Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 febbraio 2018, n. 7017

Reati tributari - Evasione fiscale - Sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente - Conto corrente - Stipendi mensili versati dal datore di lavoro - Somme necessarie al sostentamento sia proprio che dei familiari conviventi - Pignorabilità

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con ordinanza in data 17.3.2017 il Tribunale di Ascoli Piceno, adito in sede di riesame, ha confermato il sequestro preventivo disposto nei confronti di N.T., indagata per reati tributari di varia tipologia comportanti un'evasione di imposta per un importo stimato superiore ad € 25.000.000, dal GIP presso il Tribunale della stessa città sul conto corrente bancario alla medesima intestato.

Avverso la suddetta ordinanza l'imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p.. Con il primo motivo deduce in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 323 e 570 c.p.p.. ed alla violazione dei diritti dell'Uomo e dei diritti del fanciullo, che il sequestro disposto sul proprio conto corrente, sul quale venivano versati dal datore di lavoro gli stipendi mensili e su due libretti postali intestati ai figli minori con vincolo pupillare, la aveva privata di ogni mezzo di sostentamento così come della possibilità di provvedere a quello dei figli e dell'anziana madre con lei convivente, essendo l'unica percettrice di reddito all'interno del nucleo familiare, onde la misura cautelare disposta si configura come abuso di potere.

2. Con il secondo motivo contesta, in relazione al vizio motivazionale, le affermazioni relative al fatto che il danaro depositato sul c/c alla stessa intestato configurerebbe il provento ricavato dalle condotte addebitatele, e che l'assenza di movimentazioni nel periodo successivo all'agosto 2015 non avrebbe alcun rilievo essendo allora gli indagati già a conoscenza delle imputazioni a loro carico, laddove invece si tratta di conto corrente aperto proprio all'epoca delle indagini, in relazione al quale l'assenza di movimentazione anomala non poteva essere riscontrata perché insussistente.

3. Con il terzo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'art. 316 c.p.p., che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente è consentito solo nei limiti di un quinto degli emolumenti retributivi al netto delle ritenute, mentre il sequestro disposto nei suoi confronti era ricaduto sulle intere somme percepite a titolo di stipendio quale lavoratrice subordinata, sull'indennità di disoccupazione e sui libretti intestati ai figli, in violazione dei limiti di legge.

 

Considerato in diritto

 

I tre i motivi di ricorso possono esaminarsi congiuntamente attenendo tutti, sia pure in relazione alle diverse norme di legge indicate, alla pignorabilità delle somme su cui è stato disposto il sequestro, che a detta della ricorrente costituirebbero le somme necessarie a garantire il sostentamento sia proprio che dei familiari seco conviventi.

Premesso che il sequestro in esame è stato eseguito sul conto corrente dell'indagata, la norma di diritto interno invocata dalla difesa, ovverosia l'art. 1 d.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180 (testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni) non trova applicazione nel caso di specie non trattandosi di sequestro disposto sulle somme corrisposte mensilmente a titolo di stipendio, bensì sulle somme in giacenza sul conto corrente a costei intestato, la cui provenienza è priva di rilievo, una volta che vengano ivi accantonate. Configurando la misura cautelare in esame un sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, misura questa estesa ai reati tributari dall'art. 1, comma 143 L. 24 dicembre 2007, n. 244 (Legge finanziaria 2008), che prevede che "nei casi di cui al del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2, 3, 4, 5, art. 8, bis, art. 10 ter, artt. 10 quater e 11 si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all'art. 322 ter c.p.", occorre evidenziare che, come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il profitto del reato si identifica nei reati tributari, dove non necessariamente l'operazione posta in essere si realizza in un incremento patrimoniale del reo, ben potendosi risolvere in un risparmio di imposta e dunque di spesa, con il vantaggio economico derivante dalla commissione dell'illecito consistente nella sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, come per lo più avviene nel caso di evasione di imposta o di mancato versamento del tributo.

Pertanto, qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta non necessitando, in considerazione della natura fungibile del bene, della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato atteso che se l'operazione fiscale penalmente rilevante ha consentito il mantenimento nel patrimonio dell'agente di una somma di danaro, è inevitabile ritenere che quella somma di danaro, quand'anche preesistente, sia perciò, con la commissione del reato, diventata illecita. (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015 - dep. 21/07/2015, Lucci, Rv. 264437).

Quanto alla contestata pignorabilità di due libretti di risparmio intestati ai figli minori con vincolo pupillare e di una "carta acquisti" emessa dalle Poste, va rilevato che non soltanto non risulta dall'ordinanza impugnata che la misura cautelare abbia ad oggetto beni ulteriori e diversi rispetto al conto corrente bancario sopra indicato, ma che in ogni caso nessuna doglianza è stata svolta sul punto nell'impugnazione svolta innanzi al Tribunale del Riesame: in tema di misure cautelari, malgrado l'effetto integralmente devolutivo del riesame ed il connesso potere del giudice di riconsiderare l'intera res iudicanda indipendentemente dalle prospettazioni delle parti, non è tuttavia possibile prospettare in sede di legittimità motivi di censura non sollevati innanzi al tribunale del riesame, ove essi non siano rilevabili d'ufficio, essendo precluso a questa Corte di decidere su violazioni di legge i cui presupposti di fatto non siano stati già esaminati dal giudice del merito (Sez. 2, n. 11027 del 20/01/2016 - dep. 16/03/2016, Iuliucci, Rv. 266226), fermo restando che trattasi comunque di doglianza eventualmente spendibile in sede esecutiva.

La manifesta infondatezza delle doglianze svolte impone di ritenere il ricorso inammissibile. Segue a tale esito la condanna della ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende.

 

P.Q.M.

 

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.