Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 maggio 2018, n. 11651

Rapporto di lavoro - Trasferimento - Familiare con handicap in situazione di gravità - Scelta della sede più vicina al domicilio - Vacanza del posto in organico

 

Fatto

 

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza del giudice di primo grado, che aveva respinto il ricorso proposto nei confronti del Ministero della Giustizia da V.M., dipendente del Ministero della Giustizia in organico presso l'Ufficio NEP del Tribunale di Massa e distaccata presso il Tribunale di Civitavecchia.

2. La M. aveva agito in giudizio per ottenere il riconoscimento del diritto ad essere trasferita, ai sensi dell'art. 33 c. 5 della L. n. 104 del 1992, al Tribunale di Civitavecchia ovvero al Tribunale di Roma, ovvero presso altro ufficio giudiziario vicino al suo luogo di residenza per assistere la madre riconosciuta persona con handicap in situazione di gravità.

3. La Corte territoriale, precisato che l'art. 33 c. 5 della L. n. 104 del 1992 riconosce il diritto del lavoratore di scegliere la sede più vicina al proprio domicilio può essere riconosciuto solo "ove possibile", ha rilevato che presso il Tribunale di Civitavecchia non sussisteva la vacanza del posto in organico. Ha, inoltre, ritenuto che: i posti oltre che vacanti devono essere anche "disponibili"; la circostanza che il Tribunale di Civitavecchia risultasse sottodimensionato era irrilevante; non doveva essere effettuata la comparazione tra le esigenze dell'Ufficio di provenienza con quelle dell'Ufficio al quale il lavoratore aspira ad essere trasferito; gli oneri probatori gravanti sulla P.A. datrice di lavoro postulano comunque la precisa individuazione degli uffici presso i quali il lavoratore chiede di essere trasferito, individuazione non effettuata dalla lavoratrice.

4. Avverso questa sentenza la M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi al quale ha resistito con controricorso il Ministero della Giustizia.

 

Motivi

 

Sintesi dei motivi

5. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., la violazione dell'art. 33, c. 5 della legge 5.02.92 n. 104. Sostiene che l'art. 33 c. 5 della L. n. 104 del 1992 attribuisce un diritto soggettivo al trasferimento perché mira a garantire la tutela della persona affetta da handicap grave e che tale diritto può essere negato solo in caso di circostanze oggettive impeditive ovvero nei casi in cui il trasferimento non risulti compatibile con le esigenze della P.A. e che quest'ultima è tenuta a motivare congruamente il diniego del trasferimento. Assume che la decisione impugnata contrasta gli orientamenti giurisprudenziali più recenti e con le circolari ministeriali n. 21350 del 16.5.2003 e n. 13 del 6.12.2010 che indicano i presupposti oggettivi e soggettivi per la concessione del beneficio rivendicato. Precisato che l'onere di provare l'esistenza di fatti ostativi al trasferimento grava sulla P.A. datrice di lavoro, deduce che pur non avendo il Ministero mai allegato né provato che presso il Tribunale di Civitavecchia non vi fossero vuoti di organico e /o posti disponibili nell'ambito della qualifica rivestita da essa ricorrente (operatore B2) la Corte territoriale aveva ritenuto di ufficio l'inesistenza di vuoti di organico presso tale Tribunale.

6. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Imputa alla Corte territoriale di non avere esaminato le censure formulate con l'atto di appello e la documentazione allegata da essa ricorrente (attestazioni del Presidente del Tribunale di Civitavecchia sulla indispensabilità del lavoro svolto da essa ricorrente e sul mancato rispetto del coefficiente del rapporto magistrati/personale Amministrativo indicato dal Ministero; certificazione del Cancelliere relativa alla essenzialità del contributo apportato da essa ricorrente per la sopravvivenza ed il buon andamento dell'Ufficio Decreti Penali del Tribunale di Civitavecchia).

Esame dei motivi

7. Il primo motivo è infondato.

8. Il c. 5 dell'art. 33 della L. 5.2.1992 n. 104, nel testo applicabile "ratione temporis", la ricorrente ha agito in giudizio per il riconoscimento del diritto "a scegliere la sede più vicina alla propria residenza" (ricorso pg. 2 e 10; sentenza impugnata pg. 2), dispone che "Il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede."

9. La Corte costituzionale, con ripetute pronunce, ha affermato che la L. n. 104 del 1992 mira a garantire diritti umani fondamentali, ha chiarito che l'istituto disciplinato dall'art. 33 c. 5 non è l'unico idoneo a tutelare la condizione di bisogno della "persona handicappata" (C. Cost. n. 406 del 1992, n. 325 del 1996, n. 246 del 1997, n. 396 del 1997) ed ha precisato che la possibilità di applicazione della disposizione contenuta nell'art. 33 c. 5 della L. n. 104 del 1992 può essere legittimamente preclusa da principi e da disposizioni che, per la tutela di rilevanti interessi collettivi, non consentano l'espletamento dell'attività lavorativa con determinate dislocazioni territoriali (C. Cost. n. 372 del 2002).

10. I principi innanzi richiamati hanno ispirato l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte che è giunta agli approdi interpretativi così sintetizzabili: il diritto di scelta della sede di lavoro più vicina al domicilio da assistere non è assoluto e privo di condizione in quanto l'inciso "ove possibile" contenuto nell'art. 43 c. 5 della L. n. 104 del 1992 postula un adeguato bilanciamento degli interessi in conflitto, e il recesso del diritto stesso ove risulti incompatibile con le esigenze economiche e organizzative del datore di lavoro, poiché in tali casi - segnatamente per quanto attiene ai rapporti di lavoro pubblico - potrebbe determinarsi un danno per la collettività (Cass. SSUU 6917/2015, 7945/2008; Cass. 585/2016, 1396/2006, 829/2001, 12692/2002); nell'ambito del necessario bilanciamento dei contrapposti interessi il diritto di scegliere la sede di lavoro ovvero di essere trasferito alla sede più vicina al proprio domicilio postula che il posto sia esistente e vacante (Cass. 16298/2015, 18030/2014); nell'ambito del lavoro alle dipendenze della P.A. è necessario non solo che il posto al quale il pubblico dipendente aspira ad essere assegnato sia vacante ma che esso sia anche disponibile (Cass. 1396/2006) in quanto il presupposto della vacanza, peculiare nelle organizzazioni pubbliche, in quanto riflesso delle cd "piante organiche", esprime una mera potenzialità che assurge ad attualità soltanto con la decisione organizzativa della P.A. che assume a presupposto indubbiamente la vacanza di organico, ma che deve esprimere l'interesse concreto ed attuale dell'Amministrazione di procedere alla sua copertura, rendendo per tal via disponibili eventuale vacanze nell'organico, pena la compressione delle esigenze organizzative della P.A. (Cass. SSUU 14529/2003; Cass. 1396/2006, 3252/2003); grava sulla parte datoriale l'onere di provare la sussistenza di ragioni organizzative, tecniche e produttive che impediscono l'accoglimento delle richieste del lavoratore (Cass. SSUU 7945/2008; Cass. 23857/2017).

11. Va osservato che in tema di pubblico impiego contrattualizzato, l'organizzazione, la consistenza e la variazione delle dotazioni organiche sono determinate in funzione dell'efficienza dell'amministrazione, della razionalizzazione del costo del lavoro pubblico e della migliore utilizzazione delle risorse umane, in conformità ai principi espressi dagli artt. 1, comma 1, e 6 del d.lgs. n. 165 del 2001, restando affidata alla discrezionalità della P.A. la determinazione e revisione della pianta organica (Cass. 18191/2016).

12. Il Collegio ritiene di dare continuità ai principi affermati nelle sentenze sopra richiamate condividendone le ragioni esposte, da intendersi qui richiamate ai sensi art. 118 disp. att. c.p.c., atteso che il ricorso non apporta argomenti decisivi che impongano la rimeditazione di tali principi.

13. Di tali principi la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione alla fattispecie dedotta in giudizio avendo affermato che il diritto al trasferimento ai sensi dell'art. 33 c. 5 della L n. 104 del 1992 sussiste ove ricorra il requisito della vacanza del posto e ove il posto sia anche reso "disponibile" dalla decisione organizzativa della P. A. di coprire la vacanza e avendo accertato che presso il Tribunale di Civitavecchia non vi era vacanza di posto in organico.

14. Va, pertanto, rigettata la censura che ha imputato la violazione e la falsa applicazione della disposizione innanzi richiamata.

15. E', del pari, infondata la censura che imputa alla Corte territoriale la violazione delle circolari ministeriali n. 213520 del 16.5.2003 e n. 13 del 6.10.2010.

16. Va al riguardo ribadito il principio più volte affermato da questa Corte, secondo cui la violazione di circolari di provenienza anche ministeriale non può costituire motivo di ricorso per Cassazione sotto il profilo della violazione di legge, non contenendo esse norme di diritto, ma essendo piuttosto qualificabili come atti unilaterali (negoziali o amministrativi), in riferimento ai quali può essere denunciata per cassazione soltanto la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, nella misura in cui essi sono applicabili anche agli atti unilaterali (Cass. 16612/2008, 8296/2006; Ord. 16644/2015), violazione non denunciata dalla ricorrente.

17. Il motivo è inammissibile nella parte in cui imputa alla sentenza di avere ritenuto di ufficio sussistente la circostanza impeditiva al trasferimento.

18. Va rilevato che dalla sentenza impugnata non emerge affatto che la Corte territoriale ha esaminato di ufficio la questione relativa alla esistenza e alla vacanza del posto presso il Tribunale di Civitavecchia.

19. Ebbene, la ricorrente si è limitata ad affermare che il Ministero nei giudizi di merito non aveva allegato e nemmeno provato la carenza di organico e/o di posti disponibili di operatori B2 (profilo della ricorrente) presso tale Ufficio giudiziario ma non ha riprodotto nel ricorso, quanto meno nelle parti salienti e rilevanti gli atti processuali dei giudizi di merito e in particolare le memorie di costituzione in giudizio del Ministero, atti che non risultano allegati al ricorso e nemmeno ne è indicata la specifica sede di produzione processuale.

20. Tali omissioni si pongono in contrasto con i principi sanciti dall'art. 366 c.p.c., comma 2, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 1, n. 4., che impongono al ricorrente, quando siano in gioco atti processuali ovvero documenti o prove orali, la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3, di carenze motivazionali, ex art. 360 c.p.c., n. 5, o di un "error in procedendo", ai sensi dei nn. 1, 2 e 4 della medesima norma, di riprodurre nel ricorso le parti rilevanti del contenuto dell'atto o della prova orale o documentale e anche di indicarne l'esatta allocazione nel fascicolo d'ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (Cass. SSUU 8077/2012 e 22726/2011; Cass. 13713/2015, 19157/2012, 6937/2010).

21. Il secondo motivo è inammissibile nella parte in cui è denunziato l'omesso esame delle censure formulate nell'atto di appello perché questo e la sentenza di primo grado non sono stati riprodotti nel ricorso, nelle parti significative, non risultano allegati al ricorso e nemmeno ne è stata specificata la sede di produzione. Vanno richiamate al riguardo le considerazioni svolte nel punto n. 20 di questa sentenza.

22. Esso è inammissibile anche nella parte in cui la ricorrente deduce il vizio di omesso esame delle attestazioni e delle certificazioni rilasciate rispettivamente dal Presidente del Tribunale di Civitavecchia e dal Cancelliere del medesimo Tribunale senza tuttavia svolgere alcuna argomentazione in ordine al carattere "decisivo" di tali documenti rispetto all'accertata inesistenza di vuoto di organico e di posti disponibili (Cass. SSUU 8053/2014; Cass. 23940/2017; Ordinanza n. 23238/2017).

23. In realtà la censura si risolve nella richiesta di un nuovo apprezzamento del merito della causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass.SSU 24148/ 2013, 8054/2014; Cass. 1541/2016, 15208/2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007; 181214/2006, 3436/2005, 8718/2005).

24. Sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso va rigettato.

25. Le spese seguono la soccombenza.

26. Ai sensi dell'art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell'art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.