Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 05 maggio 2017, n. 11091

Tributi - Contenzioso tributario - Procedimento - Ricorso per revocazione della sentenza

 

Fatti di causa

 

L’Agenzia delle Entrate chiede la revocazione della sentenza, indicata in epigrafe, con la quale questa Corte, in parziale accoglimento del solo terzo motivo del ricorso iscritto al n. 14959/2012 proposto dalla C.I. s.p.a., ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accolto il ricorso introduttivo della Società contribuente limitatamente alla pretesa relativa alle importazioni compiute prima del 23 novembre 1998, per le quali l’azione accertativa dell’amministrazione doveva ritenersi prescritta.

In particolare, la ricorrente chiede la revocazione della suddetta sentenza, ai sensi dell’art. 395, primo comma, n. 5, cod.proc.civ. deducendo l’esistenza di un precedente e contrastante giudicato, costituito dalla sentenza n. 5773/2010 con la quale questa stessa Corte aveva riconosciuto la legittimità dell’atto doganale 13070/2002 e condannato lo spedizioniere doganale E. s.a.s., coobbligato solidale, al pagamento della pretesa portata dall’atto.

C.I. s.p.a. resiste con controricorso.

A seguito di proposta ex art. 380 bis c.p.c. e di fissazione dell’adunanza della Corte in camera di consiglio, entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

Il ricorso è inammissibile.

Ai sensi degli art. 391 bis e 391 ter c.p.c., e per giurisprudenza consolidata le sentenze della Corte di cassazione possono essere impugnate per revocazione solo nelle ipotesi tassativamente indicate dai suddetti articoli, tra le quali non rientra quella del n. 5 dell’art. 395 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. U. n. 17557/2013 e, di recente, Cass. S.U. n. 23833 del 23/11/2015 la quale ha ribadito che <<è inammissibile il ricorso per revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 5, c.p.c. nei confronti delle sentenze pronunziate dalla Corte di cassazione, trattandosi di motivo di revocazione non contemplato dalla disciplina positiva; né è possibile pervenire, in via interpretativa, ad una differente soluzione per le sentenze che abbiano deciso nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c. giacché l'art. 391 ter c.p.c., introdotto dal d.lgs. n. 40 del 2006, pur ampliando il novero dei mezzi di impugnazione esperibili avverso dette pronunce, non ha incluso tale ipotesi.

Nelle memorie depositate la ricorrente contesta l’applicabilità di tali principi alla fattispecie avendo il richiamato dictum delle Sezioni Unite valenza esclusivamente interna in quanto proiettato alla composizione del contrasto tra giudicati regolati e/o formatisi sulla base del diritto nazionale mentre, nella specie, era stato invocato il principio di matrice unionale di effettività del recupero delle risorse proprie della comunità europea che non può essere ostacolato da eventuali preclusioni previste dal diritto processuale interno del singolo Stato.

Tale prospettazione non può essere condivisa. Ed, invero, al riguardo vanno ribadite non solo la considerazione che con l’odierno ricorso si è prospettato, quale motivo di revocazione, l’asserito contrasto tra giudicati formatisi e regolati sulla base del diritto nazionale (e, peraltro, non evidenziato nel corso del giudizio conclusosi con la sentenza oggi impugnata per revocazione), ma anche e soprattutto la giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. U. ord. n. 13181 del 28/05/2013) la quale ha ritenuto che "la disciplina risultante dal combinato disposto degli artt. 391 - bis e 395, numero 4), non viola il diritto dell'Unione europea, non recando alcun "vulnus" al principio dell'effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, atteso che la stessa giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea riconosce, da un lato, l'importanza del principio della cosa giudicata, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia, rimettendo, dall'altro, le modalità di formazione della cosa giudicata e quelle di attuazione del relativo principio agli ordinamenti giuridici degli stati membri".

Principi ribaditi, di recente, dalla stessa Corte di Giustizia (Corte giust. 21 dicembre 2016, cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Francisco Gutiérrez Naranjo) la quale ha rammentato la sua stessa giurisprudenza rilevando che il diritto dell’Unione non obbliga un giudice nazionale a disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono, autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione di una disposizione, di qualunque natura essa sia, contenuta nella direttiva 93/13 (v. Corte giust., 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones, C-40/08, EU:C:2009:615, punto 37).

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna la ricorrente alla refusione in favore della controricorrente delle spese processuali che liquida in complessivi euro 5.000,00 oltre rimborso forfetario nella misura del 15%, euro 200 per esborsi ed accessori di legge.