Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 gennaio 2018, n. 40

Presunto demansionamento - Astratta qualifica e concreta professionalità

Fatti di causa

La Corte d'Appello di Palermo, in data 12/12/2011, riformando la decisione del Tribunale di Termini Imerese n. 1308/2009, ha escluso il danno da demansionamento nei confronti di G.M., forestale adibito a mansioni di operaio qualificato, in seguito a negativo espletamento della c.d. prova d'arte per l'inquadramento alla mansione di capo squadra presso la Regione Sicilia, Assessorato Agricoltura e Foreste. Tanto ha deciso la Corte sul presupposto che, sebbene il ricorrente fosse qualificato nella lista presso l'ufficio circoscrizionale competente quale capo squadra, per aver svolto presumibilmente tale attività presso imprese non forestali, la Regione ben poteva verificare che all'astratta qualifica corrispondesse la concreta professionalità di capo squadra, richiesta dall'art. 49 del c.c.n.l. del settore, con particolare riferimento alla capacità del lavoratore di gestire e coordinare le misure e le attività concernenti la tutela della sicurezza dei lavoratori.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione G.M. con due censure, cui resiste con tempestivo controricorso l'Assessorato Agricoltura e Foreste.

Il P.G. ha concluso per l'inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il ricorrente, con la prima censura, denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 416, co.3, cod. proc. civ. Sostiene che la regione Sicilia, costituitasi in primo grado ben oltre i dieci giorni precedenti l'udienza di discussione, avrebbe presentato eccezioni nuove che, pur non potendo formare oggetto di decisione, hanno costituito il fondamento della sentenza d'Appello.

La censura sembra riferirsi all'affermazione della Regione secondo cui il fatto che il lavoratore abbia conseguito la qualifica di capo squadra presso imprese private non forestali, non implicherebbe di per sé che egli abbia svolto attività di coordinamento nel settore acquisendo la specifica professionalità di capo squadra.

La prima censura è inammissibile.

Il ricorso manca di autosufficienza in quanto il ricorrente non produce e non trascrive la memoria di (tardiva) costituzione della Regione in primo grado, né la sentenza di primo grado e il ricorso in appello (Cass. Sez. Un. n. 7161/2010).

La censura è altresì inammissibile poiché appare rivolta direttamente contro la sentenza di primo grado, non avendo il ricorrente dedotto di aver posto il tema della tardiva costituzione del convenuto quale motivo d'impugnazione in appello che la Corte territoriale ha mancato di esaminare (Cass. n. 6733/2014).

2. Nella seconda censura il ricorrente deduce violazione degli artt. 2103 c.c. e 8 c.c.n.l. dell'1/8/2002, a norma dei quali il lavoratore deve essere adibito alle mansioni relative alla qualifica di assunzione e retribuito con il trattamento economico ad essa corrispondente. Anche tale censura è inammissibile.

La Corte d'Appello ha statuito che il lavoratore, incluso come operaio qualificato negli elenchi contenenti gli aventi diritto all'avviamento al lavoro presso l'Assessorato agricoltura e foreste della Regione, tenuti presso i competenti uffici circoscrizionali, secondo le procedure regolate dalle norme speciali contenute nella I. reg. n.16/1996 (art. 45 ter) di modifica della I. reg. n.14/2006 (art. 43) (contenente a sua volta "Modifiche e integrazioni alla I. reg. 6/4/1996 di Riordino della legislazione in materia forestale e di tutela della vegetazione"), era stato avviato al lavoro possedendo i requisiti ivi previsti.

Considerando che l'Assessorato interessato aveva fatto richiesta di un caposquadra e che il ricorrente rivestiva tale qualifica per aver ricoperto le relative mansioni presso imprese private non forestali, la Corte d'Appello ha ritenuto legittima la verifica della concreta capacità di questi allo svolgimento delle attività specifiche, declinate dall'art.49 c.c.n.I., recante  Classificazione degli operai", a tal uopo, stimando di particolare rilevanza l'accertamento in ordine alla sua idoneità a farsi carico della sicurezza degli altri lavoratori. La pretesa del ricorrente, volta a voler imputare l'attribuzione della qualifica di operaio qualificato a un demansionamento, per la sua collocazione al primo posto nella graduatoria della lista speciale con la qualifica di capo squadra, si pone, invero al di fuori della delimitazione del thema decidendum operata dalla Corte d'appello, dove il riconoscimento della legittimità dell'inquadramento a seguito dell'esito negativo della prova d'arte, è fatto conseguire all'inesistenza di un diritto soggettivo all'assunzione, essendosi, l'accertamento, svolto a rapporto di lavoro non ancora costituito. Da questo punto di vista il ricorso non è autosufficiente, in quanto il ricorrente non produce né trascrive gli atti difensivi, dai quali possa evincersi che la domanda al Giudice del merito fosse stata posta nei termini sopra formulati, limitandosi al affermare genericamente che "...dalla ricostruzione delle vicende oggetto di causa appare evidente la violazione del disposto di cui all'art. 2103 cod. civ.".

Il diritto del ricorrente a essere adibito alle mansioni della qualifica di assunzione e retribuito con il trattamento economico a essa corrispondente, oggetto della censura, origina, in definitiva, da una ricostruzione del fatto che manca di assoluta chiarezza, in quanto la stessa omette un elemento fondamentale per la decisione, concernente l'esistenza, già al momento dello svolgimento della prova d'arte, di un rapporto di lavoro costituito nella sua pienezza - che avrebbe potuto legittimare una critica di demansionamento rispetto a una qualifica già attribuita - e non invece l'attivazione di una procedura di selezione preceduta da una prova delle concrete attitudini del lavoratore ai fini dell'attribuzione della prima qualifica di assunzione da parte dell'Ente destinatario (Cass. n. 24833/2015).

A tal proposito, si rileva che l'art. 366, co.1, cod. proc. civ., quanto ai requisiti di contenuto-forma del ricorso prevede al n.3 che esso debba contenere, a pena d'inammissibilità, "l'esposizione sommaria dei fatti di causa". Il riferimento al fatto, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, va inteso nella duplice accezione di fatto sostanziale (ossia quanto concernente le pretese reciproche delle parti) e processuale (relativo, cioè, a quanto accaduto nel corso del giudizio, alle domande ed eccezioni formulate dalle parti, ai provvedimenti adottati dal giudice, e a tutto quanto avvenuto nel giudizio di merito).

Quanto, poi al connotato della sommarietà della predetta esposizione, secondo il costante orientamento di questa Corte, perché esso possa dirsi soddisfatto, il ricorso per cassazione deve contenere l'esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica e particolareggiata, dei fatti di causa, da cui devono emergere le reciproche pretese delle parti, dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di Cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamente erronea compiuta dal giudice di merito (Cass. n. 7825/2006; Cass. n. 1926/2015).

E' proprio alla stregua di tale orientamento in tema di carenza espositiva del fatto, inteso come deduzione del contenuto minimo indispensabile della fattispecie, che il ricorso manifesta la sua maggiore debolezza; in particolare, per non aver chiarito, se la prova d'arte cui il lavoratore è stato sottoposto fosse stata eseguita in epoca anteriore o successiva all'assunzione, privando, in tal modo, il giudizio di elementi fondamentali per la corretta comprensione giuridica della controversia, tanto in violazione dell'art. 366, n.3 cod. proc. civ. In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento nei confronti del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 4000 per competenze professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.