Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 marzo 2017, n. 6948

Tributi - Accertamento - Studi di settore - Obbligatorietà di contraddittorio - Ammissibilità

 

Fatti di causa

 

L'Agenzia delle entrate ha ricostruito, per i profili ancora d'interesse, nei confronti della società contribuente, esercente attività di "altri trasporti terrestri passeggeri", un maggiore volume di affari ai fini iva ed un maggiore valore di produzione ai fini irap, in base allo scostamento di quelli dichiarati dai parametri indicati nello studio di settore applicabile; ha inoltre accertato maggiori ricavi dati dalla differenza fra i contributi erogati dalla Provincia di Perugia e quelli dichiarati.

Ne è derivato l'accertamento del maggior reddito di partecipazione in capo ai due soci. Società e soci hanno impugnato il relativo avviso di accertamento loro rispettivamente notificato, ottenendone l'annullamento dalla Commissione tributaria provinciale quanto ai profili concernenti l'applicazione dello studio di settore; erano, invece, confermati gli avvisi con riguardo ai maggiori ricavi, in base alla documentazione fornita dalla Provincia di Perugia. La Commissione tributaria regionale ha accolto l'appello principale dell'Agenzia, respingendo quello incidentale della società: ha al riguardo sostenuto che gli elementi considerati dallo studio di settore fossero di per sé sufficienti ad integrare presunzioni gravi, precise e concordanti, determinando l'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, nel caso in esame non soddisfatto; ha, inoltre, escluso la possibilità di ridurre l'ammontare dei maggiori ricavi degli importi delle ritenute di legge, non risultando dimostrato che le ritenute fossero state operate dalla Provincia; infine, quanto alle sanzioni, ha escluso la mancanza di colpevolezza, nonché le esimenti all'uopo invocate.

Contro questa sentenza propongono ricorso società e soci per ottenerne la cassazione, che affidano a sei motivi, cui la sede centrale dell'Agenzia replica con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. - Col primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, 1° co., n. 5 e 3, c.p.c., i contribuenti lamentano l'omessa o comunque insufficiente motivazione della sentenza in ordine alle questioni introdotte con l'appello, concernenti la violazione degli artt. 62 - sexies del d.l. n. 331/93, come convertito e 39, 1° co., lett. d) del d.P.R. n. 600/73, nonché la conseguente violazione di queste norme, là dove il giudice d'appello ha configurato l'applicazione dei parametri ritraibili dagli studi di settore come presunzioni gravi, precise e concordanti idonee da sole a sorreggere l'accertamento.

L'imperfetta formulazione della censura, che accorpa vizi di motivazione e violazione di legge e rubrica il vizio di motivazione come violazione e falsa applicazione dell'art. 36 del d.lgs. n. 546/92, non conduce, contrariamente a quanto eccepito dall'Agenzia in controricorso, a dichiararne l'inammissibilità.

Ciò in quanto:

- per un verso, l'onere della specificità ex art. 366 n. 4 c.p.c. dei motivi del ricorso per cassazione comporta soltanto l'esigenza di una chiara esposizione, nell'ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, non assumendo rilevanza dirimente l'esatta indicazione numerica di una delle ipotesi previste dall'art. 360 c.p.c. (Cass., sez.un., 24 luglio 2013, n. 17931); laddove nel corpo dell'esplicazione del motivo in maniera chiara i contribuenti mostrano di denunciare le carenze della motivazione, individuandone le lacune;

- per altro verso, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé, ragione d'inammissibilità dell'impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell'ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate al fine di consentirne, se necessario, l'esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., sez.un., 6 maggio 2015, n. 9100); laddove, nel caso in esame, i contribuenti trattano separatamente e singolarmente dapprima le lacune della motivazione e poi le violazioni di legge conseguenti.

1.1. - Oltre che ammissibile, la censura è altresì fondata, con specifico riguardo al profilo afferente alle violazioni di legge.

Le sezioni unite di questa Corte, con una serie di analoghe pronunce (18 dicembre 2009, nn. 26635, 26636, 26637 e 26638), hanno stabilito che il procedimento di accertamento standardizzato disciplinato dall'art. 62-sexies del d.l. n. 331/93, come convertito, trova il proprio punto centrale nell'obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, che consente l'adeguamento degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, determinando il passaggio dalla fase statica (gli standard come frutto dell'elaborazione statistica) a quella dinamica dell'accertamento (l'applicazione degli standard al singolo destinatario dell'attività accertativa). È soltanto lo svolgimento del contraddittorio endoprocedimentale, dunque, a consentire la verifica che le elaborazioni statistiche sviluppate nello studio di settore si adattino alla situazione particolare del contribuente cui esso è applicato, consentendone la configurabilità come presunzione, peraltro superabile da prova contraria. Si deve trattare, dunque, di un contraddittorio a tal fine inteso, che consenta di far emergere, ove sussistenti, le particolari situazioni d'ostacolo all'applicabilità dello standard.

1.2. -Di contro, secondo la sentenza impugnata <<gli elementi presi in considerazione dallo studio di settore sono infatti di per sé elementi sufficienti per l'accertamento dei maggiori ricavi poiché gli stessi assumono a tutti gli effetti il valore di una presunzione legale relativa...>>; significativamente il giudice d'appello deduce a sostegno della decisione giurisprudenza di questa Corte antecedente alle indicate sentenze delle sezioni unite, che si contentava del fatto che l’Ufficio, in relazione ad accertamenti fondati su studi di settore, si basasse <<...anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito dei contribuente>> (così Cass. 6 febbraio 2009, n. 2876 citata dalla sentenza impugnata). Né emerge dal contesto della sentenza che contenuto abbia avuto l'invito a comparire ex art. 32 del d.P.R. n. 600/73 ed a cosa sia stato volto l'accesso compiuto dall'Agenzia, che il giudice d'appello si limita a citare in narrativa e sui quali punta l'Agenzia in controricorso. Ne deriva l'illegittimità della conclusione cui è pervenuta la Commissione tributaria regionale, ossia che lo studio di settore SG 72 B è stato calibrato <<sull'effettiva realtà dell'Azienda>>.

Il motivo va in conseguenza accolto.

2. - In parte assorbito ed in parte inammissibile è il secondo motivo di ricorso, col quale i ricorrenti denunciano l'omessa motivazione sia sub specie di violazione e falsa applicazione dell'art. 36, punto 4 del d.lgs. n. 546/92, sia in relazione all'art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., in ordine a doglianze proposte in primo grado e reiterate in appello:

- esso è assorbito dalle considerazioni che precedono relativamente al primo motivo, nel punto a), che ripropone la questione dell'insussistenza dei presupposti per ricorrere al metodo di accertamento standardizzato;

- è poi inammissibile quanto ai profili sub b) e c), in quanto il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione comporta che in esso debbano essere riportati, nei loro esatti termini e non per riassunto del loro contenuto, come hanno fatto i contribuenti, i passi del ricorso introduttivo con i quali le questioni controverse sono state dedotte in giudizio e quelli dell'atto d'appello - in questo caso incidentale - con cui le censure sono state formulate (tra varie, Cass. 8 giugno 2016, n. 11738).

3. - Infondato è il terzo motivo di ricorso, col quale i ricorrenti lamentano, deducendo sia error in procedendo, sia vizio di motivazione, che il giudice d'appello non si sia avveduto del giudicato interno determinato dal fatto che l'appello dell'Agenzia non avrebbe aggredito la statuizione ad esso contraria relativa agli studi di settore, bensì quella favorevole: la statuizione contraria starebbe nell'inapplicabilità in concreto degli studi di settore e quella favorevole nella loro applicabilità in astratto.

Va al riguardo confermato che il giudicato sostanziale, esterno ed interno, si forma sui capi della sentenza non impugnati, concernenti questioni indipendenti da quelle investite dai motivi di gravame: la formazione della cosa giudicata per mancata impugnazione su un determinato capo della sentenza investita dal gravame, infatti, può verificarsi soltanto con riferimento ai capi della stessa sentenza completamente autonomi, in quanto concernenti questioni affatto indipendenti da quelle investite dai motivi di impugnazione, perché fondate su autonomi presupposti di fatto e di diritto, tali da consentire che ciascun capo conservi efficacia precettiva anche se gli altri vengono meno (tra varie, Cass. 12 febbraio 2016, n. 2817). Il che esclude la fondatezza della censura, considerato che l'appello ha contestato la statuzione della sentenza di primo grado che ha affermato l'illegittimità dell'accertamento standardizzato.

4. - Il quarto motivo di ricorso è, invece, inammissibile, perché deduce in maniera irreparabilmente frammista vizi di violazione di legge (segnatamente degli artt. 36, punto 4, 53, 1° co., e 18, 3° co., del d.lgs. n. 546/92), di motivazione e processuali. Le argomentazioni a sostegno del motivo non riescono difatti a sciogliere i dubbi sulla natura della censura effettivamente svolta, in quanto i contribuenti accorpano deduzioni di travisamento di fatti, non sorrette, peraltro, dalla riproduzione dell'atto il contenuto del quale si assume travisato, e censure di omessa pronuncia sulla medesima questione, concernente la sottoscrizione dell'appello.

5. - Infondato è il quinto motivo di ricorso, col quale i contribuenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell'art. 28, 2° co., del d.P.R. n. 600/73, là dove il giudice d'appello ha escluso lo scomputo dall'imponibile scaturente dai maggiori ricavi derivanti dai contributi provinciali delle ritenute di acconto cui questi erano soggetti, in ragione della mancata dimostrazione dell'effettuazione delle ritenute da parte della Provincia.

La Provincia opera come sostituto d'imposta nell'applicazione e nel versamento della ritenuta d'acconto ex art. 28, 2° co., del d.P.R. n. 600/73; ed il fatto che l'art. 64, 1° comma, del medesimo decreto definisca il sostituto d'imposta come colui che, in forza di disposizioni di legge, è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, e anche a titolo di acconto, comporta che, in ogni caso, anche il sostituito debba ritenersi già originariamente (e non solo in fase di riscossione, come espressamente ribadito dall'art. 35 d.P.R. n. 602/1973) obbligato solidale al pagamento dell'imposta, soggetto perciò egli stesso all'accertamento ed a tutti i conseguenti oneri (Cass. 11 ottobre 2013, n. 23121; ord. 13 giugno 2016, n. 12076/16). D'altronde, sia il sostituto, sia il sostituito d'imposta sono legittimati a chiedere all'Amministrazione il rimborso delle somme versate a tale titolo (Cass., sez.un., 24 ottobre 2007, n. 22266).

Corretta è dunque la statuizione della sentenza impugnata che ha fatto gravare sulla società l'obbligo di versare la ritenuta in mancanza della dimostrazione che vi avesse provveduto la Provincia (in linea, nella giurisprudenza penale, Cass. pen. 18 gennaio 2017, n. 2256, secondo cui la ritenuta non versata al fisco non può essere scomputata dalla determinazione dell'imposta evasa ai fini penali).

6. - Inammissibile è, infine, il sesto motivo di ricorso, il quale, dietro lo schermo del vizio di motivazione o della motivazione apparente denuncia in realtà la violazione di legge, segnatamente degli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 472/97, 10, 2° co. e 3 I. n. 212/00 e 8 d.lgs. n. 546/92 relativamente all'imputabilità delle condotte sanzionate ed alla colpevolezza della società.

7. - Ne deriva la cassazione della sentenza impugnata limitatamente al profilo concernente l'applicazione dello studio di settore, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale dell'Umbria in diversa composizione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il profilo del secondo indicato in motivazione, dichiara inammissibili il secondo motivo nei restanti profili, il quarto ed il sesto, rigetta i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al profilo accolto e rinvia anche per le spese alla Commissione tributaria regionale dell'Umbria in diversa composizione.