Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 gennaio 2018, n. 444

Tributi - Agevolazioni fiscali - Credito d’imposta per investimenti in aree svantaggiate - Art. 8 della Legge 23 dicembre 2000, n. 388 - Società di persone - Attribuzione ai soci - Ripartizione fra la società e i soci - Specifica indicazione - Obbligo - Inesistenza - Ulteriori obblighi - Indicazioni amministrative - Irrilevanza

 

Fatti di causa

 

A seguito di controllo effettuato dall'Agenzia delle Entrate nei confronti della società F.O.L. s.n.c. e dei soci della stessa, diretto a verificare l'esistenza dei presupposti per l'utilizzazione del credito di imposta derivante da investimenti effettuati in aree svantaggiate ex art. 8 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, emergeva che la predetta compagine aveva maturato un credito di imposta pari ad € 127.346,39, a seguito di un investimento effettuate nel 2001, del valore complessivo di € 254.692,79; lo stesso era stato attribuito per il 30% alla società e per il restante 70% ai soci L.L., L.E.M. e L.G., in proporzione alla rispettive quote di partecipazione alle società, e, quindi, utilizzato in compensazione.

L'Amministrazione finanziaria, rilevato che la società contribuente nelle dichiarazioni dei redditi presentate dal 2002 al 2005 non aveva compilato interamente le apposite sezioni del quadro RU relative alla distribuzione del predetto credito di imposta ai soci, considerava il medesimo come indebitamente compensato ed emetteva, conseguentemente, avvisi di recupero per i corrispondenti importi.

Avverso detti avvisi i soci L.L., L.E.M. e L.G. proponevano separati ricorsi, successivamente riuniti, che la C.T.P. di Benevento accoglieva, ritenendo che la predetta omissione non potesse comportare la perdita del credito di imposta.

L'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate avverso tale decisione veniva rigettato dalla C.T.R. della Campania con sentenza n. 24/51/2010, depositata in data 08.02.2010. In particolare, la Commissione Regionale, premessa la natura di dichiarazione di scienza rivestita dalla dichiarazione dei redditi, affermava che dall'insieme degli adempimenti effettuati dalla società e dai soci nelle rispettive dichiarazioni fiscali risultavano sostanzialmente adempiuti gli obblighi di legge relativi alla misura, al riparto ed al complessivo utilizzo in compensazione del credito di imposta, peraltro legittimamente conseguito, e concludeva nel senso che l'incompleta redazione del quadro RU da parte della società nell'anno 2001 non potesse comportare la perdita del diritto ad usufruire del predetto credito.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorse per cassazione, affidato a due motivi, l'Agenzia delle Entrate.

Resistono con controricorso i contribuenti.

 

Ragioni della decisione

 

1. Occorre, preliminarmente, rilevare che dall'esame del contenuto del controricorso e dalla documentazione allegata agli atti emerge l’esistenza di un altro socio del F.O.L. s.n.c., L.N., il quale risulta aver presentato separato ricorso avverso l'atto di recupero della quota del credito di imposta attribuitagli avanti la medesima C.T.P. di Benevento, che veniva accolto con sentenza n. 132/03/2007.

L'appello dell'Ufficio veniva rigettato dalla C.T.R. della Campania con sentenza n. 141/48/2009, di cui non è stata documentata l'irrevocabilità; non risulta, peraltro, la proposizione di ricorso per cassazione avverso tale decisione.

Ciò posto, deve escludersi che, con riferimento alla posizione del predetto socio sussista alcuna ipotesi di litisconsorzio necessario, il cui mancato rispetto comporti la sanzione della nullità assoluta e rilevabile d'ufficio del giudizio, in subiecta materia, invero, la giurisprudenza della Corte ha affermato che «la controversia avente ad oggetto l'atto di recupero di un credito di imposta nei confronti di una società di persone non comporta il litisconsorzio necessario tra la società ed i soci. Invero, differentemente dall'atto di accertamento, che incide immediatamente sull'Imponibile e solo mediatamente sull'Imposta - per cui, avendo ad oggetto un'imposizione IRPEF o ILOR a carico di una società di persone, si riflette automaticamente sull'Imposizione IRPEF a carico dei soci ex art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 - l'atto di recupero incide direttamente sull'imposta già specificamente definita nei confronti della società e su di essa sola gravante, non determinando alcun riflesso su quella definita a carico dei soci». (Cass. sez. 5, 06/08/2014, n. 17648).

2. Con il primo motivo di ricorso, articolato ai sensi dell'art. 360, comma 1, n.3 cod. proc. civ., l'Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 8 legge 23 dicembre 2000, n. 388, in combinato disposto con l'art. 17 d.Igs. 9 luglio 1997, n. 241. Con il secondo motivo, che può essere esaminato congiuntamente al primo in ragione della stretta connessione fra gli stessi esistente, la ricorrente censura l'impugnata sentenza sotto il profilo dell'insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo della controversia in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.

L'Agenzia, in particolare, premesso che il citato art. 8 prevede che il credito di natura agevolativa «é utilizzabile esclusivamente in compensazione, ai sensi del d.Igs n. 241/1997», mediante utilizzo del mod. F:24, riconosce che, alla luce di quanto precisato nella propria Risoluzione in data 18 aprile 2002, n. 120 ed, altresì, in base alla Circolare del 7 giugno 2002, n. 48/E, il credito d'imposta maturato dalla società di persone poteva essere utilizzato sia direttamente in compensazione rispetto ai tributi dovuti dalla società stessa, sia mediante l'attribuzione dello stesso, in tutto o in parte, ai soci proporzionalmente alle rispettive quote di partecipazione agli utili.

Sulla base dei predetti atti, tuttavia, la scelta di ripartire il credito fra i soci doveva risultare dalla dichiarazione dei redditi della società secondo precise modalità: quest'ultima, in particolare, era tenuta ad indicare l'importo del credito attribuito ai soci nell'apposito rigo della propria dichiarazione, unitamente al credito già utilizzato direttamente in compensazione mediante mod. F24; inoltre, la società era tenuta a dare evidenza formale della ripartizione del credito ai soci, comunicando a costoro l'importo a ciascuno di essi assegnato.

Di conseguenza, secondo la ricorrente, dovrebbe ritenersi indebitamente compensato da parte dei soci un credito di imposta, ancorché riconosciuto ai sensi dell'art. 8 della legge n. 388/2000, laddove nell'apposita sezione del quadro RU della dichiarazione della società non sia stata indicata la descritta ripartizione del credito stesso.

Parimenti, secondo l'Agenzia la decisione della CTR sarebbe incorsa nel vizio di insufficienza motivazionale nell'affrontare il punto concernente la mancanza di formale indicazione, da parte del contribuente, della ripartizione dei credito in esame.

3. Entrambi i motivi prospettati dal ricorrente Esultano infondati.

Ai fini di un conveniente inquadramento dei profili problematici relativi alle questioni sottoposte all'esame di questa Corte, è opportuno precisare che, sulla base degli elementi di cognizione a disposizione del Collegio, risultano le seguenti circostanze:

- la società partecipata dagli odierni ricorrenti ha legittimamente conseguito il credito di imposta ex art. 8 legge n. 388/2000 nella misura dichiarata (come, peraltro, confermato dallo stesso p.v.c. redatto in data 20.10.2006, attestante che nei confronti del F.O.L. N. s.n.c. non erano emerse irregolarità);

- tale credito è stato, bensì, indicato dalla società nella dichiarazione dei redditi per l'anno d'imposta 2001 nel suo importo complessivo - quadro SV, in particolare rigo SV11 -, mentre nel quadro RU risulta indicata, oltre agli investimenti lordi e netti, la specifica quota del 30% del credito di imposta che la società intendeva trattenere ed utilizzare per sé (L. 73.763.000, pari ad € 38.095,41: cfr. le indicazioni al rigo RU71, quale «credito spettante», ed al rigo RU73, quale «residuo a riporto»), mentre l'attribuzione del restante 70% ai soci in proporziona della loro rispettiva quota di partecipazione non risulta precisata nello stesso quadro RU del modello unico;

- i singoli soci hanno, correlativamente, indicato nelle proprie dichiarazioni la quota del credito loro attribuita.

A fronte di tali risultanze, va osservato che un obbligo generale di evidenziazione dei crediti d'imposta si rinviene negli artt. 2, 4 e 6 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in materia di contenuto della dichiarazione fiscale delle persone fisiche, delle persone giuridiche e delle società di persone. Con tali disposizioni è stata introdotta, infatti, la necessità di indicare nella dichiarazione dei redditi i dati e gli elementi necessari per l'individuazione del contribuente, per la determinazione dei redditi e delle imposte dovute, nonché per l'effettuazione dei controlli da parte dell'Agenzia delle Entrate.

Ricollegandosi a tali previsioni normative, anche l'art. 8 della legge n. 388/2000, al comma 5, dispone che «Il credito d'imposta è determinato con riguardo ai nuovi investimenti eseguiti in ciascun periodo d'imposta e va indicato nella relativa dichiarazione dei redditi».

4. In tale cornice normativa, si inserisce la Risoluzione n. 120 del 18 aprile 2002 emessa dall'Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale - Normativa e Contenzioso, che, nel riconoscere la libera trasferibilità del credito d'imposta di cui all'art. 8 della legge n. 388/2000, maturato dalle società di persone, ai propri soci in proporzione alle rispettive quote di partecipazione agli utili, ha affermato (cfr., in particolare, a pag. 2 della menzionata Risoluzione) che «la ripartizione del credito tra i soci deve risultare dalla dichiarazione dei redditi della società, la quale dà evidenza formale alla ripartizione stessa. I soci solo dopo aver acquisito nella propria dichiarazione la quota di credito loro assegnata potranno usarla in compensazione». Successivamente, la Circolare n. 48 del 7 giugno 2002, emessa dall'Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale - Gestione Tributi ha indicato in modo più dettagliato le modalità applicative da osservare per l'attribuzione a ciascun socio di una società di persone della quota del credito d'imposta maturato in capo all'ente collettivo; in particolare, la Circolare precisa che la società, in tale ipotesi, deve comprendere l'importo del credito attribuito a soci nel rigo RU72, unitamente al credito già utilizzato in compensazione mediante mod. F24; quanto ai soci, a seguito della comunicazione da parte della società essi possono acquisire nella propria dichiarazione la quota di credito assegnata loro ed utilizzarla in compensazione mediante mod. F24.

5. Così delineate le fondamentali coordinate ricostruttive del caso di specie, deve osservarsi come la società in esame non abbia tout court omesso la compilazione del quadro RU, ma abbia semplicemente mancato di dare "evidenza formale" alla ripartizione del predetto credito fra la società stessa ed i soci, fermo restando che il residuo a riporto del credito in questione (indicato nel rigo RU73, colonna 3 della dichiarazione presentata) si riferisce - in maniera sostanzialmente conforme alla disciplina normativa ed alle stesse prescrizioni dettate dall’Agenzia - al solo credito che la società dichiarante intendeva riportare nei periodi di impesta successivi, già diminuito di quanto ripartito ai soci.

Tale modalità di compilazione della dichiarazione da parte della società (mediante indicazione del credito nel suo importo complessivo nel quadro SV e con riferimento alla specifica quota del credito di imposta che la società dichiarante intendeva trattenere ed utilizzare per sé nel quadro RU) non sembra, innanzitutto, configurare una diretta violazione del quadro normativo citato, dal momento che lo stesso prevede l'indicazione nella dichiarazione del credito di imposta che si intende utilizzare, senza imporre, quale ulteriore adempimento, la specifica indicazione dell'eventuale ripartizione dello stesso fra la società ed i soci, fermo restando che nella specie la società ha evidenziato esattamente tanto il dato complessivo quanto la quota del predetto credito direttamente utilizzata, mentre le quote attribuite ai singoli soci sono state evidenziate nelle dichiarazioni di questi ultimi; né appare superfluo rimarcare che né l'art. 8 citato né l'art. 62, comma 1, lett. a), della legge n. 289/2002, che elenca le cause tassative di decadenza dal contributo conseguito anteriormente alla data dell'8 luglio 2002, ricollegano alla mancata o incompleta indicazione in parola alcuna decadenza dal beneficio.

Quanto al fatto che le modalità di compilazione del predetto quadro RU possano configurare un'inosservanza delle prescrizioni della Risoluzione e della Circolare ministeriale citate, va rilevato che le stesse non costituiscono fonte di diritti ed obblighi in materia tributaria, trattandosi di atti unilaterali della P.A. In tal senso, questa Corte ha affermato il principio secondo cui «l'Amministrazione finanziaria non ha poteri discrezionali nella determinazione delle imposti dovute e, di fronte alle norme tributarie, detta Amministrazione ed il contribuente si trovano su un piano di parità, per cui la c.d. interpretazione ministeriale, sia essa contenuta in circolari o in risoluzioni, non vincola né i contribuenti né i giudici, né costituisce fonte di diritto. Gli atti ministeriali medesimi, quindi, possono dettare agli uffici subordinati criteri di comportamento nella concreta applicazione di norme di legge, ma non possono imporre ai contribuenti nessun adempimento non previsto dalla legge né, soprattutto, attribuire all'inadempimento del contribuente alle prescrizioni di una "risoluzione" un effetto non previsto da una norma di legge», (cfr. Cass. sez. V, 06/08/2008, n. 21154; cfr. anche Cass. sez. V, 18/05/2016, n. 10195)

In tale prospettiva, dovendo comunque farsi riferimento a violazione di obblighi di condotta posti da uno specifico parametro normativo, indicazione del credito nella dichiarazione dei redditi, concepito come condizione necessaria per la sua fruizione, appare rispettoso dell'obbligo previsto dall’art. 8, comma 5, della legge n. 388/2000.

Parimenti, non avendo la ricorrente contestato la sussistenza di tali presupposti e, quindi, l'effettività del credito di imposta, per giunta legittimamente attribuibile ai soci, la sentenza impugnata rimane scevra da censure anche sotto il profilo motivazionale, posto che i giudici di appello, con motivazione sintetica ma congrua oltre che giuridicamente corretta, hanno escluso che, nella specie, le concrete modalità di indicazione del credito in esame potessero precluderne l'utilizzazione, dovendo, per converso, ritenersi che l'insieme degli adempimenti effettuati dalla società e dai soci nelle rispettive dichiarazioni realizzasse un sostanziale adempimento degli obblighi di legge sia in ordine alla misura ed al riporto del credito, sia in ordine alla sua complessiva utilizzazione in compensazione.

Il ricorso dell'Agenzia delle Entrate deve essere, conclusivamente, rigettato. La peculiarità della fattispecie induce il Collegio a disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Compensa fra le parti le spese del giudizio.