Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 luglio 2017, n. 18845

Licenziamento - Sanzioni disciplinari - Sospensione dal lavoro - Cambiamento dell'orario di lavoro - Conversione in licenziamento per giustificato motivo soggettivo

 

Fatti di causa

 

1. Con la sentenza n. 1065/2014 la Corte di appello di Milano ha confermato la pronuncia il 15 giugno 2011 emessa dal Tribunale di Varese con la quale, in parziale accoglimento del ricorso proposto da A.B. diretto ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli dalla W.E. srl in data 23.6.2008, delle sanzioni disciplinari di sospensione dal lavoro del marzo e dell'aprile 2008, del cambiamento dell'orario di lavoro da serale a diurno nonché il risarcimento dei danni patiti per la condotta datoriale, aveva convertito il licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo condannando la società al pagamento dell'indennità di mancato preavviso e al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento sino al termine della malattia.

2. A fondamento della decisione i giudici di seconde cure hanno evidenziato, per quello che interessa in questa sede, che: a) non vi era stata violazione dell'art. 7 dello Statuto dei lavoratori, per non essere stata consentita l'audizione del lavoratore, perché nel caso in esame il B. aveva più volte chiesto, in prossimità della data fissata, di spostare la stessa a causa del suo stato di malattia ed era un dato pacifico che non solo non fosse impossibilitato ad uscire da casa (tanto è che in due occasioni fu accertata la sua assenza dal proprio domicilio durante la malattia) ma che nemmeno versasse in una situazione psicologica tale da impedirgli di esercitare compiutamente il diritto di difesa; b) non vi era stata alcuna domanda specifica di demansionamento avendo il ricorrente messo in relazione le condotte denunziate con una situazione di mobbing asseritamente posta in essere dalla società; c) la domanda di declaratoria di illegittimità del cambiamento dell'orario di lavoro (da seriale a diurno), ritenuto, invece, legittimo in primo grado, non era stata più riproposta in appello; d) sussisteva il requisito della motivazione, sia per le sanzioni che per il licenziamento, atteso che le lettere con cui erano state irrogati richiamavano le contestazioni disciplinari e le giustificazioni; 5) il licenziamento si era dimostrato legittimamente adottato perché le inadempienze contestate (prestazione lavorativa frammentaria, mancato rispetto dell'orario di lavoro ed interruzione dell'attività per motivi futili e pretestuosi) non potevano essere espressione del legittimo rifiuto ad eseguire una prestazione nociva per la sua salute.

3. Per la cassazione propone ricorso A.B. affidato a quattro motivi.

4. Resiste con controricorso la W.E. srl.

5. La società ha depositato memoria ex art. 378 cpc.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 7 legge n. 300/1970, in relazione all'art. 360 n. 3 cpc, deducendo che alcuni fatti riportati nella motivazione della impugnata sentenza non corrispondevano a verità, come le richieste di rinvio dell'audizione che non erano state plurime ma solo due, lo stato di malattia che non era sopraggiunto a ridosso del primo incontro fissato per il 14.5.2008 ma risaliva al 9.5.2008, la possibilità di uscire da casa smentita dalla circostanza della patologia (Sindrome ansiosa e depressiva) di cui era affetto che era tale da impedirgli di esercitare compiutamente il diritto di difesa, di talché non risultava dall'esame dei fatti di causa che il suo comportamento, in ragione dei principi di correttezza e buone fede, fosse a considerare dilatorio.

2. Con il secondo e terzo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge n. 604/1066 (ndr art. 3 della legge n. 604/1966) nonché l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione all'art. 360 n. 5 cpc) per non avere la Corte distrettuale esaminato il gravame riguardante l'omessa valutazione, da parte del Tribunale, della diversa prospettazione del licenziamento come avente "natura non disciplinare" perché era stato il suo stato di salute ad avere determinato i fatti addebitati.

3. Con il quarto motivo il ricorrente si duole dell'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (mobbing e risarcimento del danno) in relazione all'art. 360 n. 5 cpc, per avere i giudici di seconde cure omesso di esaminare la circostanza del demansionamento da esso subito negli ultimi quattro anni di attività lavorativa che costituiva il secondo motivo di gravame.

4. Il primo motivo è inammissibile.

5. In realtà, la doglianza è essenzialmente intesa alla sollecitazione di una rivisitazione del merito della vicenda e alla contestazione della valutazione probatoria operata dalla Corte territoriale sostanziante il suo accertamento in fatto, di esclusiva spettanza del giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16.12.2011 n. 27197; Cass. 18.3.2011 n. 6288).

6. E ciò per la corretta ed esauriente argomentazione, senza alcun vizio logico nel ragionamento decisorio delle ragioni per cui era stato ritenuto che il lavoratore non fosse impossibilitato ad uscire da casa e che non versasse in una situazione psicologica tale da impedirgli di esercitare in modo completo il diritto di difesa; il tutto avvalorato dal fatto che il B., in occasione dell'ultima richiesta di differimento dell'audizione, aveva reso delle giustificazioni scritte tramite il sindacato.

7. Il secondo ed il terzo motivo sono infondati.

8. L'art. 360 comma 1 n. 5 cpc, riformato dall'art. 54 del DL. 22.6.2012 n. 83 conv. in legge 7.8.2012 n. 134, applicabile ratione temporis alla fattispecie in concreto, ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunziabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. Sez. Un. 7.4.2014 n. 8053).

9. Dal contesto della sentenza impugnata è agevole rilevare che i fatti contestati, che avevano portato al recesso, riguardavano specifici comportamenti del lavoratore posti in violazione degli obblighi legali e contrattuali a suo carico ed avevano, pertanto, valenza sotto il profilo esclusivamente disciplinare.

10.1 giudici del merito, con argomentazioni logiche e corrette giuridicamente, hanno evidenziato che le inadempienze contestate al B. non potevano essere espressione del legittimo rifiuto ad eseguire una prestazione nociva per la sua salute e che, per le ore trasmesse in infermeria, non era stata accertata una incompatibilità della attività lavorativa con le sue condizioni di salute.

11. Sia con riguardo al vizio ex art. 360 n. 5 cpc (come sopra specificato) che alla dedotta violazione dell'art. 3 della legge n. 604/1966, rispetto alla quale nessun vizio di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta normativa è stata dedotta specificamente, alcuna erronea determinazione è, quindi, ravvisabile negli assunti della Corte distrettuale.

12. Infine, anche il quarto motivo non è meritevole di pregio.

13. In primo luogo, deve precisarsi che l'omessa pronuncia su domande o questioni sollevate nel giudizio da parte del giudice di merito integra violazione dell'art. 112 cpc che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 4 dello stesso codice di rito; pertanto è inammissibile il motivo con il quale siffatta censura sia proposta sotto il profilo della violazione di norme di diritto (riconducibile al n. 3 del citato articolo 360 cpc) ovvero come vizio della motivazione, incasellabile nel n. 5 dello stesso articolo (Cass. 13.6.2014 n. 13842).

14. In secondo luogo, accanto al suddetto profilo di inammissibilità, va osservato che la Corte territoriale ha omesso di valutare la questione sul demansionamento perché non era stata formulata in proposito alcuna domanda nel ricorso ex art. 414 cpc, come è stato precisato in motivazione.

15. Inoltre, con valutazione in fatto incensurabile in sede di legittimità, ha rilevato che la tematica del risarcimento del danno era stata messa in relazione non in ragione di un demansionamento, ma di una situazione di mobbing posta in essere con il cambio del turno da serale a diurno attraverso una domanda che non era stata più riproposta in sede di appello.

16. A fronte di tali precisazioni, il ricorrente non ha offerto elementi, con riguardo agli atti processuali proposti, per confutare tali conclusioni mediante la precisa indicazione del "come" e del "quando" i dati decisivi ritenuti non esaminati siano stati prospettati.

17. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

18. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.