavoratore autonomo - commerciante (n. 1842 settimane dal 1° ottobre 1975 al 30 giugno 2010), il tutto per una retribuzione pensionabile di € 1.275,89 mensili.

Rilevava e documentava quindi nel corso del giudizio di primo grado il sig. T., come egli tuttavia, già alla data del 31 dicembre 2007, in forza del dettato della legge n. 247/2007, avesse maturato il requisito contributivo minimo (n. 1824 settimane) e in base ai calcoli effettuati dal Patronato ACLI versati in atti e non contestati, qualora la pensione di vecchiaia gli fosse stata allora liquidata, contestualmente al raggiungimento del requisito minimo contributivo, utilizzando pertanto solo i contributi versati sino ad allora, egli avrebbe percepito un trattamento pensionistico più favorevole (€ 1.618,40 mensili), rispetto a quello che invece gli è stato riconosciuto e pagato a partire dal 1° luglio 2010.

Chiedeva quindi il ricorrente all'INPS di ricalcolare la pensione, escludendo dal computo la contribuzione versata dopo il 31 dicembre 2007 e ciò in applicazione del principio più volte affermato dalla Corte costituzionale secondo il quale «dopo il perfezionamento del requisito minimo contributivo, l'ulteriore contribuzione (obbligatoria, volontaria o figurativa), mentre vale ad incrementare il livello di pensione già consolidato, non deve comunque compromettere la misura della prestazione potenzialmente maturata sino a quel momento: effetto, quest'ultimo, che sarebbe, infatti, palesemente contrastante con gli articoli 3 e 38 della Costituzione». (1)

La domanda di L. T. già respinta dall'INPS in sede amministrativa, stata avversata dall'Istituto anche in sede giudiziale, sulla base di una lettura rigorosa dell'art. 5 comma 1 della legge n. 233/90 e dell'art. 1 comma 18 della legge n. 335/95 e della ulteriore considerazione che non vi è «alcuna norma che consenta l'invocata sterilizzazione del periodi contributivi nei quali l'odierno ricorrente ha prodotto un reddito di impresa meno elevato». (2)

La sentenza di primo grado (n. 24/2015 pubblicata in data 11 febbraio 2015) del Tribunale di Pordenone, ha invece accolto la domanda del sig. L. T. adottando «una lettura costituzionalmente orientata favorevole al ricorrente delle norme in esame». (3)

Scrive infatti il Tribunale che la Corte costituzionale con le numerose sentenze che si sono occupate del tema, ha fissato un principio, cosiddetto della «sterilizzazione» dei contributi dannosi, fondando il proprio decisum, non certo sulla «gestione» in cui tali contributi sono stati versati, ma piuttosto sulla consapevolezza che sarebbe irrazionale e contrario alla Costituzione, che un numero di contributi superiore al minimo occorrente a far sorgere il diritto alla pensione, possa dare origine ad una prestazione di misura inferiore a quella ricollegabile al solo minimo «il vizio di costituzionalità deriva dall'effetto paradossale che contributi ulteriori possano ridurre, invece di aumentare, il trattamento pensionistico e non dalla gestione in cui tali contributi sono stati versati». (4)

La sentenza di primo grado e la adottata interpretazione costituzionalmente orientata, è stata criticata dall'Ente Previdenziale con l'atto di appello, sulla base di due rilievi. Il primo, attinente alla specificità del principio fatto emergere dalle sentenze richiamate della Corte costituzionale e invocate dal ricorrente, singole pronunce di parziale illegittimità costituzionale che avrebbero potuto trovare applicazione solo in relazione alle specifiche ipotesi che avevano data luogo alla rispettiva declaratoria di incostituzionalità, non suscettibili quindi, di disciplinare ipotesi diverse. Il secondo rilievo pone invece l'attenzione al sistema pensionistico del lavoro autonomo, così come organizzato e disciplinato nel nostro ordinamento, per ricavarne la sua piena costituzionalità, anche in presenza di diversità rispetto a quello dell'assicurazione obbligatoria ordinaria e ciò principalmente in ragione di diverse esigenze e della presenza comunque di «forme di contemperamento che concorrono nel mettere in qualche modo al riparo la pensione (o quota di pensione) liquidabile nelle gestione degli autonomi dalle oscillanti tendenze di mercato alle quali è inevitabilmente assoggettato il reddito di siffatta categoria di lavoratori autonomi.». (5)

Si è costituito in grado di appello anche L. T. per ribadire le proprie posizioni e chiedere la reiezione del gravame.

All'udienza del 9 febbraio 2017 all'esito della discussione la Corte d'Appello, ritenuta la necessità di sottoporre la questione di legittimità costituzionale in merito alle norme che regolano la fattispecie, ha rimesso le parti per la lettura dell'ordinanza di rinvio, prima all'udienza dell'11 maggio 2015 e quindi all'udienza del 13 lugilo 2017.

Viene sollevata questione di legittimità in riferimento alle norme di cui all'art 5 legge n. 233/90 e art. 1 comma 18, legge n. 335/95 con riguardo agli articoli 3, I e II comma, 35 I comma e 38, I e II comma, della Costituzione, nella parte in cui esse non prevedono che nel caso di esercizio da parte del lavoratore di attività autonoma, successivamente al momento in cui egli abbia già conseguito la prescritta anzianità contributiva, la pensione liquidata, non possa essere comunque inferiore a quella che sarebbe spettata al raggiungimento dell'età pensionabile, calcolata con i contributi minimi già versati, escludendo quindi dal computo, ad ogni effetto, i periodi successivi e la relativa contribuzione meno favorevole e financo dannosa.

In punto rilevanza, essa si presenta all'evidenza concreta e attuale. Si osserva infatti, come risulti documentale la prospettata differenza di retribuzione pensionistica, sfavorevole al lavoratore in ipotesi di stretta e puntuale applicazione delle norme impugnate l'art. 5 legge n. 233/90 infatti impone di calcolare la pensione sulla media del reddito percepito negli ultimi dieci anni di attività e quindi, nel caso di L. T., tenendo conto dei redditi relativi agli anni dal 2000 al 2010 (I° semestre). Media che risulta significativamente più bassa, di quella che si ottiene prendendo come riferimento i redditi prodotti negli anni 1998/2007, data ultima questa in cui, come già specificato, il ricorrente L. T. aveva conseguito il requisito minimo contributivo.

In punto «non manifesta infondatezza» occorre considerare come:

1) nella gestione Assicurazione Generale Obbligatoria è oggi vigente, senza dubbio alcuno, il principio della «sterilizzazione» dei contributi dannosi maturati successivamente al raggiungimento del requisito minimo contributivo.

2) il Tribunale di Pordenone nella sentenza impugnata, consapevole della impossibilità di trattare diversamente situazioni uguali, senza con ciò violare in primis l'art. 3 della Costituzione, ha scelto di applicare il principio della sterilizzazione, elaborato dalla Corte costituzionale in riferimento esplicito al lavoratore subordinato e normativamente all'art. 3, comma 8, legge n. 297/1982, anche al lavoratore autonomo e quindi attraverso una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 5 legge n. 233/90, accogliendo il ricorso del lavoratore.

3) la soluzione accolta dal Tribunale, si presta tuttavia, come del resto puntualmente rilevato dall'INPS nell'atto di appello, ad una severa critica atteso che, da un lato la norma dichiarata incostituzionale nella sentenza più volte richiamata dalla Corte costituzionale, 6 altra (art. 3 comma 8 legge n. 297/1982), rispetto a quella qui impugnata e che disciplina il caso concreto sottoposto a giudizio (art. 5 legge n. 233/90 e art. 1 comma 18, legge n. 335/95) e dall'altro lato, proprio nella sentenza della Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 264/1994), si sottolinea come palesemente contrario al principio di razionalità di cui l'art. 3 della Costituzione - che implica l'esigenza di conformità dell'ordinamento a valori di giustizia e di equità (sentenza n. 421 del 1991) che all'inserimento di un periodo di contribuzione obbligatoria nella base di calcolo della pensione consegua in un sistema che prende in considerazione per la determinazione della retribuzione pensionabile solo l'ultimo periodo lavorativo (in quanto si presume più favorevole per il lavoratore), come unico effetto, un depauperamento del trattamento pensionistico di vecchiaia rispetto a quello già ottenibile ove in tale periodo non vi fosse stata contribuzione alcuna ed il periodo stesso non fosse stato quindi computabile a nessun effetto (neppure, quindi, ai fini della determinazione dell'anzianità contributiva)».

Laddove dunque, non può sfuggire il richiamo operato dalla Corte al «sistema» (leggi AGO), che prende in considerazione per il calcolo della retribuzione pensionabile «solo l'ultimo periodo lavorativo (in quanto si presume più favorevole per il lavoratore)», sistema, che risulta quindi differente e diverso da quello utilizzabile per il calcolo della pensione nel lavoro autonomo, in cui il periodo preso in considerazione è quello relativo agli ultimi dieci anni di attività e ove di certo, non si può «presumere» ma anzi, che gli ultimi anni di attività siano più favorevoli per il lavoratore.

In altre parole, l'interpretazione costituzionalmente orientata adottata nella sentenza de quo dal Tribunale di Pordenone che permette, sempre secondo lo stesso Tribunale di evitare «una evidente disparità di trattamento» in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, risulta invero inammissibile se si presta attenzione ai casi e ai principi richiamati dalla Corte costituzionale nelle sentenze con cui è stato elaborato e fissato il principio della «sterilizzazione» dei contributi dannosi.

Per contro tuttavia, e pur vero che il richiamato principio appare corretto e aderente al dettato costituzionale laddove evita una palese e irragionevole differenza di trattamento, valido certamente nel sistema di lavoro subordinato, ma altrettanto necessario ed urgente anche nel sistema del lavoro autonomo. E parimenti, sul versante della tutela del lavoro in ogni sua forma ed applicazione (art. 35, I comma Cost.), la su riferita diversità di trattamento, come oggi delineata sulla base di una stretta applicazione delta norma impugnata, tra lavoratore subordinato e lavoratore autonomo, risulta difficilmente giustificabile essendo evidente che ogni prestazione di lavoro merita considerazione uguale pure sul versante contributivo, come qui occorso. La tutela del lavoro in tutte le sue forme impone che l'assegno pensionistico non venga falcidiato in caso di lavoratore autonomo e comunque, la tutela di rango costituzionale sopra richiamata, mira anche a rendere appetibile ogni forma (autonoma o meno) di lavoro, sicché una legislazione che penalizza la futura pensione rende meno interessante e dunque tutela di meno il lavoro non subordinato. Infine, con riferimento all'art. 38, I e II comma Costituzione, la differenziazione posta in risalto e il depauperamento che ne deriva, incidendo sulla proporzionalità tra il trattamento pensionistico e la quantità e la qualità del lavoro prestato, contrasta palesemente con il canone della adeguatezza richiamato dalla norma che fa intendere come non si possano trattare in modo diverso, ai fini previdenziali, situazioni consimili.

Non pertinenti infine sul punto, paiono le critiche alla sussistenza del requisito della «non manifesta infondatezza» sollevate da INPS nell'atto di appello, poiché l'applicazione del principio di sterilizzazione dei contributi dannosi non tocca, ne mette in discussione il sistema previdenziale del lavoro autonomo e nello specifico quello delineato dall'art. 5 legge n. 233/90, laddove si prevede che la contribuzione sia proporzionale di anno in anno al reddito prodotto con una stretta interdipendenza dunque tra reddito imponibile in un determinato anno e reddito utile alla pensione per lo stesso anno, ma al contrario evita effetti che si appaleserebbero come irragionevoli siccome non rispondenti all'esigenza di conformità dell'ordinamento ai valori di giustizia e di equità connaturati al principio sancito dall'art. 3 della Costituzione, oltre ad essere in contrasto con le garanzie poste dal successivo art. 38.

Dunque, inammissibile per quanto scritto, una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme in discussione, per risolvere La controversia in esame, senza violare gli articoli 3, 35 e 38 della Costituzione, è necessario che la Corte, unica legittimata, chiarisca ed interpreti gli articoli impugnati, cosi come e stato fatto per le norme relative al trattamento pensionistico nel rapporto di lavoro subordinato, in modo coerente e rispettoso della Costituzione.

(1) Cfr. tra le tante Cort. Cost. n. 201 del 1999.

(2) Cfr. Memoria di costituzione e risposta di primo grado INPS, pag. 3.

(3) Cfr. sentenza tribunale Pordenone n. 24/2015, pag. 6.

(4) Cfr. Sent. Trib. Pordenone n. 24/2015, pag. 7.

(5) Cfr. Atto di appello, pag. 7.

 

P.Q.M.

 

Visti gli art. 134 della Costituzione, 1 l. cost. 1/1948 e 23 l. 87/1953 sospende il presente giudizio rimette gli atti alla Corte costituzionale per il sindacato di legittimità costituzionale dell'art. 5 legge n. 233/90 e art. 1, comma 18, legge n. 335/95 con riguardo agli articoli 3, I e II comma, 35 I comma e 38, I e II comma, della Costituzione nei limiti in premessa esposti.

Ordina che a cura della Cancelleria di questa Corte la presente ordinanza venga trasmessa alla Corte costituzionale e sia comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica, della Camera dei Deputati e notificata al Presidente del Consiglio dei ministri.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. del 27 dicembre 2017, n. 52