Giurisprudenza - TRIBUNALE DI TORINO - Ordinanza 12 aprile 2017

Indennità di maternità - Condizioni - Previsione che tra la sospensione del rapporto e l'inizio del congedo di maternità non siano decorsi più di sessanta giorni - Computo dei sessanta giorni - Ipotesi di deroga - Mancata previsione dell'assenza per congedo straordinario per l'assistenza al coniuge con disabilità

 

Osserva

 

1 - Con ricorso depositato il 28 maggio 2015 F.E.T.R. ha chiesto al Tribunale di accertare e dichiarare il suo diritto di percepire il trattamento economico di maternità per l'intera durata del congedo di maternità, compreso il periodo di interdizione anticipata, dal 1° luglio 2014 al 6 aprile 2015 e per l'effetto di condannare l'I.N.P.S. al pagamento della somma di € 19.292,61, oltre accessori e spese.

Costituendosi in giudizio, l'I.N.P.S. ha affermato di non aver potuto accogliere in sede amministrativa la domanda della ricorrente in quanto «allo stato della normativa» il pagamento dell'indennità di maternità è precluso dall'art. 24, comma 2, decreto legislativo n. 151/2001.

 Dai documenti versati in atti risulta che:

all'inizio della gravidanza, nel mese di maggio 2014, la ricorrente, all'epoca dipendente della A.E.I. S.r.l., stava fruendo continuativamente e da oltre un anno del congedo straordinario retribuito di cui all'art. 42, commi 5 e ss., decreto legislativo n. 151/2001, richiesto per assistere il coniuge gravemente disabile per il periodo 18 marzo 2013 - 31 luglio 2014 (doc. 3-5 ric);

a seguito della richiesta della ricorrente, che aveva accusato gravi complicanze nella gestazione, in data 8 luglio 2014 la competente Asl ha disposto l'interdizione anticipata dal lavoro per gravidanza a rischio, ex art. 17, comma 2, lett. a), decreto legislativo n. 151/2001 con decorrenza 1° luglio 2014 (doc. 6 ric) ed il datore di lavoro ha da subito mutato il titolo dell'assenza (cfr. buste paga sub doc. 1 ric).

Dagli atti risulta altresì che l'I.N.P.S. ha preso atto di tali circostanze, retrodatando la data di cessazione dell'autorizzazione al congedo straordinario al 30 giugno 2014 con provvedimento del 13 novembre (doc. 10 bis ric), ha tuttavia omesso di pagare l'indennità per congedo straordinario per la sua residua, originaria durata (e cioè per il mese di luglio 2014) (1) ed ha contestualmente respinto la richiesta di pagamento dell'indennità di maternità in quanto la collocazione in interdizione anticipata dal lavoro per gravidanza a rischio era avvenuta senza effettiva ripresa dell'attività lavorativa da parte della ricorrente (doc. 8 e 9 ric).

Come osservato dall'I.N.P.S. in sede di discussione, alla sig.ra F. sarebbe bastato riprendere servizio anche per un solo giorno per ottenere l'erogazione della prestazione, non operando in tal caso il divieto di cui al comma 2, dell'art. 24, decreto legislativo n. 151/2001. Tale possibilità le era però preclusa - è pacifico in causa - dal provvedimento di interdizione anticipata dal lavoro emesso dalla Asl.

 2 - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, decreto legislativo 26 marzo 2001 n. 151 è rilevante in quanta nella perdurante vigenza di tale norma, come interpretata sulla base del suo chiaro tenore letterale, alla ricorrente non può essere riconosciuta l'indennità di maternità in ragione della sua pregressa assenza dal lavoro per più di sessanta giorni. 

Questo il testo dell'art. 24, rubricato «Prolungamento del diritto alla corresponsione del trattamento economico»):

 - «1. L'indennità di maternità è corrisposta anche nei casi di risoluzione del rapporto di lavoro previsti dall'art. 54, comma 3, lettere a), b) e c), che si verifichino durante i periodi di congedo di maternità previsti dagli articoli 16 e 17;

 - 2. Le lavoratrici gestanti che si trovino, all'inizio del periodo di congedo di maternità, sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero, disoccupate, sono ammesse al godimento dell'indennità giornaliera di maternità purché tra l'inizio della sospensione, dell'assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano decorsi più di sessanta giorni; 

- 3. Ai fini del computo dei predetti sessanta giorni, non si tiene conto delle assenze dovute a malattia o ad infortunio sul lavoro, accertate e riconosciute dagli enti gestori delle relative assicurazioni sociali, né del periodo di congedo parentale o di congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità, né del periodo di assenza fruito per accudire minori in affidamento, né del periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contralto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale.

- 4. Qualora il congedo di maternità abbia inizio trascorsi sessanta giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e la lavoratrice si trovi, all'inizio del periodo di congedo stess o, disoccupata e in godimento dell'indennità di disoccupazione, ha diritto all'indennità giornaliera di maternità anziché all'indennità ordinaria di disoccupazione;

- 5. La lavoratrice, che si trova nelle condizioni indicate nel comma 4, ma che non è in godimento della indennità di disoccupazione perché nell'ultimo biennio ha effettuato lavorazioni alle dipendenze di terzi non soggette all'obbligo dell'assicurazione contro la disoccupazione, ha diritto all'indennità giornaliera di maternità, purché al momento dell'inizio del congedo di maternità non siano trascorsi più di centottanta giorni dalla data di risoluzione del rapporto e, nell'ultimo biennio che precede il suddetto periodo, risultino a suo favore, nell'assicurazione obbligatoria per le indennità di maternità, ventisei contributi settimanali;

- 6. La lavoratrice che, nel caso di congedo di maternità iniziato dopo sessanta giorni dalla data di sospensione dal lavoro, si trovi, all'inizio del congedo stesso, sospesa e in godimento del trattamento di integrazione salariale a carico della Cassa integrazione guadagni, ha diritto, in luogo di tale trattamento, all'indennità giornaliera di maternità;

- 7. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai casi di fruizione dell'indennità di mobilità di cui all'art. 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223».

Tale disposizione trova applicazione nei caso di specie perché la ricorrente al momento dell'inizio del congedo anticipato di maternità si trovava in congedo straordinario ex art. 42, comma 5, decreto legislativo n. 151/2001 da più di sessanta giorni e si versa dunque nell'ipotesi di cui al comma 2, dell'art. 24, il congedo di cui ha fruito la sig.ra F. integra infatti un'ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro e non è contemplato tra le espresse, tassative eccezioni per le quali i successivi commi dell'art. 24 prevedono, in deroga al regime generale, che possa esser comunque corrisposto dall'I.N.P.S. il trattamento di maternità (nel corso del congedo restano sospese sia l'obbligazione di rendere la prestazione lavorativa, sia quella del datore di lavoro di corrispondere la retribuzione, il pagamento dell'indennità dovuta al lavoratore è posto a carico dell'I.N.P.S. e l'intero periodo non rileva, ai sensi del comma 5-ter, dell'art. 42, decreto legislativo n. 151/2001, ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto, seppur coperto da contribuzione figurativa).

3 - Può ad avviso di questa giudice dubitarsi della conformità alla Costituzione della disciplina sopra delineata nella parte in cui esclude che la lavoratrice, assente dal lavoro perché in congedo per assistere il marito portatore di grave handicap ed impossibilitata a riprendere servizio per gravi complicanze nella gestazione, al termine del congedo straordinario possa fruire dell'indennità di maternità, potendosi ravvisare un contrasto con gli artt. 3; 31, comma 2; 37, comma 1 e 117, comma 1, Cost.

Il beneficio dell'indennità di maternità costituisce attuazione del dettato costituzionale, che esige per la madre e per il bambino «una speciale adeguata protezione» (art. 37, primo comma, Cost.).

Nelle numerose pronunce in tema di tutela delle lavoratrici madri (si vedano, tra le tante, le sentenze n. 361 del 2000, n. 310 del 1999, n. 423 del 1995, n. 132 del 1991, 405/2001, 205/2015), la Corte costituzionale ha sempre posto in rilievo la duplice finalità del sostegno economico alle lavoratrici nei periodi di astensione obbligatoria, consistente nella necessità di tutelare la salute della donna e del nascituro (soprattutto attraverso lo strumento dell'astensione dal lavoro) e di evitare che durante il periodo di assenza la lavoratrice possa versare in condizioni di disagio economico.

 La Corte ha inoltre affermato che la tutela della maternità può essere attuata con interventi legislativi di contenuto e modalità anche diversi in relazione alle caratteristiche di ciascuna delle situazioni in concreto considerate, purché la diversa modulazione della disciplina non si risolva in una ingiustificata esclusione di ogni forma di protezione.

 L'istituto del trattamento economico di maternità, unitamente al congedo di maternità e al divieto di licenziamento, costituiscono puntuale attuazione, oltre che dell'art. 37, comma 2, Cost., anche del principio di uguaglianza sostanziale previsto dall'art. 3, comma 2, Cost., essendo diretti ad «impedire che possano derivare dalla maternità o dagli impegni connessi alla cura del bambino, conseguenze negative e discriminatorie» (così la sentenza n. 423/1995: si vedano anche le sentenze n. 61/1991 e n. 27/1996) e sono volti a mettere la lavoratrice nella condizione di poter «scegliere liberamente di essere madre, senza che tale libertà sia di fatto limitata o condizionata dalla prospettiva di una perdita del proprio reddito lavorativo quale conseguenza della maternità» (così Corte cost. n. 132/91).

 Nella sentenza n. 145/2001 (con la quale è stata dichiarata l'incostituzionalità del primo comma dell'art. 24, comma  1, decreto legislativo n. 151/2001, nella parte in cui escludeva l'erogazione dell'indennità di maternità in caso di licenziamento per giusta causa e dunque per un fatto imputabile alla stessa lavoratrice), la Corte costituzionale ha osservato che i più recenti interventi legislativi «dimostrano come il fondamento della protezione sia sempre più spesso e sempre più nitidamente ricondotto alla maternità in quanto tale e non più, come in passato, solo in quanto  collegata allo svolgimento di un'attività lavorativa subordinata».

L'indennità è infatti ora corrisposta anche alle lavoratrici che fruiscono dell'indennità di disoccupazione e dell'indennità di mobilità (e dunque in assenza di un rapporto di lavoro subordinato in atto, come previsto dall'art. 24, commi 4 e 7, decreto legislativo n. 151/2001), alle lavoratrici autonome e alle libere professioniste (art. 66 e ss. decreto legislativo n. 151/2001). La speciale protezione della maternità, assicurata dagli articoli 31 e 37 della Costituzione, non può ritenersi attuata dalla norma in esame, la quale esclude il diritto all'indennità nel caso di un rapporto di lavoro in atto e solo temporaneamente sospeso perché la lavoratrice è stata costretta ad assentarsi per assistere il coniuge disabile.

 Non appare neppure rispettato il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., non essendo giustificabile il pregiudizio derivante dalla negazione nel caso di specie di qualunque trattamento di maternità, in presenza di una serie di situazioni per le quali invece il legislatore ha espressamente previsto che possa esser corrisposta l'indennità alla lavoratrice non in servizio da oltre sessanta giorni: si tratta delle assenze dovute a malattia, infortunio sul lavoro, congedo parentale o congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità o per accudire minori in affidamento, della mancata prestazione lavorativa in caso di contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, della collocazione in cassa integrazione (art. 24 cit., commi 3, 6, 7). 

La situazione qui in esame non è infatti meritevole di una minor tutela rispetto a quelle dianzi elencate, considerata la natura dell'interesse in funzione del quale è stata prevista la sospensione del rapporto di lavoro della ricorrente: la Corte costituzionale ha chiarito il senso e la portata del congedo straordinario di cui all'art. 42 nella sentenza n. 203/2013, affermando che si tratta di un istituto con cui il legislatore, in attuazione degli artt. 2, 3, 29, 32 e 118, quarto comma, Cost., «ha inteso farsi carico della situazione della persona in stato di bisogno, predisponendo anche i necessari mezzi economici, attraverso il riconoscimento di un diritto al congedo in capo ad un suo congiunto, il quale ne fruirà a beneficio dell'assistito e nell'interesse generale».

La singolarità del trattamento riservato alla lavoratrice che si assenta per assistere il coniuge portatore di handicap appare quindi carente di ogni giustificazione razionale. 

Infine, la previsione in esame non appare rispettosa neppure dell'art. 117, comma 1 Cost., letto in relazione agli articoli 20, 21, 23, 33 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (che, come previsto dall'art. 6 n. 1 TUE, ha lo stesso valore giuridico dei Trattati), i quali enunciano il principio di uguaglianza ed il divieto di discriminazioni e riconoscono il diritto ad un congedo di maternità retribuito ed il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale in caso di maternità. La parte attrice ha da subito ravvisato il contrasto con i suddetti principi, poiché la mancata ripresa dell'attività lavorativa al termine del congedo straordinario è stata determinata esclusivamente dalle complicanze della gravidanza che hanno comportato l'anticipazione del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, ed ha correttamente osservato come il diniego della prestazione, dovuto alla duplice condizione della ricorrente, gestante con gravidanza a rischio e parente di un disabile bisognoso di cure, risulti posto in essere in violazione dei principi comunitari di non discriminazione.

Il primo fattore di discriminazione è il sesso, nella specifica declinazione della gravidanza/maternità come espressamente enunciato all'art. 2, comma 2, lett. c, della direttiva 2006/54 e trasposto nell'ordinamento all'art. 2-bis del decreto legislativo n. 198/06 (introdotto dal decreto legislativo n. 5/2010), ai sensi del quale costituisce discriminazione fondata sul sesso «ogni trattamento meno favorevole in ragione della gravidanza, nonché di maternità o paternità, ancorché adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti».

 Ulteriore fattore di discriminazione attiene all'assistenza al familiare disabile, posto che le previsioni della direttiva 2000/78, attuata col decreto legislativo n. 216/03, ed in particolare il divieto di discriminazione fondato sull'handicap, si applicano non al solo disabile, ma anche a coloro i quali prestano in suo favore la necessaria assistenza (così la Corte di Giustizia 17/7/2008, causa C-303/06, ric. Coleman). 

Il diniego del trattamento economico in caso di astensione anticipata per maternità, motivato dalla continuativa fruizione del diritto al congedo straordinario retribuito di cui all'art. 42, decreto legislativo n. 151 cit., non risulta dunque conforme ai principi dell'ordinamento dell'Unione europea, oltre che ai precetti costituzionali sopra indicati, in quanto pregiudica il diritto del disabile di ricevere assistenza all'interno del proprio nucleo familiare ed il diritto della lavoratrice di prestare assistenza al proprio coniuge disabile (laddove impone a quest'ultima, qualora insorga uno stato di gravidanza, di sacrificare anzitempo tale assistenza per riprendere il rapporto di lavoro prima dell'astensione obbligatoria); al contempo, comprime la libertà della lavoratrice di scegliere quando diventare madre (in considerazione della possibilità di perdere il diritto all'indennità di maternità nel caso in cui complicanze della gestazione non consentano la ripresa del servizio al termine del congedo straordinario). 

 4 - Per le ragioni dianzi indicate, non essendo possibile pervenire ad un'interpretazione conforme alla Costituzione, data la tassatività delle ipotesi per le quali l'art. 24 cit. prevede che possa esser erogata la prestazione pur in presenza di una sospensione del rapporto superiore a sessanta giorni, la questione deve essere rimessa alla Corte costituzionale. Diversamente da quanto sostenuto dalla parte attrice, infatti, se il conflitto fra norme interne e norme dell'Unione europea di diretta applicazione può essere risolto applicando la norma dell'Unione e conseguentemente negando applicazione alla norma interna incompatibile, il conflitto della norma interna con i principi della Costituzione riconosciuti anche dal diritto euro unitario può essere risolto solo attraverso un espresso sindacato di legittimità sull'atto legislativo ordinario da parte dell'organo competente, essendo precluso al giudice comune disapplicare direttamente le norme legislative riguardo alle quali sorga il dubbio di compatibilità con i precetti costituzionali.

 

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(1) Nelle note depositate il 10 febbraio 2017 l'I.N.P.S. ha riferito  di aver medio tempore «ripristinato il pagamento por congedo  straordinario per il mese di luglio 2014» ma nulla ha prodotto al  riguardo, tale circostanza è stata comunque contestata dalla  parte ricorrente, la quale ha negato di aver percepito alcunché  dall'ente nelle more del giudizio.

 

P.Q.M.

 

Visto l'art. 23, legge n. 87/1953,

dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, comma 2 e ss., decreto legislativo n. 151/2001 nella parte in cui non prevede che il trattamento di maternità sia erogato anche alla lavoratrice che abbia fruito di congedo ex art. 42, comma 5, decreto legislativo n. 151/2001 e che al momento della richiesta non abbia ripreso a lavorare da più di sessanta giorni;

dispone la notificazione del presente provvedimento, in copia conforme integrale, al Presidente del Consiglio dei ministri e alle parti in causa;

 dispone la comunicazione della presente ordinanza, in copia conforme integrale, ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;   dispone all'esito l'immediata trasmissione degli atti - ivi comprese le prove delle anzidette notificazioni e comunicazioni - alla Corte costituzionale;

sospende il giudizio in corso;

manda alla Cancelleria per gli adempimenti di sopra.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. della Corte Costituzionale 04 ottobre 2017, n. 40.