Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 novembre 2016, n. 22788

Licenziamento collettivo - Cessazione appalto - Dipendenti da licenziare i soli addetti all'appalto - Inidoneità delle ragioni di tale restrizione

Svolgimento del processo

 

Con separati ricorsi del 24.9 e del 9.10.14, la C.L.O.- proponeva reclamo avverso le sentenze n. 2550/14 e n. 2749/14 del Tribunale di Milano che, decidendo in sede di opposizione avverso ordinanze emesse ai sensi dell'art. 1 comma 49, L. n. 92/12, aveva ritenuto l'illegittimità dei recessi dalla stessa intimati ai reclamanti, tutti impiegati presso il magazzino AUTOGRILL di P.E., all'esito della procedura di licenziamento collettivo attivata dalla cooperativa in seguito alla cessazione del relativo appalto.

I primi giudici avevano entrambi ritenuto illegittima la limitazione della platea dei dipendenti da licenziare ai soli addetti all'appalto cessato anziché a tutti quelli operanti con identiche mansioni presso altre sedi della cooperativa, stante l'inidoneità delle ragioni addotte dalla società a giustificazione di tale restrizione, quali la diversità di organizzazione oraria del lavoro, di andamento stagionale dell'attività, di tipologia di merce stoccata nei vari magazzini, a giustificare la pretesa infungibilità delle attività lavorative svolte.

Su tali presupposti - nell'un caso in riforma e nell'altro in conferma delle ordinanze emesse in sede sommaria - era stata applicata in favore dei lavoratori licenziati la tutela della reintegra e risarcitoria piena.

La C.L.O. lamentava che fosse stata esclusa la natura autonoma del magazzino AUTOGRILL, legittimante la riduzione della platea dei destinatari dei licenziamenti.

Radicatosi il contraddittorio, con sentenza pubblicata il 4.12.14, la Corte d'appello di Milano rigettava il reclamo.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la cooperativa C.L.O., affidato a sei motivi.

Resistono i lavoratori con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

Deve pregiudizialmente dichiararsi l'estinzione del processo, in presenza di formale rinuncia al presente ricorso da parte della società, con i lavoratori indicati in dispositivo (per aver raggiunto con essi un accordo transattivo in sede sindacale).

La rinuncia risulta accettata, sicché il giudizio deve dichiararsi estinto tra le dette parti, senza esservi luogo per una pronuncia sulle spese, ex art. 391, comma terzo, c.p.c.

Per il resto si osserva.

1. - Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione dell'art. 414 c.p.c., richiamato dall'art. 1, comma 51, L. n. 92/12, e dell'art. 115 c.p.c.

Lamenta che il ricorso in opposizione di una delle lavoratrici non conteneva i requisiti di cui all'art. 414 c.p.c., non avendo censurato la sussistenza delle ragioni che avevano portato a delimitare la platea dei destinatari dei recessi ai soli addetti all'unità produttiva di P.E..

Il motivo, già giudicato infondato dalla corte di merito, è in questa sede inammissibile, sia per difetto di autosufficienza in relazione all'art. 366 n. 3 c.p.c., sia per non aver prodotto la ricorrente il ricorso in questione.

2. - Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 115 e 416 c.p.c., quest'ultimo richiamato dall'art. 1, comma 53 L. n. 92/12 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).

Lamenta che le ragioni giustificative della riduzione della platea dei soci ai quali intimare il recesso, indicate nella lettera di apertura della procedura, non erano state contestate, sicché la sentenza impugnata non avrebbe potuto esaminare la questione.

Il motivo è inammissibile per non risultare l'eccezione proposta in sede di merito. Deve infatti considerarsi che, nulla risultando al riguardo nella sentenza impugnata, era onere della parte odierna ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, indicare in quale specifico atto del giudizio precedente (ed in quali termini) ciò sarebbe avvenuto, onde dar modo alla Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (cfr. Cass. n.7149\2015, Cass.n. 23675\2013).

3. - Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 3, della L. 2.4.01 n. 142, oltre all'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, nn.3 e 5 c.p.c.).

Lamenta che la sentenza impugnata aveva ritenuto priva di rilievo la dichiarazione rilasciata da S.B. per conto di tutti gli altri soci addetti al magazzino Autogrill. Lamenta che la corretta lettura dell'art. 1 della legge n. 142/01 doveva comportare che l'applicazione "delle norme giuslavoristiche" conseguenti alla instaurazione del rapporto di lavoro subordinato, non poteva prescindere dalla compatibilità con la posizione del socio lavoratore e dunque considerare ai fini dell'applicazione dei criteri di essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale. Ne conseguirebbe che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative.

Il motivo è infondato.

Questa Corte, pur avendo nella sentenza n. 9711/11 (nella sostanza richiamata dalla ricorrente), affermato che è comunque onere del datore provare il fatto che determina l'oggettiva limitazione di queste esigenze e giustificare il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata, nei più recenti arresti ha chiarito che in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, anche qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione dell'impresa. Tuttavia il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto o settore se essi siano idonei - per il pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda - ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto (magazzino Autogrill di cui nulla è dedotto circa eventuali caratteristiche idoneo a contraddistinguerlo da altri analoghi), trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative, cfr. Cass. n. 203/15, Cass. n. 13698/15.

5. - Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 L. n. 223/91 e dell'art. 30 L. n. 183/10.

Lamenta che la corte di merito sindacò, di fatto, l'effettività delle ragioni indicate dalla società nella lettera di apertura della procedura, in contrasto col menzionato art. 30 L. n. 183/10; evidenzia che la contestazione delle ragioni addotte per la limitazione della platea dei destinatari dei recessi non era mai stata sollevata.

Il motivo è in buona parte inammissibile per le medesime ragioni di cui al punto 2); per il resto è infondato avendo la corte meneghina solo ritenuto, in sintonia col riferito orientamento di legittimità, che la prova, gravante sulla datrice di lavoro, a sostegno della peculiarità dell'unità produttiva all'interno della quale (soltanto) furono operati i licenziamenti, non era stata fornita dalla C.L.O. E' evidente che in tal caso il riferimento all'art. 30 L. n. 183/10 è del tutto inconferente, non rientrando le norme in materia di licenziamenti collettivi tra le clausole generali di cui al citato art. 30 ed essendo ben sindacabile dal giudice, come in precedenza detto, la riduzione della platea dei destinatari degli atti di recesso in assenza di oggettive esigenze aziendali, ed inoltre in caso di fungibilità (per equivalenza di professionalità) rispetto agli addetti ad altre realtà produttive, non interessate dalle determinazioni aziendali in tema di riduzione del personale.

6. - Con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 92 c.p.c., per aver posto la sentenza impugnata a carico della società ricorrente le spese di lite, stante la complessità e peculiarità della vicenda processuale.

Il motivo è infondato in quanto, in base alle considerazioni sin qui svolte, non si intravedono ragioni per derogare al principio della soccombenza in materia di spese processuali.

7. - Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara estinto il giudizio nei confronti di B.O., F.G., F.F., M.A., P.R. e S.S.I.. Nulla per le spese del relativo procedimento.

Rigetta per il resto il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, pari ad €.100,00 per esborsi, €.5.000,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a., da distrarsi in favore degli avv. A.C. e A.G..

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.