Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 novembre 2017, n. 26500

Tributi - Imposte sui redditi - Indagini bancarie - Obbligo di contraddittorio endoprocedimentale prima dell’emissione dell’avviso di accertamento - Esclusione. - Accertamento integrativo - Esistenza e conoscenza di elementi nuovi

 

Fatti di causa

 

Nella controversia concernente l'impugnazione da parte di S.S., medico, dell'avviso con il quale, ai fini dell'IRPEF e dell'IRAP, le erano stati contestati redditi da lavoro autonomo non dichiarati per l'anno di imposta 2006, la C.T.R. del Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l'appello dell'Agenzia delle entrate, confermando la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso della contribuente, in quanto l'atto impositivo era stato emanato prima dei 60 giorni fissati dall'art. 12, co 7 della l. n. 212/2000. Riteneva, inoltre, il Giudice di appello che, avendo la C.T.P. dichiarato cessata la materia del contendere in ordine alla medesima annualità 2006, non potesse essere messa di nuovo in discussione, per il principio del ne bis in idem, la capacità contributiva dell'appellata.

Avverso la sentenza ricorre, su tre motivi, l'Agenzia delle Entrate.

La contribuente resiste con controricorso.

A seguito di proposta ex art. 380 bis c.p.c. è stata fissata l'adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituali comunicazioni. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.

 

Ragioni della decisione

 

1. Preliminarmente vanno rigettate le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla controricorrente rispondendo il ricorso ai dettami di cui all'art. 366 cod.proc.civ.

2. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 12, co. 7, l. n. 212/2000 laddove la C.T.R. aveva applicato detta normativa alla verifica in questione che non si era svolta presso i locali del contribuente ma a mezzo di indagini bancarie.

1.1. La censura è fondata alla luce di Cass. S.U. n. 24823/2015 la quale, oltre a ribadire che l'art. 12, co. 7 della legge n. 212/2000 trova applicazione solo nei casi di verifica fiscale eseguita con accesso nei locali del contribuente, ha affermato il principio per cui <<in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l'Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. "a tavolino">>.

2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 43, comma 3, d.p.r. n. 600/1973 laddove la C.T.R. aveva ritenuto l'atto impositivo, comunque, illegittimo perché trattandosi di accertamento integrativo non era dato ravvisare l'esistenza e la conoscenza di nuovi elementi. Nella specie, essendo pacifico in atti, che l'accertamento integrativo venne emesso alla luce di indagini bancarie (non esperite durante la prima verifica), la censura è fondata alla luce dei principi espressi da Cass. n. 10583 del 13/05/2011: <<In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l'integrazione o modificazione in aumento dell'avviso di accertamento, mediante nuovi avvisi, prevista dall'art. 43, comma 3, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (nel testo vigente "ratione temporis"), deve ritenersi ammessa anche nei casi in cui la successiva conoscenza di nuovi fatti sia la circostanza che, da sola, consenta l'attribuibilità ad un contribuente di elementi di redditività, già noti ed utilizzati a sostegno del primo avviso di accertamento>>. Principi questi, costantemente seguiti da questa Corte e, di recente ribaditi, con sentenza n. 26279 del 20/12/2016: <<In tema di accertamento delle imposte sui redditi, il presupposto per l'integrazione o modificazione in aumento dell'avviso di accertamento, mediante notificazione di nuovi avvisi, è costituito, ex art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, sicché gli accertamenti integrativi non possono essere fondati sugli stessi elementi di fatto del precedente o dei precedenti accertamenti, e la conoscenza dei nuovi elementi deve essere avvenuta in epoca successiva a quella in cui l'accertamento originario è stato notificato>>.

3. E' fondato anche il terzo motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione dell'art. 39 comma 12, d d.l. n. 98/2011, essendo evidente, dal mero tenore testuale della normativa di riferimento, che la sanatoria in esame concerneva la definizione delle "liti pendenti" e non dell'annualità di imposta onde l'irrilevanza nel caso in esame della declaratoria di cessazione della materia del contendere relativa a diverso avviso di accertamento seppure per la stessa annualità.

4. Conclusivamente, il ricorso va accolto con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla C.T.R. del Lazio anche per l'esame delle questioni ritenute assorbite e riproposte dalla controricorrente oltre per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.